LA ‘PARATA DEI TURCHI’, METARACCONTO SIMBOLICO DELL’OCCIDENTE

Novecento anni di storia legano Potenza al suo Santo Patrono, San Gerardo da Piacenza, e quattrocentotrentasei all’antica tradizione che culmina nella Parata dei Turchi, nella quale vengono fatti sfilare, come in una pellicola di un film, novecento anni di storia cittadina, novecento anni di devozione verso il Santo Patrono. Un evento di grande suggestione popolare, che da quattrocentotrentasei anni si ripete ciclicamente, ma che, purtuttavia, è sempre nuovo e sempre amato con la stessa intensità. Due eventi ogni anno scandiscono le celebrazioni in onore di San Gerardo, il 29 e il 30 maggio, portando a Potenza persone provenienti da ogni paese lucano; centodiecimila persone l’anno scorso hanno assistito per le strade alla Storica Parata dei Turchi e tante altre erano in collegamento streaming con vari canali televisivi per ammirarla vivendo lontano, anche in Argentina. Dopo il varo di protocolli approvati da una Commissione comunale e dopo la revisione (ed il miglioramento) della Parata, i numeri sono cresciuti. A qualcuno il cambiamento non sarà piaciuto, qualcun altro si sarà appellato ad una tradizione difficile da verificare, ma la maggioranza ha gradito perché, indubbiamente, la Sfilata o Parata ne ha guadagnato in termini di profondità culturale, di eleganza e di spettacolarità. L’importante adesso è di non cambiare ancora, magari in peggio, in modo che la nuova versione possa man mano consolidarsi e diventare essa stessa tradizione. La Città di Potenza si identifica nella Parata dei Turchi. Questo grande appuntamento di popolo, che ci affascina tutti sin da quando eravamo bambini e che ci riporta in un mondo magico (il mondo di noi bambini potentini di decenni fa, affascinati dalla solennità della Sfilata e dal vento ancora freddo che spesso soffiava in città il 29 maggio), ha sempre avuto due problemi di fondo. Il primo, quello che, con una parola oggi molto in voga, chiameremmo il problema del format, come dicevamo poco fa è stato risolto brillantemente dal nuovo protocollo in auge da qualche anno, che ha strutturato, articolato più riccamente e ‘nobilitato’ la Sfilata. Il secondo è di ben più difficile soluzione. Almeno, finora così è stato. Si tratta, in altre parole, del problema della fonte, dell’origine, della legittimazione originaria. Il problema del fondamento. Questo secondo problema è stato affrontato nel corso degli ultimi decenni sostanzialmente nello stesso modo, ma con soluzioni o proposte diverse, ognuna escludente le altre. Spesso l’approssimarsi del 29 maggio ha risvegliato polemiche sopite tra vari storici locali o cultori di storia locale circa l’origine storica della Parata. Ovviamente, la legittimazione leggendaria, quella degli angeli invocati da San Gerardo per cacciare i Turchi da Potenza, non ha mai convinto neanche il più fedele devoto del Santo e, quindi, escludendo la leggenda si è voluto usare esclusivamente il registro storico, che non ha mai risolto una volta per tutte la questione e neppure ha mai fatto cessare le polemiche tra le varie correnti di studiosi di storia cittadina. Vediamo ora quali sono i motivi per cui questa situazione di incertezza e di polemiche incrociate si è trascinata avanti nel corso soprattutto degli ultimi decenni, a partire dalla metà degli anni ’50 del secolo scorso. Il mistero sulla origine storica della