POSTMODERNO E DEMOCRAZIA

Pubblichiamo in anteprima il saggio ‘Postmoderno e democrazia’ che funge da introduzione al libro ‘Scienza e reincantamento’, il nuovo libro di Pino A. Quartana, filosofo ed anche direttore di ‘Potentia Review’, che uscirà nella prima parte del 2017 per i tipi della casa editrice ‘Marco Trotta Editore’ di Potenza, una nuova casa editrice appena nata che ha tra i suoi obiettivi anche quello di pubblicare libri di alta cultura su temi della cultura italiana ed internazionale. Inseriamo questa anticipazione editoriale nella sezione ‘Oltre la siepe’, dove daremo spazio ad articoli o saggi pubblicati da intellettuali ed uomini di cultura potentini che hanno come argomento questioni estranee al nostro piccolo mondo locale o che lo trascendono. Da qui, il titolo della sezione. Da Potenza guardiamo oltre la siepe della nostra città e della nostra regione per contribuire ai grandi dibattiti della cultura italiana ed internazionale.

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Nell’intimo del Postmoderno, inteso come insieme di modelli, schemi ed idee tali da formare un quadro teorico più o meno identificabile, esiste una contraddizione, anzi, molteplici contraddizioni. Da dove vengono? In gran parte, vengono dal fatto che quest’ambito di pensiero (specialmente se si assume un punto di vista interno che dobbiamo cominciare a definire come “postmodernismo critico”) risolve la questione della periodizzazione, insito nel suo prefisso ‘post’, rinunciando a considerarsi come nuova epoca della Storia. Di conseguenza, esso è aporetico sin dalla nascita in quanto eredita e riflette le contraddizioni della stessa modernità. Alcuni hanno parlato a tal proposito di logica del paradosso, altri di ambiguità, ma ci sembra che il termine migliore per definire questa situazione sia quella di ambivalenza. Per questo semplice motivo esisteranno diverse interpretazioni (anche molto contrastanti) del Postmoderno), almeno tante quante ne esistono circa il Moderno e la Modernità. Nonostante ciò, dal momento in cui Lyotard, assumendo un termine che aveva già diritto di cittadinanza all’interno del continente americano e di altre discipline, pubblicava la Condition Postmoderne sono passati già (o solo?) trentasette anni. Nel corso di questo periodo, il Postmoderno è stato consacrato come una delle correnti di pensiero più recenti, ed anche più importanti, della filosofia contemporanea ed ha già prodotto una considerevole letteratura scientifica, anche di tipo autoriflessivo, diretta, in altri termini, non solo a considerare diversi punti di vista postmoderni sul mondo, ma anche a costruire una propria autodefinizione come oggetto teoretico. Un’analisi specialistica potrebbe evidenziare non solo le sue ambivalenze costitutive, ma anche il fatto che la tradizione scientifico-letteraria riguardante questa costellazione filosofica, accumulatasi in trentasette anni, contiene una pluralità di schemi, la cui responsabilità questa volta non può essere ascritta all’eredità del Moderno. Non è vero che il Postmoderno sia un concetto passpartout. E’, però, vero che all’interno di questa produzione teoretica convivono figure paradossali o che sembrano portare alla costruzione di modelli di pensiero radicalmente opposti. Gli esempi, considerando l’insieme delle correnti in cui anche il postmodernismo ha già trovato il tempo di differenziarsi internamente, non mancano. Si guardi al tema tipicamente postmoderno del disincanto e dell’incredulità dinanzi alle metanarrazioni della Modernità (l’idealismo speculativo, l’illuminismo, il marxismo, il capitalismo, lo stesso positivismo). Già Lyotard nella sua “La condizione postmoderna” ne fornisce un quadro ambivalente (“Semplificando al massimo, possiamo considerare, ‘postmoderna’ l’incredulità nei confronti delle metanarrazioni… La condizione postmoderna è tuttavia estranea al disincanto, così come alla cieca positività della delegittimazione”). Anche il sapere contemporaneo che J.F.L. definisce ‘postmoderno’ è portatore di analoga ambivalenza; da un lato, esso viene considerato come merce da scambiare ed è sotto il dominio delle esigenze performative del Potere, dall’altro, però, il sapere non è esclusivamente uno strumento del Potere, dal momento che esso acuisce la nostra sensibilità alle differenze. La lista delle ambivalenze non si ferma di certo qui; accenti tragici coabitano con espressioni ludiche (presenti soprattutto nella produzione filosofica di Vattimo), pessimistiche concezioni della società democratica e della natura umana espressione di concezioni premoderne, statolatriche e comunitariste, sono difficili da separare da iper-individualistiche rivendicazioni radicali e democratiche (si pensi, ad esempio, ai diritti di emancipazione di razza e di genere di non pochi autori postmodernisti americani). Continuando ancora su questa falsariga; come conciliare le figure del Ritorno e della ricomposizione con la liberatoria diffusività del molteplice, il tentativo di una qualche forma di conciliazione con l’intimazione alla liberazione delle differenze, la filosofia della conciliazione di Adorno con se stessa in quanto aporetica (come bene ha evidenziato più volte Albrecht Wellmer), la visione post-strutturalista ed anche adorniana di una Ragione (che coincide col dominio) con quella, invece, di una ragione decentrata e pragmatica, tentativi affermativi con motivi dialettico-negativi e così via? Fra tutte le indecisioni e le ambivalenze che coabitano nel condominio postmoderno sarà utile concentrarsi su quelle che hanno un carattere più immediatamente politico. E’ noto che l’aspetto politico-filosofico del Postmoderno è stato, e continua tuttora ad essere, tra i meno indagati. In particolare, il Postmoderno è stato messo finora enfaticamente in relazione antagonista con il totalitarismo e con le derive totalitarie prodotte dalla Modernità. Per alcuni teorici nordamericani, nel mirino del Postmoderno c’è anche il capitalismo, così come è entrato il marxismo. Almeno finora, invece, sono rimasti sempre in ombra i nessi fra Postmoderno e Democrazia. Naturalmente, critici del Postmoderno come Jameson ed Habermas non si pongono questo problema oppure se lo sono posto risolvendolo in modo pregiudizievole e liquidatorio. Per questi ultimi, il Postmoderno è una espressione aggiornata del neoconservatorismo e si pone, quindi, sul versante esattamente opposto alla democrazia, comunque, non certamente su un versante caratterizzato da valenze emancipatrici e radicalmente democratiche. Per chi scrive, le cose stanno, invece, in maniera molto diversa; il profondo disincanto, e non solo verso le democrazie reali (prodotti della modernità politica e dei suoi grands récits), ma verso il Potere, che nella sua eterna storia ha ripetuto sempre un copione, costante ed immutabile in mezzo ai mutevoli regimi in cui si è incarnato ed alle mutevoli idee che lo hanno legittimato (un copione fatto di oppressione, violenza, dominio, falsità, terrore, saccheggi e rapine ai danni dei poveri e degli indifesi, oppressione fiscale e parassitismo delle classi privilegiate, inganni, tradimenti, complotti di palazzo, corruzione cioè i motivi per cui scoppiò la Rivoluzione Francese), è uno dei punti che caratterizza il postmodernismo in filosofia politica. Nella sua eterna storia eternamente uguale, il Potere ha sempre ignorato il dolore degli uomini e ha sempre calpestato la verità per autoperpetuarsi.
