Nel moderno rione di Poggio Tre Galli, una stradina di mattoni conduce alla villa romana di contrada Malvaccaro. Scoperta nel 1973, la villa era sepolta sotto una moderna abitazione rurale; una porcilaia ed un pollaio erano stati costruiti al di sopra del corpo centrale del complesso, riutilizzando i frammenti dei mosaici all’interno dei muri. Un attento restauro dei pavimenti musivi, eseguito dalla scuola del mosaico di Ravenna, e la demolizione degli edifici moderni che insistevano sulla villa, sono state le premesse necessarie per due nuove campagne di scavo condotte nel 2005 e nel 2013 e che hanno permesso di mettere in luce buona parte del complesso residenziale. Il primo impianto della villa, più modesto, risale al I-II secolo d.C., ma è a partire dal III secolo d.C. che il complesso viene progressivamente ampliato fino a raggiungere, tra la metà del IV ed il V secolo d.C., la pianta attuale, con l’aggiunta degli ambienti mosaicati; la villa, infine, venne abbandonata nel corso del VI secolo d.C. e riutilizzata in parte come area cimiteriale. La villa, al suo massimo splendore, si componeva di ameno tredici vani. Il corpo centrale dell’edificio (90 mq circa) era occupato dagli ambienti di rappresentanza, disposti scenograficamente su tre livelli diversi. Attraverso un ingresso pavimentato da intarsi marmorei (opus sectile), posizionato nel livello inferiore, si accedeva ad una grande sala da banchetto rettangolare (coenatio), sovrastata da un ambiente absidato più piccolo, decorato da un mosaico con un motivo a squame. Qui, seguendo un rigido ordine gerarchico da sinistra verso destra, prendevano posto i commensali, che, secondo la moda dell’epoca, mangiavano sdraiati su sedili semicircolari (stibadium), servendosi con le mani da bassi tavolini posti al centro della sala. Date le sue ridotte dimensioni, l’ambiente era riservato al padrone di casa (dominus) ed ai suoi ospiti più illustri, che da qui potevano apprezzare i ricchi pavimenti musivi policromi, che decoravano la sala da banchetto sottostante; elaborati motivi geometrici e raffigurazioni di anfore e cesti di frutta (kalathoi), allusivi della destinazione dell’ambiente, facevano infatti da cornice al medaglione centrale, in cui erano rappresentate, rivolte verso gli ospiti, le tre Grazie, simbolo e, al tempo stesso, augurio di buona fortuna. Da questa posizione privilegiata, inoltre, gli ospiti potevano godere anche degli spettacoli di attori, musici e mimi, che dovevano svolgersi nello spazio della grande sala rettangolare e che intrattenevano i commensali durante i sontuosi banchetti. Il settore settentrionale del complesso era invece occupato da cinque ambienti residenziali (cubicula), mentre tutto intorno alle stanze centrali si aprivano altrettanti vani destinati alla preparazione e alla conservazione dei cibi, come attestano i vari manufatti rinvenuti, tra cui una macina in pietra per la molitura del grano, e le semplici pavimentazioni in mattoni posti di taglio (opus spicatum), che caratterizzano alcuni di questi vani. Attendevano a tutte le attività domestiche schiavi e liberti, che vivevano negli ambienti di servizio dell’edificio. Ma la villa di contrada Malvaccaro (detta di Malvaccaro, ma, in realtà, collocata in una via parallela a Via Parigi all’incrocio con Via Londra al quartiere Poggio) non era una semplice dimora di campagna. Come tutte le ville tardoantiche, infatti, il complesso doveva essere affiancato da strutture destinate alla gestione e alla produzione del fondo, ubicate poco lontano dalla residenza padronale, o anche in uno dei fondi che componevano la proprietà, secondo una tipologia architettonica nota come villa-praetorium; purtroppo le indagini archeologiche non hanno ancora individuato i resti di queste strutture e al momento non si conosce il tipo di attività praticato nella villa potentina; produzione di olio, vino, lavorazione del grano e della lana e o anche produzioni artigianali, come vasi e laterizi, erano comunque tra le attività più diffuse nelle campagne lucane del periodo. Spesso, intorno alle ville, sorgevano piccoli borghi (vici), in cui vivevano le famiglie di amministratori (actores) ed i coloni impegnati nella coltivazione dei terreni e nell’allevamento del bestiame di proprietà del fondo, o dove si svolgevano i mercati rurali. Le merci viaggiavano lungo il capillare sistema di vie di comunicazione che attraversava tutto l’impero; una di queste era la via Herculia, che toccava la città di Potentia, per poi dirigersi in direzione di Venusia e quindi della via Appia. La sua realizzazione, tra fine III-inizio IV secolo d.C., ma ricalcante un percorso certamente più antico, coincide non a caso con il momento di massima fioritura della villa di Malvaccaro, arricchita ora dalle bellissime sale mosaicate e pienamente inserita nell’efficiente rete di comunicazioni e di commerci, che collegava Potentia ai maggiori centri romani dell’epoca. Lungo le strade, del resto, non viaggiavano soltanto le merci, ma anche le mode e gli stili provenienti da ogni parte dell’impero; e così a Malvaccaro modelli africani ispirarono la pavimentazione musiva delle sale centrali. Altre ville comunque dovevano caratterizzare la campagna potentina; se infatti Malvaccaro è l’unica di cui al momento si sia conservata traccia, la documentazione epigrafica ed alcuni resti architettonici provenienti da vari punti dell’attuale territorio comunale, testimoniano l’esistenza di ville suburbane a partire dal I secolo d.C. e fin oltre il III secolo d.C. Nell’agro potentino, del resto, è epigraficamente nota anche la presenza di demani di proprietà di Augusto, Nerva, Marco Aurelio ed infine Commodo, che attestano l’importanza del territorio negli interessi della famiglia imperiale. La villa di Malvaccaro, dunque, rientra perfettamente nella tipologia delle ville tardoantiche, ampliamente diffusa anche nella Lucania romana. Lussuose dimore di campagna, in alcuni casi dotate di impianti termali, non erano soltanto destinate all’otium del padrone di casa e dei suoi ospiti, intrattenuti in sontuosi banchetti, ma erano anche e soprattutto importanti centri di produzione e sfruttamento del territorio in un momento, tra IV e V secolo d.C., che vede la campagna lucana decisamente più vitale dei suoi centri urbani di riferimento.
ANNARITA DI NOIA