Parata dei Turchi viene infittito da alcuni particolari. Il primo è che nella descrizione della vita di San Gerardo scritta dal vescovo Manfredo non c’è nessun riferimento che possa far pensare alla nascita di questa tradizione popolare. L’altro fatto strano è che anche in tempi meno remoti, anche in tempi in cui la festa popolare avrebbe dovuto essere già un evento di primaria importanza per la vita della città (dal 1600 al 1800), gli storici locali non ne parlarono. Vediamo ora come, nel corso del tempo, storici e cultori di storia locale hanno inteso giustificare storicamente la Sfilata o Parata dei Turchi. Le tesi sono molte. Cominciamo da quella di Emmanuele Viggiano, autore di ‘Memorie della città di Potenza’ (1805). La spiegazione circa la genesi della Sfilata dei Turchi data dal Viggiano è quella che la Sfilata rievoca, in realtà, un importante episodio della storia potentina, svoltosi nel 1149; i festeggiamenti e la permanenza del Re e della Regina di Francia, Eleonora d’Aquitania, a Potenza dove rimasero per tre giorni. Viggiano, a dire il vero, sbagliò il nome e da allora questo sbaglio viene riportato in molti portali turistici. Lo storico parlava di Ludovico Re di Francia. Non si trattava di Ludovico, ma di Luigi VII, Re di Francia detto Luigi il Giovane, che fu Re di Francia dal 1137 fino al 1180, anno della sua morte. Il Viggiano riconduce i festeggiamenti ad un episodio particolarmente importante che ha scosso fortemente la fantasia del popolo potentino della metà del XII° secolo: la liberazione del Re di Francia, tratto prigioniero dalla flotta saracena, da parte di Ruggiero di Sicilia. Anche questo è un errore storico. Luigi VII, Re di Francia e principale protagonista della seconda Crociata almeno fino al 1149 (la seconda Crociata proseguì successivamente per tanti anni ancora) non fu fatto prigioniero dai Saraceni, ma dai Greci, cioè dai Bizantini, che erano stati infidi e perfidi con i crociati delle truppe guidate, molto valorosamente, da Luigi VII contro i musulmani (Enciclopedia dell’Ecclesiatico, Giraud/Richard, Napoli, 1843, pag. 556). Ruggero, Re di Sicilia, condusse il Re francese prima in Sicilia, a Palermo, poi, attraverso la Calabria, a Potenza. Nella nostra città, e qui torno a citare il Viggiano, “iniziarono i festeggiamenti indetti dallo stesso Ruggiero di Sicilia per aver sconfitto il male oscuro delle flotte saracene e fatto trionfare, attraverso la liberazione di un Re cristiano, il cristianesimo stesso. Tale accadimento avvenne a breve distanza dalla canonizzazione di San Gerardo per cui il popolo fu fortemente convinto che la flotta saracena fosse stata fermata grazie all’intervento miracoloso del Santo Protettore. E poiché la liberazione era avvenuta per mare, si presentava naturale l’immagine della barca con i turchi fatti prigionieri. Forse alcuni di questi erano stati trionfalmente condotti a Potenza come simbolo della vittoria sul campo e, scortati dai soldati di Ruggiero, costretti a sfilare per la città. Ad ogni modo, il popolo vide nel ricevimento una festa gioiosa e nella prigionia dei turchi un miracolo e, per mantener saldo il ricordo di tale miracolo, fece in modo che lo stesso prendesse vita di anno in San Gerardo ed i Turchi”. Così il Viggiano riusciva anche a spiegare la presenza dei soldati turchi (o saraceni o Mori o musulmani) ridotti in schiavitù, le creature angeliche e la nave.

