Potenza città più brutta d’Italia, città più brutta d’Europa. Mi sono chiesto tante, tante volte da dove nascesse un giudizio così eclatante, devastante e delirante, chi l’avesse formulato, chi l’avesse diffuso. La risposta finalmente l’ho trovata. Questo giudizio ha cominciato a circolare senza trovare resistenza (per motivi che dirò un’altra volta) a partire dal 1982-1983. Cosa succede in quell’anno? Mentre Potenza è a terra, è a pezzi, cerca di uscire dal trauma del terremoto e di riprendersi, anche con una ristrutturazione del centro storico che non sarà, magari, stata perfetta, ma che, comunque, è stata notevole e di buon livello, come hanno scritto in tanti (l’ho sempre riconosciuto a favore di Tanino Fierro, il sindaco di quegli anni terribili), dicevo, mentre agli inizi degli anni ’80 Potenza è prostrata e cerca di rialzarsi, un giornalista materano con fama di meridionalista, Leonardo Sacco, direttore di ‘Basilicata’, una rivista dove si parlava per lo più dei Sassi di Matera e di altre questioni materane, dà alle stampe un libro dal titolo Il cemento del Potere, un libro, l’unico e senz’altro il primo dedicato allo sviluppo urbanistico di Potenza nel secondo dopoguerra. Lo lessi a suo tempo appena uscì e non mi piacque. Mi sembrò sin dalle prime pagine notevolmente fazioso, non solo o non tanto contro Colombo, ma contro i potentini, contro l’idea stessa di Potenza. Poi, ventisette anni dopo, fu ristampato. Ne riprendo un brano: “La prima piazza in cui Colombo non potrebbe essere osannato è quella della sua città, poiché in conseguenza della sua attenta strategia politica, essa è cresciuta in modo tale da essere comunemente definita “la città più brutta d’Italia”». Voglio chiarire subito e con la massima energia che la mia polemica contro l’oggi novantenne Sacco non ha nulla a che fare con una ipotetica difesa della condotta politica di Emilio Colombo. Chi mi conosce appena un po’, anche solo di nome, sa che l’ultima persona non solo a Potenza, non solo in Basilicata, ma in Italia che potrebbe difendere l’operato politico di Colombo e della Democrazia Cristiana sono proprio io, In Italia; non solo a Potenza. Basta informarsi. Basta andare su Facebook. Quindi, il lettore non prenda lucciole per lanterne. Non polemizzo con Sacco per difendere l’operato di Colombo e della DC. Neanche in un incubo dell’horror potrebbe capitarmi di farlo. Polemizzo, invece, perché già dalla prima lettura nel 1983 (lo lessi tutto di un fiato e ricordo ancora la copertina che era quelle dei libri della De Donato, casa editrice barese orientata verso il PCI) intesi la polemica politica come un furbo espediente discorsivo di un materano, anzi, di un capofila dei materani basilischi, per demonizzare Potenza. Al contrario di quello che anche un lettore smaliziato può pensare, il discorso sull’estetica della città non serviva a Sacco da pretesto per condurre una battaglia politica da parte di un materano socialista, ma, in realtà, sempre più vicino al PCI che al PSI, contro Colombo e la DC (cosa di cui, come si dice a Roma, non me ne sarebbe fregato di meno), ma tutto il contrario. Già nel 1983, quando lessi l’edizione originaria, mi sembrò che la polemica politica contro Colombo fosse, in realtà, un pretesto per demonizzare Potenza o, se si vuole, per danneggiarla, giochetto che, poi, purtroppo, ha funzionato benissimo e per tanti anni, ancora fino ad oggi, danneggiando notevolmente l’immagine della città (complice anche l’ignavia della sua classe politica e dei suoi intellettuali, diciamo così…). Di certo, la chiacchiera velenosa circolava ad opera di circoli materani già prima del 1982-83, ma non ricordo che prima degli anni ’80 ci fosse in giro questo luogo comune su Potenza come città più brutta d’Italia o, addirittura, d’Europa o, perché no a questo punto?, anche del mondo e, dunque, mi viene proprio da pensare che dobbiamo questa voce a quel che Sacco scrisse nel 1982 trovando, già allora, il partito dei basilischi ben attivo e pronto a riprendere ed a