POTENZA NEL 1300

Potenza si affacciava al 1300 avendo ancora la vivida memoria ed i segni di due grandi fatti tragici di cui la nostra città era stata protagonista attiva e passiva negli anni a cavallo del 1270. Il primo fatto, di cui ho parlato in un articolo già uscito in questa rivista, fu la eroica e romantica, ma anche tragica e sfortunata, rivolta antiangioina che si accese in diverse province del Regno di Napoli (che però si chiamò ufficialmente tale solo dopo la Pace di Caltabellotta del 1302; ai tempi della rivolta antiangioina del 1268 il suo nome era ancora Regno di Sicilia) nel 1268 e che partì proprio da Potenza, guidata dalla nobiltà ghibellina potentina. Il secondo fu, a pochissima distanza dalla rivolta ed anche dalla guerra civile che si ebbe a Potenza tra ghibellini e guelfi, un disastroso terremoto che prostrò Potenza ancor più della guerra civile e della devastazione che le truppe angioine le inflissero, risparmiando ben poche cose dalla furia e dalla devastazione. Fu così, come conseguenza di quei fatti storici, che Potenza perdette il gran numero di chiese che aveva nel 1200. Era il luogo lucano che ne aveva di più a quell’epoca. Quindi, il 1300 cominciò nel segno della lenta ripresa della vita perché dopo i fatti ricordati Potenza stava sul punto di sparire proprio come, per molto meno, erano spariti nel Medioevo diversi antichi centri della Lucania e di altre regioni meridionali. Però, come era già successo prima e come doveva accadere tante altre volte dopo, i potentini del post-1268/1274 si dettero da fare per far rinascere e far rivivere la loro e nostra città. Già nella prima parte del 1300 a Potenza la vita sembrava rifiorire alla grande ed emergevano tre o quattro grandi famiglie; tutte successivamente estintesi nel corso dei secoli. Una fu la famiglia Stella, che secondo le cronache di Emanuele Viggiano, vantò un Luogotenente della Sommaria (regia Camera della Sommaria), che era una specie di Corte dei Conti del periodo angioino ed aragonese.

“Ingeranno Stella, Luogotenente della Sommaria ed Arcivescovo di Capua fu, nel 1327, sollevato al posto di Gran Cancelliere del Regno”. Questo termine usato dal Viggiano sta a significare l’esatto contrario di ciò che ha significato nell’italiano più recente. In questo caso, Viggiano sembra voler dire l’esatto contrario di ciò che sembra dirci, e cioè che Ingeranno Stella non fu cacciato, ma fu promosso, elevato a Gran Cancelliere del Regno (n.n.).  A dire il vero, la questione in questo caso è un’altra. Io ho forti dubbi che il Viggiano non si sia sbagliato. Egli sapeva bene che Ingeranno Stella era considerato come provenzale. Viggiano scrisse che l’Ughelli si era sbagliato a definirlo provenzale, ma non fu solo l’Ughelli a considerarlo tale, tanto è vero che il Dizionario Biografico degli italiani, dal quale emerge un profilo molto più importante ancora di quello che si può intendere leggendo il Viggiano, avvalora quanto dice l’Ughelli, ma anche tutte le altre fonti dicono la stessa cosa, per cui non saprei davvero dire da quale fonte il Viggiano traesse la sua convinzione di Ingeranno Stella potentino. Comunque, per dovere scientifico riporto anche la versione del Viggiano. La fonte di Viggiano sembrerebbe risiedere nell’Archivio dei Registri Angioini del 1327. Ma il Viggiano li aveva consultati personalmente? C’è un problema anche con questi Archivi, tra l’altro. Nel 1943 soldati tedeschi appiccarono il fuoco ai locali dove erano custoditi detti Archivi. L’Accademia Pontaniana nel secondo dopoguerra ha compiuto una faticosissima opera di ricostruzione degli Archivi Angioini, che sono stati pubblicati, ma non credo (è una questione veramente molto difficile da stabilire) che abbia pubblicato anche quelli dell’anno 1327 per poter verificare l’ipotesi del Viggiano. Lascio la questione in sospeso e mi riservo di riprenderla quando sarà possibile. C’era un’altra famiglia che emergeva nel 1300 a Potenza ed era la famiglia De Stampis con Francesco De Stampis “milite, consigliere, famigliare del Re e giudice della Vicaria. Fu sepolto nella Chiesa di San Domenico a Napoli, con un lungo epitaffio, nel 1340”.

“Nel 1354 viveva il nobile Matteo De Stampis, Contestabile. Non fu costui Gran Contestabile del Regno, come alcuno ha falsamente creduto, ma uno dei Contestabili minori che fin da’ primi tempi della Monarchia siciliana furono adoperati o al governo di una città o al comando di reggimenti”.