C’è un terzo elemento che rende questa versione inesatta e molto improbabile e cioè che il Re di Francia si sarebbe portato come trofeo in Europa degli schiavi saraceni. Ma torniamo ancora alla versione del Viggiano: “Nelle feste date dal Re Ruggiero per la liberazione di un Re cattolico, il popolo che vi pigliava parte ebbe a fantasticare dell’intervento, nella liberazione, d’un santo (San Gerardo) così miracoloso come il suo”. Che la fantasia popolare abbia fatto il resto questo è un fatto molto più probabile, anzi sicuro. Tornando dal piano della leggenda a quello storico c’è da aggiungere una ulteriore considerazione: la storia di San Gerardo vescovo e poi la storia della Sfilata, che si compie nel suo nome, sono, in qualche modo, legate anche a quella delle Crociate. Di ritorno dalla seconda Crociata era il re di Francia, che a Potenza chiuse un periodo burrascoso della sua vita e parte di quella burrasca era stata causata da sua moglie Eleonora, con la quale, appena partitosi da Potenza, divorziò. Per i Crociati, Potenza era una stazione di avvicinamento all’imbarco prima di prendere il mare, a Brindisi, per la Terra Santa e San Gerardo era capitato a Potenza, molto probabilmente, proprio per questo motivo. Alla ricostruzione storica del Viggiano si rifà, in parte, quella del sacerdote Raffaele Riviello, autore della ‘Cronaca potentina dal 1799 al 1882’, pubblicata nel 1893. Egli ritiene che i festeggiamenti ebbero certamente come fondamento un episodio di fede, ma legato ad altri fatti: non alla liberazione del Re di Francia, bensì al valore delle nostre genti che “riuscirono a cacciare le invasioni e le scorrerie di Saraceni – che si erano spinte fino alle nostre montuose contrade – con il coraggio che in gravi pericoli patria e fede sogliono dare”. Poi, c’è la versione di Giacomo Racioppi, che trae spunto da un altro episodio della storia di Potenza. Racioppi spiega la Sfilata dei Turchi rifacendosi alla leggenda del secolo VIII del martirio di S. Oronzio e dei suoi undici fratelli. S.Oronzio fu protettore di Potenza prima di San Gerardo e la leggenda asserisce che egli, insieme ai suoi undici fratelli, ferventissimi cristiani in Africa, erano riusciti ad ottenere la conversione di migliaia di infedeli. Per questo, il proconsole di Cartagine, Valeriano, li fece imprigionare e li condusse via mare in Italia, da Adrumeto (l’odierna Sussa, in Tunisia) fino a Potenza. Durante il tragitto per mare, raccontano il Racioppi e poi il Tripepi, essendo sopraggiunta una tempesta, Valeriano incitò i cristiani a farla cessare per intercessione del loro Dio; al che, dopo le preghiere dei martiri, la tempesta effettivamente si placò e molti soldati si convertirono. Ciò nonostante, l’ira di Valeriano rimase furente e giunti a Potenza, quattro dei dodici fratelli, tra cui Oronzio, subirono il martirio presso le rive del fiume Basento per essersi rifiutati di abiurare alla religione cristiana. Collegata a tale episodio è la leggenda della lavandaia potentina, che, aggirandosi sul luogo del martirio nei pressi del Basento, vide alcuni fiori di ginestra intrisi dal sangue dei martiri, li raccolse e li portò in casa avvolgendoli in candidi lini. Dopo qualche tempo li rinvenne ancora freschi come se fossero stati appena raccolti. Questo episodio rafforzò nella credenza popolare l’anima miracolosa dei fratelli ed in particolare di S. Oronzio, che venne pertanto eletto protettore della città. Il Racioppi, rifacendosi a questa leggenda, sostiene che la processione dei Turchi si rifà proprio a tali episodi ed è quindi nata per ricordare il viaggio in mare da Adrumeto a Potenza fatto da S. Oronzio insieme ai suoi fratelli (da qui la presenza nella processione della nave). Col passare del tempo, quando a S. Oronzio successe San Gerardo, a quest’ultimo venne riconosciuta la medesima devozione ricevuta dal primo, per cui i festeggiamenti, che all’inizio erano destinati a S. Oronzio, non mancarono di essere manifestati anche per San Gerardo, fino ad essere ampiamente superati. E con questa siamo alla seconda o alla terza versione, se inseriamo anche quella del Riviello. Veniamo alla quarta. E’ più recente e risale al 1955 ad opera di Mario Brienza, autore di un opuscolo edito nel 1955 a cura dell’Archivio Storico per le Calabrie e la Lucania. Secondo Brienza, la sfilata potentina sarebbe da ricollegare alla battaglia di Vienna contro i Turchi del 1683.