diffondere la nomea deturpante dappertutto. Sacco scrisse che Potenza era già comunemente definita, la città più brutta d’Italia. ‘Comunemente definita’ da chi? Le fonti della notizia? Che modo scorretto moralmente e culturalmente squalificante di atteggiarsi a vate della cultura regionale. Sacco lanciò il … Sasso (è proprio il caso di dirlo, vista la sua origine) e poi nascose furbescamente la mano, rifugiandosi genericamente dietro un giudizio non solo così indeterminato, ma anonimo. Dopo trentatre anni, leggo la recensione fatta tre anni fa dal quotidiano ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’ in occasione della ristampa di quel libro e confermo pienamente quella mia impressione di lettore che ebbi nel 1983. Doveva avere coraggio e dire: ”Sono io che dico questo, questo giudizio è il mio” e non nascondersi dietro un giudizio anonimo ed immaginario. Che poi schiere di imbecilli usi solo alle cure della (sub)cultura (definizione neutra del sociologo Giner) basilisca e strapaesana abbiano avallato e amplificato quella invenzione di Sacco, questo non dice niente della effettiva cifra estetica del capoluogo lucano, ma solo dell’ignoranza molto diffusa in questa regione. E, si badi bene, non parlo solo per legittimo orgoglio di campanile, solo perché ho sempre avuto una idea diametralmente opposta di Potenza ed anche di Matera (e sì, Sacco, anche di Matera) o per ripicca, ma perché chi ha voluto firmare e diffondere quel giudizio è uno che dovrebbe uscire una buona volta fuori dai suoi angusti recinti cittadini perché non conosce né le città italiane e neppure quello che si scrive in tanti ambiti della cultura contemporanea da anni ed anni. Sarebbe bastato il mio articolo di due settimane fa per chiudere la questione. Tutte le città italiane, tutte le periferie delle città italiane hanno assistito ad una rapida crescita di palazzi moderni che, di certo, non hanno un grande appeal estetico e turistico, diciamo così. In quell’articolo scrissi che le città si paragonano per i loro centri storici e non certo per le periferie moderne. Scrissi pure che non si capisce perché questa regola non debba valere solo per Potenza, ma debba valere, invece, per le altre novantanove storiche città d’Italia (il Paese delle cento città), per non dire di quelle del mondo. ‘Colate di cemento’, scrisse Sacco e l’immagine si è fissata nei cantori basilischi, così come si fissò (ed ancora agisce) quella di Levi che parlò di ‘dolente bellezza’ dei Sassi. In questa regione bucolicamente ed arcadicamente rimasta culturalmente ferma nella sua dimensione atemporale, dove la preistoria e la metastoria sono più importanti della storia stessa, i fatti della grande cultura moderna e contemporanea, i fatti dell’alta cultura arrivano a pochissimi, che, però, non riescono a comunicarli nemmeno nel proprio rione o nel proprio paesino ed arrivano sempre con sessant’anni di ritardo. Siamo figli di una regione abitata da tante monadi leibniziane e l’informazione, così come la cultura ‘alta’ non circolano. In molti casi, non arrivano mai ed ecco perfettamente spiegato il perché del fatto che dopo decenni ancora rimane indiscusso ed indiscutibile, come atto di fede basilisco, il luogo comune ignorante ed idiota di Potenza come città più brutta d’Italia/d’Europa/del mondo/del sistema solare (vorrei proprio sapere dal novantenne Sacco quante città, a parte Matera, può dire di aver conosciuto almeno un pochino in Italia). Non credo molte, anzi, credo davvero poche. Se avesse avuto un pochino di attenzione anche alle faccende extrasassaiole, si sarebbe almeno accorto del fatto che anche la sua Matera è stata riempita di cemento, tanto per cominciare. Il problema non è il cemento in quanto tale. Lo so che per Sacco e per molti basilischi, materani e non materani, il cemento suona ancora come una cosa strana, come tabù, come sfregio alla pseudo-innocenza contadina. I basilischi, si sa, sono abituati a decantare solo le lodi del tufo, del tufo sempre sporco ed annerito. Eppure nel mondo