Questa posizione mette insieme pessimismo e disincanto, le anticamere di un altro sentimento tipicamente postmoderno, che è quello del desiderio della Fine della Storia. Nonostante ciò, essa non si limita, di certo, ad una mera delegittimazione del Potere. La Modernità si è fatta annunciare dalle tre parole universali della Rivoluzione Francese ed ha acceso il mondo per due secoli seminando speranze di emancipazione, di libertà e di uguaglianza, nuove idee e nuove forme politiche, che si sono concretizzate in nuove ideologie. Queste ideologie sono state delegittimate, constatazione divenuta oggi senso comune finanche banale. Se la modernità politica si è piegata sotto il peso d’istanze andate regolarmente deluse e di ideali regolarmente traditi, come anche ai giorni nostri possiamo facilmente verificare in tutto l’Occidente cosiddetto democratico, in che rapporto (o rapporti, data la complessità delle relazioni) il Postmoderno politico può porsi nei confronti della Modernità? Mettiamola in altri termini; se il rapporto non si limitasse solo ad una delegittimazione disincantata e sempre più pessimistica, ma cercasse anche lo sbocco affermativo di un superamento, che ruolo giocherebbe la democrazia in tutto ciò? Anche la democrazia in quanto espressione politica della modernità è delegittimata dal Postmoderno o, piuttosto, ad essere delegittimata non sarebbe la democrazia, ma solo, e precisamente, la sua brutta copia, quella che la realtà storica, effettuale, anche contemporanea, ci propone, quella che, parafrasando la nota locuzione riguardante gli ex Paesi comunisti dell’Europa dell’Est comunista, si potrebbe definire, la “democrazia reale”? Se è caduto il Muro di Berlino ed abbiamo plaudito al crollo di un totalitarismo è per dichiararci orgogliosi e soddisfatti dello spettacolo politico che le nostre democrazia reali occidentali ci offrono quotidianamente?  Non è questione di scelta tra modelli liberisti puri o conservatori, tra modelli socialdemocratici e comunisti; il disincanto li attraversa tutti, né una critica postmoderna può limitarsi davvero ad una accettazione dell’esistente, come da più parti si sospetta o si afferma. Riassumendo al massimo, il problema filosofico-politico che vogliamo porre è il seguente: se per la critica postmoderna, almeno nel senso del postmodernismo critico, l’incredulità nei confronti delle metanarrazioni coinvolge anche la democrazia, quale può essere lo sbocco di tale coinvolgimento? Nonostante il disincanto, un punto di vista postmoderno deve considerare la democrazia ancora come una risorsa, come un ideale regolativo ancora valido, anche dopo lo stato di dichiarazione della crisi della modernità, oppure no? Se il postmoderno deve trascinare la democrazia sul banco degli imputati, in nome di cosa ciò può essere fatto, al di là di una riproposizione enfatica del tema della delegittimazione delle metanarrazioni della modernità, che rischia anch’essa di diventare una nuova narrazione ideologica? Cosa può, al di là del rècit della fine o della delegittimazione dei ‘grands rècits’, caratterizzare un punto di vista postmoderno sulla crisi della democrazia? La nostra tesi è che, assumendo un punto di vista di postmodernismo critico, la democrazia, considerata nelle sue forme contemporanee e reali, quelle cioè in cui si è manifestata da dopo la Rivoluzione Francese fino ai nostri giorni, possa essere contestata solo in nome della democrazia stessa, solo in nome di un pieno ed autentico concetto, che a taluni potrà apparire anche enfatico o critico-utopico, di se stessa. Una critica postmodernista alla democrazia non potrebbe fare a meno di contenere una denuncia ‘scandalosa’ ed inaudita (tale, almeno, apparirà ai più); il Potere mantiene sempre la sua faccia nascosta ed inquietante, il suo ‘dark side’, talvolta criminale, che, con difficoltà solo apparenti, resiste giacendo nel cuore delle democrazie del nostro tempo, finanche nelle loro versioni più avanzate e politically correct. Inedito, avanzatissimo, punto di vista postmoderno oppure vecchio becero qualunquismo o riemersione in