Il Brienza ritiene che l’idea di un festeggiamento, poi fatto coincidere con la festa popolare cristiana del 29 maggio, si debba alla notizia della battaglia di Vienna, arrivata a Potenza probabilmente nell’ottobre del 1685. Soffermandosi in primis sul carattere barocco della processione, «vestimenta esotiche, sgargianti, pacchianesche, bimbi che incedono a cavallo in piccoli abiti pontificali o in lillipuzziane armature angeliche, Mori e Turchi in fez e turbante, cavalli infestonati con campanelli e sonagli “Gran Turco”», egli deduce che la parata popolare sia nata appunto nel 1600. Non è finita certamente qui. Veniamo alla versione n. 5, già inglobata nei protocolli approvati qualche anno fa. Secondo questa versione la Festa e la Sfilata o la Parata dei Turchi trae origine da un fatto accertato storicamente e tutto locale; la solenne celebrazione dell’ingresso del nuovo Signore di Potenza, il Conte Guevara. Questa è sostanzialmente la versione di Tommaso Pedio (anche se poi Pedio sembra dividere i suoi favori anche con una ulteriore versione, come fra poco vedremo) ed è tratta da un documento storico citato da Tommaso Pedio, conservato nell’archivio di Stato di Potenza, allegato agli atti del notaio Scafarelli inerenti gli anni 1578/1580. L’ingresso del nuovo signore Alfonso della famiglia Guevara, in precedenza era stato già oggetto dell’attenzione dello storico Riviello. I festeggiamenti ci vengono descritti accompagnati da libagioni, ma anche e soprattutto da pantomime e da giochi cavallereschi atti a rievocare e celebrare le gesta di Don Alfonso. La pantomima era una tradizione di tutto il Medioevo cristiano ed era presente in quelle regioni in cui era diffuso il culto delle icone. V’è da rilevare che questa ricostruzione non è richiamata in nessuno scritto anteriore al Riviello e ciò ne ha messo in discussione la veridicità. I sostenitori della teoria ritengono che la mancata menzione sia dovuta alla scarsa considerazione che le tradizioni popolari avevano nella storiografia ufficiale. Tale opinione è, però, stata ritenuta inverosimile in quanto un elemento correlato alla religiosità popolare avrebbe dovuto senz’altro trovare spazio negli archivi parrocchiali o per lo meno nelle cronache di qualche curato. Questa moda era in uso anche a Potenza: nell’occasione dell’arrivo del conte Alfonso de’ Guevara si decise di aspettare il nuovo feudatario della città, presso il fiume Basento, a Betlemme. Si costruirono tre castelli e si simulò una battaglia con i Turchi, che vennero sconfitti e fatti prigionieri: questo spettacolo faceva riferimento alle grandi battaglie che, in quegli anni, si svolgevano nel Mediterraneo e che si conclusero con la vittoria cristiana di Lepanto, nel 1571, quando l’esercito cristiano sconfisse definitivamente l’armata turca. La celebrazione dell’impresa di Lepanto (e non di quella successiva di Vienna) è la versione n. 6, quella verso la quale sembra propendere Pedio in connessione con la scoperta del documento relativo all’ingresso del Conte Alfonso Guevara nell’Anno del Signore 1578. Altri cultori di storia potentina, invece, finiscono ugualmente col riferirsi ai fatti di Lepanto senza però metterli in relazione con la vicenda del conte Guevara. I fatti di Lepanto erano accaduti nel 1571, sette anni prima l’ingresso del conte in città. Il prof Tommaso Pedio ricordava anche un documento della chiesa emanato dal Papa all’indomani della battaglia di Lepanto (1571), che potrebbe spiegare la sfilata dei Turchi come risposta della diocesi potentina all’appello del Papa ed al suo invito a tutte le chiese e a tutte le città a festeggiare la vittoria dell’esercito cristiano su quello dei turchi a Lepanto. Verrebbe da chiedersi però il perché del fatto che, tra tutte le