Potenza non ebbe, a differenza di altre comunità della Basilicata, una propria tradizione storiografica in età moderna. Il suo essere una città feudale, cresciuta all’ombra del potere dei Guevara prima e dei Loffredo poi, le costò non solo lo sviluppo di un ceto patrizio autonomo, ma anche una tradizione di famiglie e di poteri locali che usassero raccontare i “patri fasti”, come si diceva allora, per esaltare se stessi. Questo modello di autorappresentazione cittadina, che abbiamo già rilevato solo nel Seicento, con il canonico Rendina, ritornava, alle soglie del Decennio francese, nell’opera del canonico Emanuele Viggiano che, nel 1805, dedicava le sue Memorie storiche di Potenza alla contessa Ginevra Loffredo, pubblicandole a Napoli, nella stamperia di Vincenzo Orsini, in mancanza di tipografie a Potenza – dovremo aspettare altri quattro anni almeno perché Angelo Coda impianti una “stamperia” nella città basentana. Viggiano stesso sapeva che Potenza, in questo campo, era una città minore, visto che nella dedica alla contessa Ginevra, pur tra le immancabili adulazioni e iperboli, ammetteva «Or non a tutti quello ragionamento di Città secondaria appartiene; poiché molti non sono coloro che hanno che fare con ella». Tuttavia, onestamente cercava di dimostrare come la storia cittadina andasse rivalutata nel più generale contesto del Regno, iniziando con un breve “preambolo” in cui trattava «Dell’antica virtù e dell’antico splendore Lucano» (pp. 1-13), per poi passare più nel dettaglio a parlare «Degli antichi Abitatori della Lucania; e della origine, e del nome di Potenza» (pp. 14-24). Chiusa questa sezione che si potrebbe definire, oggi, “geostorica”, il canonico Viggiano si occupava delle vicende storiche di Potenza a partire dall’età di Augusto fino al Medioevo (pp. 24-66), occupandosi, nel contempo, di descrivere, sulla scorta dei ruderi antichi, alla sua epoca non ancora “cementificati”, il sito dell’antica Potentia romana. La sezione “moderna” si soffermava sulle «vicende Potentine dal cominciamento della Monarchia fino a’ dì nostri» sui vescovi e feudatari e infine sui «Potentini Uomini di lettere, e di alto affare». Restava, dell’autocoscienza cittadina di origine moderna, proprio il tradizionale accento posto sugli «uomini di lettere» della città, di tradizione sei-settecentesca, volto ad evidenziare la volontà di una posizione di maggiore spicco, che effettivamente si sarebbe avuta un anno dopo, con Giuseppe Bonaparte e che Viggiano sembrava anticipare chiudendo la sua difesa di Potenza (che tale è l’impianto delle sue Memorie) con la descrizione del sito cittadino a inizio ottocento, delle epigrafi romane e con la trascrizione dei martirologi relativi ai Dodici fratelli cartaginesi e di san Gerardo. Una rappresentazione neutra, dunque, fortemente legata ai Loffredo e, come tale, vera e propria storia feudale, che, paradossalmente, rappresentava ancora la città basentana formalmente ripartita secondo l’antico modulo parrocchiale. Le Memorie, tuttavia, risultano utili per evidenziare l’autorappresentazione cittadina, volta ancora verso la tranquilla, «fedele», storia feudale, più rassicurante rispetto alle vicende di un 1799 traumatico per gli sconvolgimenti dello status quo, come il noto affaire che aveva portato all’omicidio del vescovo Giovanni Andrea Serrao: significativamente, infatti, gli eventi del 1799 venivano semplicemente taciuti, con un semplice riferimento a «quel generale disastro, che tanto scompiglio nel nostro Regno produsse». Un’opera da riscoprire e leggere per capire come i potentini della borghesia terriera rappresentassero se stessi a inizio Ottocento e di come aspirassero a posti di maggiore importanza nel contesto amministrativo della provincia di Basilicata.
ANTONIO D’ANDRIA
Nella foto; una epigrafe di epoca Romana in un muro del centro storico di Potenza.