TUTTA LA VERITA’ SULLA FIGURA DI GIOVANNI ANDREA SERRAO

Il 1799 potentino è abbastanza conosciuto, almeno dai potentini, ovviamente, ma solo fino ad un certo punto. A Potenza la fonte primaria di documentazione è stata la Cronaca potentina del Riviello nella quale ciò che accadde a Potenza nel 1799 è ben descritto e riportato, anche se nel momento in cui il Riviello scriveva e pubblicava quel libro erano passati già quasi novanta anni dalla proclamazione a Potenza della Repubblica giacobina. Ciò che invece la storiografia ancora oggi non ha messo in evidenza e non ha valorizzato sono altri aspetti di quelle vicende storiche; la effettiva consistenza del personaggio Serrao e la risonanza esterna, in Italia e finanche in Europa, dei moti giacobini potentini del 1799. Cercherò con questo breve scritto di sviluppare anche quei due lati, in tutto o in parte misconosciuti o addirittura sconosciuti del tutto.

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Agli storici locali (che sono stati e sono pochissimi, in verità) è sfuggita del tutto, così mi sembra leggendo i loro testi, la dimensione reale del personaggio Serrao. Quando arrivò a Potenza per rilevare la guida della antichissima Diocesi potentina non era un nome qualsiasi. Non lo era per la Chiesa, ma non lo era soprattutto per il Regno di Napoli. E’ questa grandezza di Serrao, già precedente a quella testimoniata dal suo martirio compiuto a Potenza, dal suo assassinio nella Cattedrale, per riecheggiare Thomas Eliot ed il suo celebre libro, che è sempre sfuggita alla cultura locale, sia lucana, ma soprattutto potentina. Con ciò non voglio dire che a Potenza ed in Lucania la grandezza del Serrao non sia stata colta. O, meglio; è stata certamente colta sia dagli studiosi locali che dal popolo, ma questa grandezza la si è colta solo, credo, in relazione alle vicende potentine. Insomma, la figura storica di Andrea Serrao è ancor più grande di ciò che in loco si crede e mi riferisco a quanto di lui non è stato considerato rispetto a tutto ciò che egli rappresentò e fece prima di arrivare a Potenza come Vescovo.  Non è mia intenzione quella di tracciare un profilo meticoloso e dettagliato della vita del Serrao. Il vero profilo di Serrao lo tracciò già il Forges Davanzati nei primissimi anni del 1800 ed a quello posso tranquillamente rimandare. Ma siccome quel libro (la Vita di Andrea Serrao), anche nella sua recente versione italiana, è di difficile reperimento e forse anche di non facile lettura per il lettore non specialistico e non specializzato, allora converrà che il sottoscritto tracci delle linee sintetiche affinché il lettore comune possa capire da pochi cenni rilevanti quale fosse l’effettiva statura di Giovanni Andrea Serrao, vescovo di Potenza. Per dirla molto semplicemente, i motivi per cui Andrea Serrao fu grande, ben più grande di quanto già non lo si sia considerato a Potenza, sono molteplici. Per esempio, egli fu, già da giovane un grande studioso. Nato nel 1734 a Castelmonardo in Calabria (provincia di Vibo Valentia), subito dopo il 1767, in seguito alla cacciata dei Gesuiti dal Regno (i Gesuiti monopolizzavano fino ad allora l’istruzione e non solo nel Regno napoletano) ed alla elaborazione di un piano per l’istruzione (fu redatto dal Genovesi), a Napoli assunse l’incarico di professore di Morale nel grande Collegio del Gesù Vecchio, un nuovo istituto universitario. “Il re nell’approvare il disegno, incaricò il Genovesi stesso di proporre per le cattedre dei diversi istituti le persone ch’egli crederebbe – scrive il Forges Davanzati – più capaci di coprirle degnamente ed il valore del nostro Serrao non sfuggì allora all’occhio acuto e penetrante del Genovesi…”. Egli aveva sempre, a scuola ed in chiesa, un pubblico numerosissimo per le sue lezioni universitarie e per le sue omelie.

Serrao fu, addirittura, anche un fondatore o, meglio, un rifondatore di paesi. Egli fu il fondatore di Filadelfia in Calabria. La Filadelfia calabrese, che trasse ispirazione dalla celebre Filadelfia americana, fu fondata nel 1785, in pieno periodo  illuminista, come nuova città per gli abitanti della vecchia Castelmonardo, distrutta da un potente sisma. Alla Filadelfia calabrese, progettata anche dal Magri, allievo del Vanvitelli e che Serrao aveva chiamato a Potenza per il rifacimento del Duomo, fu conferita il titolo di città il 27 giugno del 1787 da Ferdinando I delle Due Sicilie, su esplicita richiesta dal Vescovo di Potenza, Giovanni Andrea Serrao.

Serrao fu anche uno dei più importanti esponenti italiani del giansenismo, la corrente religioso-filosofica partorita in Francia nel 1600 ed affermatasi grazie al vescovo Giansenio, una corrente interna del cattolicesimo e molto vicina al protestantesimo. La storia del giansenismo si intrecciò fortemente con quella francese. Ma anche con quella del genio seicentesco Blaise Pascal e del monastero di Port Royal des Champs. Ancora una volta sulla strada di Serrao, in quanto giansenista, si trovarono i perfidi Gesuiti.