Diocesi e tra tutte le città che ricevettero l’invito del Papa a celebrare la vittoria di Lepanto, solo a Potenza (ed in pochissimi altri posti) questa celebrazione sia sopravvissuta attraverso i secoli. Non avanziamo alcuna risposta. Ci limitiamo però, sempre per rimanere a Tommaso Pedio, ad una sua intervista rilasciata alcuni anni or sono, prima della sua morte. In quella intervista Pedio metteva in rilievo un particolare sconosciuto e mai dibattuto (a tutt’oggi mai dibattuto) della storia e della identità di Potenza. Pedio diceva che “la Chiesa di Potenza aveva contrastato quella d’Oriente perché aveva attivamente partecipato alle lotte politiche e religiose tra l’VIII e il X secolo ed aveva, per un certo tempo, rappresentato il baluardo della chiesa Romana contro l’invadenza di quella greca in Italia meridionale”. In ogni caso, pur avendo già messo insieme ben sei versioni diverse sulla origine storica della Parata dei Turchi la carrellata non è affatto conclusa. Ci sono ancora ben altri tre episodi di storia cittadina, che potrebbero aver fatto da fonte d’ispirazione della Sfilata;

  • Sappiamo solamente che nel 1013, il Conte di Conza insieme con Vamfredo di Potenza combatté i Saraceni in Vitiliano, dei quali molti ne uccise; ma nell’ottobre 1014, furono da quelli ambedue battuti e presi“. Anche la seguente notizia, per le circostanze dì tempo e di luogo, potrebbe spiegare la storica origine della Nave e dei Turchi.
  • Carlo suo quarto figliuolo (si tratta di Carlo dei Conti Guevara di Potenza) agli altri sopravissuti ereditò molto Feudi, e fu anch’egli gran Siniscalco. Valente uomo nelle armi, come il Genitore, nell’impresa Africana di Algeri comparve con tanta pompa, che la sua tenda accolse lo stesso Imperador Carlo “.

La versione numero 9 invece è un contributo di ‘Potentia Review’. L’assalto saraceno potrebbe essere una memoria ancor più antica del tempo in cui visse San Gerardo e molto più antica ancora delle battaglie di Lepanto  e di Vienna. Memoria di un fatto vero, anch’esso verificatosi a Potenza, ma poi sepolto dall’oblio del Tempo. Il fatto risale all’Anno del Signore 896, quando i “Saraceni invadono il Principato di Salerno, raggiungono la Valle del Basento, si spingono nel Latiniano (una zona della provincia sud di Potenza comprendente centri della Val d’Agri e del Lagonegrese n.n.), ma non riescono a prendere Potenza che resiste al loro assalto”. (Di Meo, XI, pag. 416). Una cosa strana è che di tutti i posti dove in Italia si celebrano Feste dei Turchi o dei Mori o dei Saraceni (si celebrano non solo in Italia ma anche in altri Paesi europei) Potenza è quella che non ha mai subito storicamente la conquista dei Saraceni o, più tardi, dei Turchi. I conquistatori musulmani, ‘lo nero periglio che vien da lo mare’, hanno saccheggiato e devastato, conquistato e sottomesso tantissime città e tantissimi paesi in tutta Italia (per non dire della Francia del Sud e della Spagna, ma anche dell’Ungheria e di altri Paesi europei). Nel Sud Italia e nella stessa Basilicata il numero di città e paesi presi dai musulmani, che si chiamassero di volta in volta Saraceni o Mori o Turchi, è stato molto alto. In Basilicata, Venosa, Acerenza, Lagopesole, Pietrapertosa, Tursi, Tricarico, per non dire Matera, parecchie volte martoriata tra l’800 e primi anni dopo il Mille, assediata, distrutta, conquistata, sono state tutte prede musulmane. Grumentum, già cruciale centro lucano e poi Romano, scomparve per sempre distrutta dai Saraceni. Potenza? Su Potenza non è mai emerso nulla del genere. Il fatto che una località poco distante dalla città, come ricordò il Viggiano, si chiamasse Campo Saraceno non dimostra nulla. Al limite, non si può escludere che quel Campo fosse la località dove i Saraceni