moderno dall’Italia alla Cina, dal Brasile a Londra, tutto si costruisce col cemento. Il tufo non sanno manco cos’è. Col cemento si è costruito, in tempo record, tra l’altro, l’Empire State Building, che è una delle meraviglie architettoniche del mondo moderno e che, insieme alla Statua della Libertà, attrae a New York ben 56 milioni di turisti all’anno. Sì, avete letto proprio bene, cari lettori di ‘Potentia Review’; 56 milioni i turisti di tutto il mondo che ogni anno visitano New York, la capitale mondiale dei… ‘palazzoni di cemento’. Se quei 56 milioni di turisti (lo ripeto, 56 milioni di turisti all’anno) fossero tutti afflitti dalla nevrotizzante ed insopportabile retorica leviano-pasoliniana, dalla ormai indigeribile retorica basilisca del tufo, dei Sassi, del mulo nella grotta, del presepe contadino (senza più contadini veri) cioè dalla preoccupante malattia culturale o pseudo-culturale di questa regione, allora non ci andrebbe nessuno a New York. Se quella retorica iperprovincialistica, strapaesana, che affligge la nostra regione, fosse egemonica anche nel mondo, così come lo è in questa povera terra di Basilicata, New York potrebbe chiudere. E, con New York, tutto il mondo moderno. Sacco e gli altri suoi sodali basilischi e materani, ma anche non materani e finanche qualcuno potentino, hanno voglia a rompere le orecchie officiando per la miliardesima volta i riti leviano-pasoliniani prima di vedere tutti insieme 56 milioni di turisti nei Sassi, tanto per dire sui pregiudizi contro l’arte, l’architettura ed il mondo moderno così tenacemente coltivati per decenni e fino allo sfinimento dai basilischi. Ma comunque Sacco può anche evitare di arrivare a New York. Basta che giri un po’ l’Italia ed avrà modo di scrivere finalmente delle cose a ragion veduta. Si rechi in qualsiasi città italiana e particolarmente al di sotto della linea Roma-Pescara ed avrà modo di vedere sia tanto, ma tanto cemento che città veramente brutte. O, comunque, anonime, magari leggiadramente anonime, ma certo non belle. Vuole qualche dritta? Frosinone. Latina. Foggia. Tra le città anonime, anche se carine, citerei Pescara. Ci sono ripassato sette giorni fa. Il corso principale della città, la via elegante, è sempre la stessa; il brevissimo Corso Umberto I°, simpatico ammasso casuale di costruzioni di tutti gli stili, ma tutte senza particolari qualità. Così come a Salerno a Corso Vittorio Emanuele. Senza dire del fascino specifico o di quel pizzico di magia che caratterizzano una città bella e che permettono di distinguerla da una brutta, o, semplicemente, da una anonima ed insignificante, di quelle che puoi scambiare con qualsiasi altra, come accade per le città degli Stati Uniti. Nel libro di Sacco non c’è nemmeno una sola di tutte queste fugaci notazioni. Ma, allora, di che stiamo a parlare? I problemi del cemento, così come di tutta l’architettura modernista, funzionalista, International style fino al brutalismo sono altri. Additare al ludibrio sic et simpliciter il cemento in quanto tale non significa nulla. Assolutamente nulla se poi non si riesce a dare ragione dei criteri oggettivi che possano far capire in cosa consista precisamente la negatività del cemento. Parlare di cemento in termini così vaghi, così come per ogni altra discussione importante, toglie qualsiasi interesse serio, scientifico alla discussione. Il cemento può essere negativo in varie accezioni; può essere inteso come eccesso di volumetria e di altezza dei palazzi, come qualità del design di un edificio oppure come deperibilità dei materiali di costruzione, può alludere a spazi verdi eliminati per far posto ai palazzi moderni oppure può significare proprio una petizione a favore della totale eliminazione del cemento dalle costruzioni moderne. Oppure può alludere alla costruzione di manufatti cementizi inutili (e questa è una cosa che abbiamo visto a Potenza, ma la vediamo in qualsiasi altra città). Non si sa a cosa si riferisca esattamente il pregiudizio anti-cementizio. Si sa e si capisce