In altre situazioni, ed in altri contesti, si è affrontato il tema del centro storico di Potenza, delle sue antiche mura e degli accessi alla città stessa. In molte citazioni, si è sempre sostenuto come, in realtà, soprattutto nel Medioevo, ma, in parte, anche nelle epoche successive, l’accesso carrabile alla città, fosse, per vari aspetti, almeno in alcuni casi, delegato alla sola Porta Salza, vuoi per la morfologia del terreno, vuoi per situazioni di necessità, Quest’ultima, come molti sanno, venne abbattuta nel 1818, perché si doveva rendere più facile l’accesso alla via Pretoria. A tal proposito, ricordiamo che una delle poche testimonianze della presenza di tale accesso è quella relativa a Raffaele Riviello, Il quale affermava che tale abbattimento venne deciso dal Decurionato il 2 ottobre 1817. Molti ricorderanno, in un precedente articolo pubblicato dal sottoscritto, le immagini della ricostruzione storica tridimensionale relativa a tale manufatto architettonico. Logicamente l’immagine che si ha delle porte della città di Potenza è quella relativa a Porta San Gerardo, Porta San Luca, e Porta San Giovanni, che sono le sole porte medioevali sopravvissute allo scempio della ricostruzione dei vari post terremoti. In realtà, vi sono degli accessi alla città totalmente, o quasi, sconosciuti ai più, sia per la totale distruzione degli stessi, sia per la mancanza di documentazione storiografica relativa. Porta Mendola ne è l’esempio forse più eclatante. Una porta dimenticata, eppure, senza alcun dubbio, uno degli accessi di maggior interesse storico ed architettonico del capoluogo lucano. Questa porta si trovava fino al 1937 esattamente nel punto in cui via Orazio Petruccelli si interseca con la Via del Popolo, cioè esattamente sull’attuale fronte d’ingresso degli ascensori che da quel punto conducono a corso XVIII Agosto. La documentazione relativa è piuttosto scarsa; essa si basa su alcune foto del periodo precedente al procedimento di abbattimento dei vicoli attigui alla porta, e di una planimetria qui raffigurata, sempre del 1937, dove sono tratteggiati gli abitati che poi furono demoliti per far posto all’attuale palazzo dell’INA. Alcune testimonianze storiche, in realtà, sono presenti in pochi scritti riportati e che fanno fede ad una documentazione relativa a passaggi di proprietà ed affini, che vanno dal 1538 fino al 1882. Vi sono alcune delibere, come, ad esempio, quella del 17 giugno 1865, che è relativa ai provvedimenti per la realizzazione della via del Popolo, e, specificamente, del gruppo delle scale successivamente costruite. Questa delibera mette in evidenza, in modo particolare, come la zona di cui stiamo parlando a quel tempo fosse posta su una rupe quasi inaccessibile e come, all’interno di questa, ci fosse tutta una serie di grotte e cunicoli. In una successiva deliberazione dell’8 luglio 1865, il consigliere Bonaventura Ricotti, afferma che al di sotto dell’antica Porta, che era connessa ad una torre (detta “Torre della gallina dalle uova d’oro” e sulla quale il sottoscritto sta raccogliendo testimonianze), vi fossero profondi fossati e canaloni. In realtà, erano delle antiche carbonarie costituitesi, presumibilmente, all’inizio del 1800, e il cui scopo era proprio quello di produrre carbone e carbonella (potrebbe essere questo il motivo per il quale la via pubblica sottostante fosse indicata, all’epoca, come Via dei Carbonari). Questo particolare punto alla città, assumerà nel 1880 un valore estremamente importante perché fornirà un collegamento, attraverso la costruzione delle scale (attigue agli attuali ascensori), della città alla parte sottostante, cioè all’apertura, che venne di lì a poco tempo dopo, del nuovo tronco ferroviario di collegamento tra Potenza a Napoli. Tutto ciò avveniva nel 1800, ma nel Medioevo? In particolar modo, cosa avveniva nel periodo aragonese, quali erano le caratteristiche di Porta Mendola? Da quello che si è potuto evincere dalla documentazione ottocentesca, la zona in oggetto era estremamente impervia. Ciò fa supporre che in epoca precedente questo accesso alla città fosse strategicamente importante in caso di attacchi esterni. Da documenti esistenti, si sottolinea come il terreno in prossimità di Porta Mendola fosse ricco di piccoli vigneti ed orti e, di conseguenza, come l’accesso fosse di servizio per coloro che qui ci lavoravano e che trasportavano masserizie a dorso di mulo. Molto si è detto sul nome “Porta Mendola”, forse, per il fatto che si trovasse sul luogo un mandorlo. Ma su tali motivazioni personalmente nutro forti dubbi. Credo, invece (sto portando avanti alcuni studi al riguardo), che il nome derivi da tutt’altra storia. Tornando alle caratteristiche della porta, dai registri storici della parrocchia di San Michele è venuto fuori un documento del 1547 che riporta la seguente descrizione: “vigna justa lo calancon che vene da la porta mendola et ej co le olive la ditta vigna”. Un altro documento del 1571 recita: ”una vigna con lo puozo fazi fronte alla porta mendola, fittata a Cesare Del Grosso”. Vi sono, per finire, alcuni dati fondamentali che testimoniano le caratteristiche della zona di Porta Mendola. In particolare, il 24 settembre 1830 un certo Gerardo Genovese cede alla Confraternita del Monte dei Morti una stanza di casa mezzana nel vicoletto di Porta Mendola, “da quale confina verso levante e a mezzogiorno sporge fuori le mura della città e di forma rotonda a guisa di Torre”. Porta Mendola o Portamendola, come spesso viene citata, non è un nome su uno stendardo durante la sfilata dei Turchi. Nonostante ciò, è un pezzo di storia fondamentale per la città di Potenza. In epoche, più o meno, recenti quante cinte murarie di città e paesi sono scomparse per far posto a strade, ponti,palazzi, tutto sempre nel nome del sano recupero della qualità urbanistica? E quanti hanno privilegiato, invece, Il recupero storico, storiografico di qualsiasi centro? Pensiamo al caso di Porta Mendola. La su collocazione era a meno di cento metri dall’attuale Piazza Prefettura, lungo una struttura muraria che oggi è, solo in parte, occultata dalle attuali abitazioni su Via del Popolo. Se consideriamo ciò che il sottosuolo di Potenza in molti punti cela e nasconde, soprattutto in quella zona, in modo particolare, basterebbe veramente poco per “far luce” su patrimoni architettonici con troppa leggerezza dimenticati.
DOMENICO VIGGIANO