E’ difficile credere che la Basilicata geografica possa essere un luogo importante. Una regione con una scarsa demografia dovrebbe essere, in termini politici ed economici, sempre un luogo marginale. La scarsa spinta demografica comporta scarsa domanda di beni, scarsa offerta di forza lavoro, scarsa circolazione di denaro. Senza una popolazione numerosa ed in espansione l’economia arranca, predominano i settori di sussistenza, scarseggiano le idee e le innovazioni.
Eppure la Basilicata, per una fortunata concorrenza di motivi, si può considerare un luogo di fondamentale importanza geostrategica non solo regionale, ma addirittura globale.
Innanzitutto il petrolio: la presenza di giacimenti di idrocarburi in tutto il territorio rende la Lucania una terra dalle grandi potenzialità strategiche. La paludosa politica locale, come emerso in numerose inchieste (giornalistiche e giudiziarie), tutto è fuorché politica di provincia: al suo interno si determinano gli equilibri tra potenti lobby economiche, grandi carriere politiche, opachi retroscena burocratici. La politica lucana, cresciuta all’ombra di uno dei più importanti “asset” nazionali ed europei, è molto meno “periferia” di quanto sembri.
Poi la posizione. La collocazione della Basilicata al centro dei tre mari (Ionio, Tirreno e Adriatico) è un formidabile valore aggiunto. Già tessera-chiave del sistema d’allerta radio della guerra fredda (due antenne fondamentali: monte Vulture e Pietra Ficcata a Salandra), la Basilicata è il luogo più baricentrico di tutto il Mediterraneo.
In termini economici e strategico-militari il vantaggio è evidente: un enorme deposito di idrocarburi al centro di un mare sul quale affacciano alcuni degli eventi più drammatici del nostro secolo: le primavere arabe, la recrudescenza del jihadismo, la crisi dei migranti. Un deposito di energia (senza parlare dei grandi spazi per le energie rinnovabili) nel bel mezzo di uno scenario delicatissimo ed esplosivo. Persino i grandi oleodotti euroasiatici, quelli che dovrebbero rendere ininfluente la rotta ucraina e sconvolgere gli equilibri euroatlantici, dipendono dalla disponibilità di idrocarburi lucani in relazione al fabbisogno dell’Europa meridionale.
Ancora: l’acqua. Se è vero che la disponibilità di acqua rende possibile l’impianto di infrastrutture produttive, allora ecco che si comprende facilmente un altro aspetto, niente affatto secondario in tempi di grandi cambiamenti: la Basilicata non è un deserto inospitale, ma un luogo dove è possibile costruire, trasferire, mantenere impianti produttivi. Questa potenzialità, la stessa, in fondo, che dà importanza strategica globale al Tibet, fonte d’acqua per tutta l’Asia meridionale – è essa stessa una risorsa strategica.
La povertà endemica e la scarsa popolosità la rendono, infine, un sito ideale per operarvi scelte politicamente non praticabili altrove. Il deposito di uranio/plutonio della Trisaia di Rotondella e il tentato blitz per impiantare il sito unico nazionale delle scorie nucleari sono solo due esempi che stanno a dimostrare che la Basilicata è tutt’altro che sconosciuta, ai piani alti del potere.
Viviamo in un’epoca in cui ogni cosa ha un prezzo di mercato e tutto è in vendita. È ragionevole credere che anche la Basilicata lo sia, e che il prezzo sia molto più alto di quello che ci si aspetterebbe.
Tutto sta a scoprire chi sono i venditori, e chi (soprattutto) gli acquirenti.
PIO BELMONTE