panni nuovi dell’eterno pessimismo reazionario? Lasciamo la questione in sospeso. Il dato che più ci preme far rilevare a questo riguardo è che oggi sul mercato delle idee ci sono diverse correnti di pensiero critiche verso la democrazia. Una raccomandazione sempre valida è quella di assumere verso queste ultime un atteggiamento vigile, che sia in grado di rilevare tanto le enfasi e gli abusi ingiustificati, quanto le sostanziali e profonde differenze (al di là delle apparenti assonanze) che esistono fra queste. Da un lato, la critica postmodernista alla modernità (ed anche alla democrazia) non può essere banalmente confusa con l’antimodernismo contenuto nelle espressioni più alte del pensiero filosofico del 1900 (basti pensare ai due filoni antomoderni che si richiamano ad Adorno e, sul versante opposto, ad Heidegger) e neppure con l’antimodernismo (non di rado antioccidentale) di correnti più recenti di pensiero, sia interne all’Occidente che esterne (il fondamentalismo islamico), sia di destra (ci viene in mente la Nuova Destra franco-italiana), che di sinistra (il movimento noglobal, che ha ereditato tutti i filoni di estrema sinistra di critica alla democrazia capitalistica, alla socialdemocrazia ed all’Occidente, dipartitisi dal marxismo antagonista e radicale). Molto probabilmente, ciò che differenzia una critica postmodernista, e, soprattutto, una critica dal punto di vista del postmodernismo critico da altre correnti di pensiero della contemporaneità che esprimono una critica alla modernità, è il fatto che, per la prima volta, la critica alla modernità è legittima e possibile senza che il suo esercizio comporti necessariamente il ripudio o la demolizione del pensiero occidentale (quanto meno, non di tutto il pensiero occidentale). Dall’altro lato, per tornare all’aspetto critico che coinvolge più specificamente l’analisi delle democrazie contemporanee, non siamo così ciechi da affermare che non sia cambiato niente dal 1789 ad oggi nel campo dei diritti umani, civili e sociali. Può essere allora che il Postmoderno, inteso anche come nuova filosofia politica, abbia trovato, negli anni recenti, diritto di cittadinanza anche perché i fallimenti della modernità sono filosoficamente più significativi e, quindi, paradossalmente più gravi rispetto a quelli del plurimillenario potere premoderno? C’è una costituzione formale delle democrazie contemporanee e c’è una parallela costituzione materiale, all’interno della quale l’eterna logica del dominio sopravvive e continua ad operare. Ulteriore e “scandalosa” conseguenza del disincanto postmoderno; se il Potere, anche quello sorridente e formalmente, apparentemente, iperdemocratico, potesse davvero neutralizzare, di fatto, le complicazioni della democrazia (garanzie e diritti compresi), se potesse, per dirla in termini luhmanniani, ridurre la complessità ambientale (e, forse, non solo quella) non si farebbe certo scrupolo di farlo. Ciò che distingue le odierne democrazie occidentali dai tratti politici di altri Paesi non occidentali e o dai sistemi politici dell’Europa di altri secoli non è la naturale tendenza intrinseca del Potere, che era e resta pura logica di autoconservazione, dominio e sottomissione dei cittadini o dei sudditi, ma le condizioni storiche di contorno o, per essere più precisi, gli anticorpi che sono maturati nella società (magari, grazie anche agli output emessi dagli stessi sistemi politici democratici) e gli altri poteri che si sono candidati a contendere al sottosistema politico il Potere (la finanza, l’economia, la cultura, ecc.) man mano che le società rette da sistemi politici ‘formalmente’ democratici si arricchiscono di strutture accelerando così il processo di differenziazione funzionale infra ed extrasistemico. Perfino gli altri poteri, in determinate condizioni contingenti, non sono immuni dalla tentazione di invadere tutto lo spazio politico. Nelle società formalmente democratiche quindi, ed è veramente paradossale questa condizione, il pericolo di involuzioni antidemocratiche può venire da moltissime parti piuttosto che da nessuna.