avevano montato l’accampamento prima di dare l’assalto a Potenza. Finora sui tentativi di conquista saracena di Potenza non si era detto mai niente. L’unico episodio, peraltro assolutamente ignoto agli stessi potentini, ma anche a coloro che hanno voluto negli anni cimentarsi sulla questione della Sfilata dei Turchi, è quello che abbiamo rintracciato e poco innanzi riportato e di cui parla Alessandro Di Meo, uno degli storici meridionali del 1700 di maggiore valore, che scrisse un libro di circa quattrocento pagine dal titolo Apparato cronologico agli Annali del Regno di Napoli nella mezzana età (Napoli 1785). Se ce ne sono stati altri, allora gli storici locali sono stati molto bravi a nasconderli perché non abbiamo mai letto nulla del genere. Comunque, il dato importante è che ci fu un assalto saraceno a Potenza. Sappiamo l’anno, conosciamo la fonte e sappiamo che Potenza non fu mai conquistata dai Saraceni; questa è una cosa della massima importanza. Almeno finora non ci risulta, ma, tornando al discorso sulla genesi della Sfilata, ora abbiamo anche un elemento storico locale e direttamente connesso con la leggenda, un altro elemento che potrebbe spiegare la sua origine. Si direbbe che la Parata dei Turchi sia solo leggenda o fantasia popolare senza basi storiche, ma non è esattamente così. Non c’è la base storica direttamente legata a Potenza, cioè la Parata non ricorda un avvenimento storico di liberazione della città da un assalto saraceno o turco, o, almeno, non c’era fino ad oggi (ma l’assalto saraceno dell’896 mette in discussione anche questa sicurezza), ma ci sono o c’erano, in ogni caso, già tanti e precisi riferimenti storici come base per la ispirazione leggendaria popolare. E sicuramente c’erano già almeno due dati storici di riferimento realmente accaduti; il vescovado di Gerardo con la sua santificazione ed il grande trionfo organizzato per l’entrata in città del conte Alfonso de’ Guevara. Adesso noi ne aggiungiamo un terzo, cioè l’assalto musulmano o saraceno o Moro o turchesco dell’A.D. 896. Un fatto storico, ma che non basta a risolvere il problema. A questo punto, poco importa davvero stabilire se la Parata (o la Sfilata) dei Turchi sia un fatto storico o che trova le sue radici in un fatto storico, o meno. Non perché i fatti storici o i riferimenti delle ben nove versioni sulla sua genesi non abbiano a che fare con la Storia, ma perché, alcune di queste versioni sono frammiste alla leggenda. A ben vedere, neanche la leggenda, però, è il vero problema. Come abbiamo sottolineato in apertura, anche il più fervente devoto cristiano, oggi e nei secoli passati, sapeva che di leggenda si trattava. Quindi, se nel corso del tempo sono emerse ben nove versioni diverse della genesi storica è perché alla leggenda non si è mai creduto in senso letterale. Il problema non è la leggenda e nemmeno la mancanza di basi storiche. Il problema vero è che le fonti storiche sono troppe e che, invece di ridursi a poche e poi ad una, sono diventate ancor più numerose. Il problema vero è che se non si è riusciti a trovare un accordo condiviso da tutti circa la genesi vera e su quale di queste nove versioni sia quella vera e la sola vera, allora è impensabile, irrealistico che ci si possa riuscire oggi o in futuro. Eppure, vale la pena di risolvere questo problema. Anche per motivi pratici, tra l’altro. Il Ministero per il Turismo italiano ha premiato questa manifestazione con il riconoscimento di Patrimonio d’Italia per la tradizione. E’ in corso una pratica di riconoscimento Unesco. L’Istituto Centrale per la DemoEtnoAntropologia ha riconosciuto l’evento quale Patrimonio immateriale d’Italia. Il Forum Nazionale dei Giovani ha riconosciuto l’evento, quale Meraviglia Italiana. Inoltre, la ‘Parata dei