solo che questo modo dozzinale di avversare il cemento può permettere a chi se ne fa promotore la possibilità di manipolare a suo piacimento la questione, con gli effetti demonizzanti che vediamo da tanti anni a carico, nel caso che più ci riguarda da vicino, esclusivamente di Potenza, e qui la disonestà intellettuale dei detrattori di professione della città arriva veramente al culmine. Quindi, e lo ripeto, la demonizzazione fine a se stessa del cemento non significa nulla. Anche per altri motivi. Per dirne un altro, finanche gli esperimenti più spinti dell’architettura moderna, che certamente non raccoglie in Italia ed in Europa gli stessi favori delle architetture delle epoche passate, riservano qualche piacevole sorpresa. Lasciando da parte il discorso sui palazzi normali adibiti a civile abitazione, che denotano le parti moderne di tutte le città occidentali, tutte ugualmente anonime in ogni città, magari non proprio brutte, ma anonime, le architetture contemporanee hanno prodotto anche delle notevoli opere d’arte, che poi piacciano o meno al grande pubblico. Ci sono realizzazioni, magari firmate dalle grandi archistar del momento a livello internazionale, che non piacciono alla gente, ma che, invece, sono portate dalla critica ad esempi di arte moderna. Se Sacco capisse o avesse capito davvero qualcosa della materia di cui trattava in quel suo libro, avrebbe colto proprio a Potenza un paradosso formidabile delle correnti dell’architettura contemporanea, correnti che sono certamente anche molto discutibili. Sì, certo, proprio a Potenza. Sembra davvero incredibile, ma è proprio così. Cerco di essere più chiaro. I potentini debbono a Sacco la nascita di questa velenosa e infondatissima nomea della città più brutta d’Italia che poi qualche basilisco, magari suo concittadino, ha ripreso ed ingigantito a dismisura fino a che, ad un certo punto, si è cominciato a parlare di città più brutta d’Europa (come se la spacconata basilisca sacchiana non fosse già sufficiente ad apparire ridicola). Se Sacco ed i basilischi capissero davvero qualcosa di queste questioni, si accorgerebbero, anche fuori tempo massimo, che proprio Potenza smentisce, a livello nazionale ed internazionale, non solo la strapaesana denigrazione basilisca del cemento, ma smentisce finanche, cosa di notevole interesse per tutti gli studiosi di storia dell’architettura e dell’arte moderna, la regola secondo cui quelle correnti, compresa l’esasperazione del brutalismo, producono solo brutture estetiche. Due parole sulla corrente brutalista. La parola brutalista non fa riferimento né ad una architettura brutta (anche se poi per altri motivi questa piega ha preso in seguito) e neppure ad una architettura di tipo brutale (ed anche questa accezione le si è appiccicata addosso), ma deriva da un neologismo coniato dal grande architetto Le Corbusier. Brutalismo viene da beton brut. E’ un termine applicato ad un particolare uso del cemento armato a vista, del cemento grezzo a vista. Il brutalismo è l’apoteosi, quindi, del cemento, che, in alcuni riesce addirittura a provocare sincopi e stati isterici ai nostri corregionali basilischi. Eppure, accanto a costruzioni che sono solo da abbattere, autentici scempi, la corrente brutalista, anzi, finanche la corrente brutalista ha prodotto anche capolavori ed opere d’arte. Col cemento grezzo a vista. E, per tornare al paradosso, la cosa più clamorosa ed incredibile è che molti capolavori o opere d’arte si trovano proprio a Potenza. Sgombro il campo dagli equivoci. A Potenza si trovano, al tempo stesso, anche alcuni scempi del brutalismo e dell’architettura contemporanea basata sul cemento. Un esempio su tutti; il Serpentone, che è il nostro Corviale. Ma, nello stesso tempo, proprio a Potenza c’è una concentrazione notevole di opere d’arte moderne col cemento a vista. Faccio tre esempi e, credetemi, tre esempi del genere in una sola città sono proprio tanti, figuriamoci per una città di 70.000 abitanti, figuriamoci per Potenza, situata nella stessa