La critica postmoderna trova un suo terreno specifico di azione in questo disincanto. Quest’ultimo non è affermativo ma neppure inerte; è delegittimante, ma non necessariamente distruttivo. La logica del dominio insediatasi anche all’interno delle società avanzate e formalmente democratiche è quanto il pensiero liberale classico e/o conservatore non riesce a vedere oppure, semplicemente, si rifiuta di vedere. Sul versante opposto, coloro che esprimono una critica totalizzante verso la democrazia ‘reale’ hanno l’interesse e gli strumenti cognitivi per individuare questa contraddizione, ma si servono di questa critica allo scopo di demolire liberalismo, capitalismo e, forse, anche la democrazia classica liberale insieme alla modernità ed al pensiero occidentale fondendo tutti questi concetti in un unico blocco in cui tutte le vacche sono nere. Questi critici totalizzanti del Moderno non sono interessati a liberare le potenzialità della democrazia liberale, né di quella ideale e neppure di quella reale, e, quindi, neppure sono interessati ad una ricerca che possa mettere in luce i conflitti, ma anche i nessi tra Postmoderno e Democrazia. Naturalmente, sarebbe parziale e limitativo intendere il Postmoderno nell’ambito specificamente filosofico-politico come una forma aggiornata di democrazia radicale tout court, come un proseguimento radicalizzato di quella stessa modernità che si incarica di delegittimare e di criticare. Lo scandalo consistente nel denunciare la democrazia in nome della stessa utopia democratica (utopia nel senso, beninteso, di un ideale regolativo cui tendere con la ragionevolezza che la materia pretende), nel superamento democratico della democrazia reale o realizzatasi in Occidente, non è sufficiente ai fini di una messa a fuoco del postmodernismo politico. Esso va ricercato e costruito anche in nome di altri valori, non necessariamente ereditati da culture politiche democratico-radicali; la qualità delle èlites (punto debole per la legittimità delle istituzioni democratiche realizzatesi), la qualità della vita, la moralità pubblica, la verità ed altri ancora. Il Postmoderno si trova, quindi, al punto di incrocio fra democrazia radicale (nella dialettica moderno/postmoderno quest’ultima è, a sua volta, sospesa a metà, con conseguente incertezza circa la questione della sua collocazione, nel senso che una concezione ‘allargata’ della modernità, spinta fino ai suoi limiti estremi, può ancora contenerla) e materiali recuperati di diversa estrazione e di diversa provenienza, anche molto antichi e che richiedono una risistemazione in forme aggiornate, in ogni caso, in forme più adeguate rispetto alla complessità del mondo contemporaneo. Pur in mezzo alla dispersione del senso, alla delegittimazione, al disincanto, all’intimazione a non ricadere nell’affermatività dei valori, un ideale regolativo di fondo deve esserci da qualche parte, deve rimanere da qualche parte, per quanto nascosto. Noi pensiamo, nell’ottica di un punto di vista di postmodernismo critico, che questo ancoraggio irrinunciabile e resistente a qualsiasi critica antimetafisica (nel senso di Heidegger e, per quanto riguarda la filosofia italiana contemporanea, anche di Vattimo) possa essere costituito dal valore della qualità della vita ed in ogni caso da nuove forme di umanesimo che possano ancora sopravvivere allo stato di cose odierno. Si potrebbe trattare dell’attualizzazione degli antichi validi precetti aristotelici sulla felicità degli esseri umani come scopo ultimo, il più alto e nobile, dell’attività politica oppure potrebbe trattarsi anche della rivisitazione dell’adorniana ‘vita buona’ (in fondo, non tanto lontana dall’habermasiana buona modernità), che, in altri termini, era la cifra di un umanesimo borghese otto-novecentesco, da tempo estintosi a causa della massificazione tardomoderna, oppure ancora potrebbe trattarsi della traduzione concreta nella prassi delle nostre società contemporanee di una teoria post-materialistica dei bisogni di più recente definizione.

PINO A. QUARTANA

 

(Nella foto; il filosofo francese Jean-Francois Lyotard, il ‘caposcuola’ del postmodernismo filosofico).

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