C’è ancora un terzo profilo assolutamente sconosciuto ai potentini di Serrao ed è quello che lo vide emergere come campione del regalismo napoletano. In due parole, il Regno napoletano, come altri, ma più di altri, data la vicinanza fisica a Roma, era oppresso da continue ingerenze dello Stato della Chiesa e del Papa. Storia che si trascinava da secoli e che aveva sempre lo stesso copione; la volontà della Chiesa di Roma di prevaricare la volontà, l’autonomia ed il libero sviluppo degli Stati italiani e non solo italiani. Il regalismo napoletano era la volontà del Regno di Napoli e poi del Regno delle Due Sicilie di opporsi alle ingerenze ed alle prevaricazioni della Chiesa di Roma. Andrea Serrao con la sua grandissima cultura, con le sue grandissime virtù di cattolico giansenista rese immensi servigi alla Monarchia napoletana e si espose in prima fila contro le pretese del Papa. Narrare tutti i singoli fatti che lo portarono ad opporsi, in quanto leale servitore degli interessi del regno napoletano, alla Chiesa di Roma sarebbe difficilissimo ma posso fare qualche esempio e qualche sforzo di sintesi. Con l’ascesa al soglio pontificio di Papa Pio VI la lotta acerrima tra Stato napoletano e Chiesa di Roma si riaccese (sempre con i Gesuiti a istigare le pretese papali da dietro le quinte). Ad un certo punto, il marchese Tanucci, Ministro della Real Casa, decise di portare avanti un progetto, che fu quello di dimostrare una costante storica con l’intenzione di farla valere nei negoziati con Roma. Preferisco riportare i fatti con le parole di Domenico Forges Davanzati: “Si doveva mostrare con fatti tolti dalla storia di Napoli, e riferiti cronologicamente, che tutte le rivoluzioni avvenute in questo regno, tutti i mutamenti di dinastia che avevano causato tanto danno alla Nazione, tutte le guerre che tanto sangue erano costate, erano sempre state suscitate, apertamente o nascostamente, dai pontefici romani; che nessuna di quelle guerre e di quelle rivoluzioni, nessuno di quei cangiamenti di dinastia, avevano avuto per fine il vantaggio della nazione, né le avevano fatte alcun bene, ma erano stati tutti a profitto dei papi, i quali se ne erano avvalsi per toglierle l’indipendenza, prendere su di essa il diritto di sovranità, di tributo e vassallaggio, privarla dei suoi diritti sulla Chiesa nazionale e spogliare questa delle sue libertà…”. Per dimostrare alla Chiesa di Roma questa lunga azione dannosa si decise di affidare ad un dotto del regno napoletano, che avesse non solo una grandissima preparazione storica, ma anche filosofica ed una visione politica dell’enorme posta in palio, l’incarico di stendere una relazione, un vero e proprio dossier e la scelta ricadde proprio sul futuro Vescovo di Potenza (futuro rispetto all’anno di svolgimento di questo braccio di ferro); Giovanni Andrea Serrao. La sfortuna del Serrao fu che, subito dopo aver avuto questo incarico, il marchese Tanucci fu costretto alle dimissioni. Maria Carolina d’Austria, consorte del Re, aveva preteso di entrare nel Consiglio di Stato e grazie alla sua intelligenza ed abilità ci riuscì. Sulle prime, i preti ed i gesuiti ostili a Giovanni Andrea Serrao ne godettero perché immaginavano la caduta in disgrazia del fiero religioso giansenista, ma poco dopo dovettero farsi di nuovo piccoli piccoli perché scoprirono che Maria Carolina d’Austria aveva intenzione di proseguire nello stesso solco tracciato dal Tanucci ed anche con più energia. Un altro momento di scontro tra Roma e Napoli si ebbe sulla questione delle chiese vacanti. Ve ne erano ventisei nel regno senza il loro reggitore e le nomine venivano disputate accanitamente tra Napoli e Roma. La nomina di Potenza fu oggetto di una agguerrita lotta fra le fazioni ed in breve divenne una vera e propria questione di Stato. Sia dello Stato napoletano che dello Stato della Chiesa. Per dirla molto in breve, Serrao all’epoca in cui ci si pose il problema di ‘coprire’ quelle ventisei chiese, e soprattutto quella di Potenza, aveva già conquistato una fama ed una reputazione enormi ed era quindi enormemente inviso al Papa, che tentò ogni strada per impedirgli di insediarsi sulla Cattedra potentina. Non si trattava, insomma, di nominare un vescovo qualsiasi, ma un personaggio che aveva già raggiunto una statura altissima ed il peggio per il Papa era che questa statura nel Regno di Napoli gli veniva riconosciuta da tutti, a partire dal Re e dalla Regina. Quest’ultima, cioè Maria Carolina d’Austria, lo aveva molto caro. Per il vescovato di Potenza fu stilata una lista di tre nomi ed il Serrao era il primo della lista. Sul suo nome il Re napoletano “fermò la sua scelta”. Il Re voleva che la Diocesi di Potenza fosse coperta solo e soltanto dal suo stimatissimo servitore Giovanni Andrea Serrao. Questa storia del vescovato di Potenza e della designazione di Serrao scatenò un ancor più cruento braccio di ferro tra il Re ed il Papa, che considerava il Serrao poco meno ormai di un eretico, ed è una storia talmente grande e talmente interessante che merita davvero un articolo a parte; il mio prossimo articolo. Quindi, quando Giovanni Andrea Serrao assume finalmente la Cattedra di San Gerardo non è un vescovo che diventerà famoso solo per quello che fece a Potenza e per la sua atroce morte, ma era già un grandissimo personaggio del Regno.

PINO A. QUARTANA

 

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