Presentando il rapporto sull’economia della Basilicata relativo al 2015, la Banca d’Italia ci ha fornito ulteriori elementi per capire l’andamento del sistema economico regionale con particolare riferimento al ruolo del credito. L’analisi ha prospettato ovviamente soltanto un pezzo del quadro complessivo in cui si muove l’economia lucana. Abbiamo, come dire?, dati nudi e crudi come è nello stile della Banca d’Italia, quasi un quadro asettico che rende difficile interpretare fenomeni complessi che non attengono soltanto all’economia, ma che incrociano la politica, le istituzioni, la cultura in senso antropologico della società regionale, tutti fattori che spiegano cause ed effetti di ciò che lo stesso rapporto in questione contiene. Ma andiamo con ordine. Lo studio ci dice che nel 2015 l’attività economica in Basilicata ha mostrato un lieve incremento trainato dalla grande e media industria, sia metalmeccanica che agroalimentare. Significativi sono i dati sulle esportazioni, dove l’automotive incide per il 76%, ossia 30 punti percentuali in più rispetto al 2014. Parlando di un sistema produttivo di piccoli numeri è evidente che il rilancio di grandi aziende come la Fiat sposta in alto statistiche che finiscono col nascondere realtà produttive ed occupazionali stagnanti. La ripresa iperbolica della Fiat di Melfi ha significato non soltanto un incremento delle vendite di auto, ma anche maggiore occupazione che ha riguardato i giovani, meno le donne che continuano sostanzialmente a stare fuori dai cancelli delle fabbriche. Così come ha dato luogo a maggiori consumi ed investimenti soprattutto nel settore abitativo. L’agroalimentare è l’altro settore in grande espansione. La media e grande impresa (Barilla, Ferrero, ecc.) danno un notevole contributo alla crescita del valore aggiunto regionale e delle esportazioni. Il turismo è tendenzialmente in crescita, grazie in particolare alla città di Matera, che ha raddoppiato l’offerta in pochi anni, rivelandosi un fattore attrattivo di grande rilievo. Naturalmente non è tutto oro quello che luccica, le statistiche sono come i bikini delle donne, nascondono le parti migliori: Oltre il 30% dei salari e stipendi distribuiti dalla grande azienda ex torinese statisticamente viene attribuito alla Basilicata, ma riguarda lavoratori che provengono dall’esterno e che all’esterno spendono in massima parte le loro remunerazioni. La permanenza media dei turisti si è ridotta da 3,6 a 3,4 giorni, l’offerta turistica complessiva non cresce significativamente. Il commercio resta in molte realtà più attività-rifugio che altro. Gli imprenditori sono in una fase di attesa, mantengono la loro liquidità ricorrendo al conto corrente bancario, più che ipotizzare nuovi investimenti. Per dirla in soldoni, il quadro che emerge è quello di una regione fortemente dipendente dalla Fiat e dal suo indotto, dall’area del petrolio della Val d’Agri e dalla cultura dell’evento legato a Matera. I difetti economici strutturali, come la scarsa cultura di rischio che penalizza fortemente la regione, la debolissima piccola impresa locale, che compone circa il 95% del sistema produttivo regionale e che è in quanto tale poco aperta alla innovazione produttiva, ripiegata com’è a soddisfare parzialmente una domanda di prossimità e dunque scarsamente integrata nell’economia meridionale e nazionale, una spesa pubblica corrente enorme, a scapito di quella in conto capitale che, peraltro, è progressivamente diminuita negli ultimi anni, i prestiti alle imprese che continuano a contrarsi con particolare riferimento alle piccole e piccolissime aziende, il basso coefficiente di utilizzazione dell’offerta turistica, la sottoccupazione in molti settori tradizionali a basso valore aggiunto come l’agricoltura, la pubblica amministrazione, l’edilizia, che continua a mostrare segnali di debolezza, la burocrazia inefficiente sono temi che ristagnano nel panorama economico complessivo e che come macigni impediscono politiche di sviluppo. Su tali questioni il Rapporto è molto carente, avendo fatto evidentemente la scelta di fotografare nei limiti del possibile solo la realtà economica. La Regione Basilicata è concentrata ad attivare un sistema socioeconomico dipendente dalla spesa pubblica corrente, che non richiede riflessioni, progetti, strategie, che va in automatico, mettendo in atto tanta pioggerellina che versa nel deserto demografico e produttivo regionale. Non siamo preparati a sfide territoriali ed infrastrutturali di portata strategica. Faccio un solo esempio: il piano Juncker, faticosamente ottenuto dal Governo nazionale, che è possibile incrociare con i fondi strutturali, ha varato in Europa sessantaquattro progetti per 100 miliardi di euro e di questi solo undici sono italiani, mentre nessuno è programmato nel Mezzogiorno. Mancano, in realtà, imprese significative che possano e sappiano creare innovazioni di processo e di prodotto. La programmazione ed attuazione dei fondi strutturali europei 2014-2020 è ancora in stand by. La politica industriale regionale si limita a distribuire ‘a pioggia’ i fondi ad imprese spesso improbabili. Manca una politica turistica efficace finalizzata al raddoppio della stagione turistica, cosa fattibile per il clima e per gli esercizi alberghieri ed extralberghieri già funzionanti ed a creare una offerta turistica ottimale avendo giacimenti turistici utilizzati al 20% della loro potenzialità. Manca una seria politica di manutenzione e valorizzazione del territorio. Per farla breve, manca una politica di programmazione. Le responsabilità di questa azione fallimentare che tendenzialmente amplia il divario tra la Basilicata ed il resto del Paese sono evidenti: la politica, la burocrazia, i corpi intermedi, la borghesia professionale e produttiva, la domanda “particolare” dei cittadini-sudditi.
Siamo in un vicolo cieco. Manca persino uno straccio di dibattito a tutti i livelli su come uscirne. Un soggetto scarica sull’altro le cose da fare. Mai una visione d’insieme. E’ la Basilicata, bellezza, direbbe Humphrey Bogart.
NINO D’AGOSTINO
(Nella foto – Il bel palazzo della Banca d’Italia a Potenza)