regione dei basilischi, dei cultori acritici dell’arcaismo più sciocco. Il primo esempio è il più illustre, famoso a livello mondiale ed al quale dedicheremo vari articoli specifici in seguito; è il Ponte Musmeci (internazionalmente noto come Musmeci Bridge). Il secondo, è un caso, direi proprio, di brutalismo con ispirazione postmoderna ed è il dimenticato Palazzo della ex Banca Mediterranea sul quale Federico Zeri e Gillo Dorfles hanno speso giudizi quasi entusiastici. La casa editrice d’arte milanese Mazzotta dedicò al nostro Palazzo della ex Banca Mediterranea addirittura un libro. Ed anche di questa eccellenza parleremo ben presto in modo esteticamente approfondito. Poi, c’è un terzo luogo, da alcuni attribuito alla corrente brutalista, ma, in ogni caso, si tratta di un’opera architettonica di stile contemporaneo. Alludo alla sede dell’Ospedale Ortofrenico tra Santa Maria e l’Epitaffio. Ne parla Fabrizio Aimar in un sito di architettura moderna e contemporanea (pressletter.com): “Anche nel Bel Paese dominano incuria ed abbandono e solo ultimamente pare che vi siano dibattiti sul tema. Trascuratezza ed oblio che tormentarono fino a pochi anni fa il geniale Istituto Marchiondi Spagliardi di Vittoriano Viganò (1957) e che tuttora (il testo è di quattro anni fa n.n.) intaccano l’Ospedale Ortofrenico di Marcello D’Olivo a Potenza (1965-1968) e la magnifica Casa Sperimentale di Fregene di Giuseppe Perugini”. Credo che questa breve citazione basti già a far capire una cosa; che l’Istituto Ortofrenico di Potenza è una delle opere più rilevanti in Italia di questa corrente della architettura moderna e contemporanea. Chi fu Marcello D’Olivo (1921-1991)? Non fu solo uno dei più grandi architetti italiani, ma un intellettuale poliedrico, amico di Hemingway ed anche di Leonardo Sinisgalli. Il grande critico Federico Zeri lo considerava il Frank Lloyd Wright italiano. Vediamo ora che dice di D’Olivo l’edizione online del ‘Giornale dell’Architettura’ (14 aprile 2010): “L’ospedale ortofrenico di Potenza è un’opera di particolare pregio progettata e realizzata a fine anni sessanta dall’architetto friulano D’Olivo: un imponente complesso posizionato su un’alta collina con riferimenti brutalisti all’opera matura di Le Corbusier e alle geometrie in pianta di Frank Lloyd Wright. Visto il disinteresse della Soprintendenza, il recente tentativo da parte di associazioni locali di vincolare l’opera all’interno del nuovo Regolamento urbanistico è stato respinto dalla maggioranza del consiglio comunale”. Che dire di più? Intanto un ‘complimenti’ alla maggioranza del Consiglio Comunale del 2010, un vivo ‘complimenti’ retrodatato. In quanto ai poveri basilischi un solo consiglio; che viaggino un pochino, che visitino almeno le città italiane e del Sud, e se non vogliono farlo, allora continuino ad occuparsi esclusivamente delle sole cose di cui si occupano da decenni, delle sole cose di cui si possono occupare; la poetica della masseria sperduta, il cupa cupa, i briganti, i Sassi, il mondo contadino (glorificato da impiegati cioè da piccolo-borghesi… ah… la verità sociale della cultura…) e così via. Ma lascino stare Potenza e depongano la loro atavica frustrazione contro Potenza, quella frustrazione che si sfoga ciecamente con calunnie e denigrazioni ridicole, palesemente assurde, ma che vanno spacciando da decenni come verità rivelate (rivelate da chi?). E tengano bene a mente i signori basilischi di varie contrade regionali che Potenza ed i potentini non hanno mai risposto e reagito per decenni proprio per senso di responsabilità del capoluogo e dei suoi abitanti e figli, ma solo per tenere unita questa regione già altamente problematica. D’ora in poi, però, non sarà più così. Il misero gioco basilisco è smascherato. L’epoca del basilisco e strapaesano ‘tiro al piccione’ a senso unico contro quella che è l’unica vera città di questa regione, sicuramente contro l’unica città di radici europee di questa regione, è finita per sempre. E’ finita. It’s over!
PINO A. QUARTANA