Turchi’ di Potenza è di gran lunga la più importante festa popolare in Italia riguardante i Turchi, i Mori, i Saraceni (insomma di quel tipo di celebrazioni che ricordano i tentativi di conquista musulmana in Europa ed in Italia nonché la resistenza opposta a tali tentativi da parte delle città europee e dei popoli cristiani ed europei). Che sia la più importante lo si capisce a colpo d’occhio spulciando tutti i risultati e le voci similari sui motori di ricerca internet, rovistando in studi sconosciuti (anche brillanti tesi di laurea sulla presenza islamico-turca-saracena in Italia). La Festa dei Turchi di Potenza, ovviamente, non è l’unica. Né in Italia, né all’estero. Ce ne sono diverse sparse per il Belpaese; Moena in Trentino, Tollo in Abruzzo, Fasano in Puglia ed altre. Molto forte e radicata è la presenza in Spagna delle Feste dei Turchi che in quel Paese si chiamano fiestas de moros y cristianos. Particolarmente suggestive ed importanti, tali da richiamare flussi turistici sempre più massicci, anche dall’estero, quella di Valencia, di Alicante e, soprattutto, quella di Alcoy. L’anno prossimo la Parata dei Turchi di Potenza sarà gemellata proprio con quella di Alcoy. Lo ha annunciato un comunicato del Comune di Potenza di qualche giorno fa. Quindi, una ridefinizione definitiva ed aggiornata di quello che potremmo chiamare lo ‘statuto epistemologico’ di questa celebre e importante festa potentina ed italiana sarebbe un qualcosa di decisivo anche ai fini di aprire alla Festa ed alla città nuove prospettive, che possano andare ben oltre la stessa ordinaria rievocazione annuale del 29 maggio. Per essere più concreti, una ridefinizione di quel genere ed una risistemazione teorica ci potrebbero portare verso due ipotetici traguardi; il primo, poc’anzi citato, è il riconoscimento Unesco come patrimonio immateriale dell’Umanità, ma, soprattutto, ci potrebbero condurre verso il secondo, al quale come ‘Potentia Review’ teniamo ancor di più, e cioè verso un 2019 potentino (ne abbiamo parlato nell’articolo del 15 maggio scorso e vi rimandiamo a quella lettura). Alla luce anche di queste allettanti prospettive torniamo, quindi, a riconsiderare il problema di fondo della Parata dei Turchi, che continua ad avere uno statuto incerto, che ne limita assai le possibilità di sviluppo. In pratica, anziché pensare a queste nuove prospettive, ormai da tanti anni noi potentini non facciamo altro che polemizzare e dividerci in tanti partiti diversi su quale sia l’origine storica precisa della parata dei Turchi. Una disputa tra potentini che ha diviso, fatto perdere un sacco di tempo e di energie, senza portare assolutamente a nulla, a nessuna certezza. Io credo che continuare su questa strada sia insensato; prima di tutto, perché questo tipo di certezza non potremo averlo mai. Se continuiamo come potentini ad impostare in questo modo il problema della Parata dei Turchi non ne caveremo mai un ragno dal buco. Il fatto è che questa impostazione estenuante non solo è irrealistica, ma anche sbagliata perché, in fondo, in ogni grande manifestazione di tradizioni popolari c’è sempre, o quasi sempre, una componente mitico-leggendaria. Nel caso potentino si potrebbe anche non parlare più di leggenda, ma resta il fatto che non sapremo mai quale delle nove versioni in campo sia quella giusta. Chi scrive intende proporre un altro approccio ed un’altra soluzione, una soluzione definitiva, che possa mettere tutti d’accordo e sbloccare una volta per tutte l’impasse. Scegliere una delle nove versioni, e solo quella, è impossibile perché se non li abbiamo trovati finora i documenti storici inoppugnabili che dicono come, quando e perché è nata la celebrazione, allora non li troveremo mai più, ammesso pure che siano mai esistiti (la scoperta fatta da Pedìo dei fatti del conte Guevara non ha risolto affatto la contesa perché le diverse interpretazioni continuano a trovare sostenitori, provocando regolarmente polemiche in vista del 29 maggio di ogni anno). D’altronde, quand’anche questa fonte inoppugnabile e certissima esistesse veramente, sicuramente ciò significherebbe impoverire i significati storico-identitari, rinunciando alle altre otto. Che fare allora? Come uscire da questo cul de sac? La proposta di chi scrive è quella, prima di tutto, di cambiare l’approccio generale a questo problema. Il primo passo che propongo, quindi, è ripartire da un approccio diverso, da un approccio che non consideri come criterio prevalente il carattere storico della celebrazione. Continuando a porre la questione su un esclusivo piano storico, un piano storico che non tiene per l’impossibilità di verificare una ben precisa opzione e non per la mancanza di riferimenti storici, si finisce per impoverire il significato profondo della Parata, lo si banalizza e lo si svilisce, riducendolo, tra le altre cose, anche ad una questione puramente localistica. Diversamente, con occhiali meno localistici e meno ingenui, il significato della Parata potrebbe rivelarsi qualcosa di enormemente più grande ed importante. La ‘Parata dei Turchi’ potrebbe riconfigurarsi come un racconto simbolico, non più solo mitico, né più solo storico. Una storia legata da simboli, una storia-simbolo, anzi, meglio ancora, un metaracconto simbolico della storia di Potenza, storia particolare connotata da un forte aggancio all’Occidente ed all’Europa.

Metaracconto, però, non nel senso della teoria letteraria o cinematografica e neppure nel senso filosofico datogli da Lyotard. Metaracconto o metanarrazione in un senso particolare, dove l’oltre deve essere inteso non nel senso abituale di un concetto dotato di una sua pretesa legittimante oppure nel senso che si colloca oltre la storia e fuori dalla Storia (si parlerebbe in quest’ultimo caso di metastoria e non di metaracconto). Nel caso nostro, l’oltre dovrebbe essere inteso, invece, come ciò che trascende il singolo fatto storico o il singolo richiamo storico e che lega fatti temporalmente lontani e diversi fra di loro (siano essi storici, mitici o simbolici) facendoli rientrare in una trama narrativa unitaria e coerente, che sia anche espressione specifica di un territorio o di una città, del suo genius loci; in questo caso specifico, del genius loci e della specifica identità di Potenza. E, però, qui non si tratta di una trama unitaria di simboli o di fatti o di specificità identitarie che connotano solo Potenza. Qual è il terreno comune delle nove versioni della Parata? E’ fin troppo evidente; è lo storico conflitto e scontro Occidente/Islam e l’affermazione del Cristianesimo. E’ una questione peculiare della identità non solo della città di Potenza, ma, potremmo dire sicuramente, di tutto l’Occidente europeo. Questione caratterizzata da una affermazione (il trionfo e la difesa strenua della fede cristiana) e da una negazione (il contrasto/differenza, ma anche lo scontro, a tutti i livelli, con l’Islam). Poche questioni sono così antiche e radicate nella cultura, nella storia e nella identità occidentale, soprattutto, occidentale-europea, come questa. E non si tratta solo di una storia molto antica (1400 anni), di una storia che ha connotato in profondità i tratti europei, ma anche di una questione attualissima, attuale come nessun’altra mai tra quelle che provengono dagli abissi della Storia. Quindi, Parata dei Turchi come metaracconto simbolico di Potenza, ma anche, al tempo stesso, di tutto l’Occidente. C’è bisogno di aggiungere altro?

PINO A. QUARTANA

 

 

 

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