Ma emergeva anche una terza famiglia; i De Maddio.

“Giudice ancora della Vicaria fu Angelo De Maddio”. Era una famiglia che a metà del 1300 viveva a Potenza “col maggior aggio” e “contava Magistrati e Militari di prim’ordine, le memorie de’ quali son perdute ancora”.

Il fatto più importante che nel 1300 riguardò Potenza si verificò proprio verso la fine del secolo, nel 1399. E’ un fatto che per essere effettivamente capito e non snocciolato nozionisticamente e superficialmente, come è stato molto spesso fatto con la storia di Potenza (quasi come si redigesse un elenco telefonico, cioè senza capire nulla dei fatti e della loro importanza), ha bisogno di una premessa storica di ordine generale, che deve necessariamente riguardare la situazione generale del Regno di Napoli verso la fine del 1300. Dunque, cosa accade di storicamente importante nel Regno di Napoli verso la fine del 1300? Accade che il ramo principale degli Angioini di Napoli si estingue con Giovanna I di Napoli, la regina che aveva tenuto nelle sue mani il Regno di Napoli sotto il dominio angioino per più di quarant’anni, dal 1343 al 1381. Giovanna fu deposta da Carlo III, suo cugino, ma del ramo collaterale D’Angiò-Durazzo, che l’anno seguente, nel 1382 fece assassinare Giovanna nel castello di Muro Lucano, dove si era rifugiata fuggendo da Napoli. Ma nel 1386 anche Carlo III d’Angiò-Durazzo viene assassinato e nuovo Re di Napoli diventa il figlio Ladislao I, all’epoca un bambino. Diventa Re sotto la reggenza della madre, Margherita di Durazzo. Il Regno di Napoli e, soprattutto, la capitale erano precipitati nel caos. Alcune forze cercavano, come spesso accade in fasi storiche concitate, di approfittare del caos per un regime-change. I partiti in lotta si delinearono immediatamente; da una parte Ladislao I ed i Durazzeschi, che erano anche Angioini, e, dall’altro, gli Angioini di Francia, che cercavano di approfittare della grave situazione di crisi per scalzare dal trono la famiglia regnante. Fra i capi del partito angioino filo-francese figuravano alcuni esponenti della famiglia dei Sanseverino e lo stesso Ottone di Brunswick, vedovo della regina Giovanna I (da non confondere con Giovanna la Pazza, che venne dopo e che era la sorella di Ladislao I). Costituito un consiglio di magistrati che reggesse le sorti del regno in questa fase, i filo-francesi proclamarono re Luigi II d’Angiò, futuro capo del ramo cadetto degli Angioini e figlio di quel Luigi I che la regina Giovanna aveva nominato erede in contrapposizione a Carlo III. Lo scontro assunse presto le proporzioni di una vera e propria guerra. Nel corso del 1387 i sostenitori degli Angioini francesi occuparono Napoli, costringendo la reggente Margherita col piccolo Ladislao e la famiglia a barricarsi in Castel Dell’Ovo, dal quale fuggirono alla volta di Gaeta.

Luigi d’Angiò poté così impossessarsi del regno, ma domare i baroni ribelli fu un’impresa che lo tenne occupato per anni. Per il re minorenne ed esiliato giunse presto un importante sostegno: nel 1390 saliva al soglio pontificio Bonifacio IX, che prese le parti di Ladislao contro il pretendente Luigi. A partire dal 1390 Ladislao I di Napoli divenne anche Re d’Ungheria e di Dalmazia per varie e complesse vicende del paese magiaro che non è qui il caso di raccontare. Nel 1399, e qui comincio ad avvicinarmi alla storia più importante che riguarda Potenza nel 1300, Ladislao I arriva nel regno di Napoli con la feroce determinazione di prendere il potere e di consolidarlo togliendo di mezzo, con le buone o con le cattive, i nemici angioini francesi. Si dimostra feroce condottiero di grande tempra e valore. Il pretendente francese Luigi II vista la mala parata decise di rinunciare alle sue ambizioni sul Regno di Napoli e di tornarsene in Francia e quindi Ladislao I di Napoli e di Ungheria aveva campo libero per regolare i suoi conti. Ma se Luigi II d’Angiò se ne era scappato in Francia con chi li doveva regolare ancora? Con i Sanseverino. Già con i Sanseverino, che esattamente un secolo dopo tentarono un’altra congiura contro i Re aragonesi e che poco più di un secolo prima furono il braccio armato che, su ordine di Carlo I d’Angiò, aveva seminato terrore e distruzione a Potenza, la città del Regno più colpita dalla loro vendetta furiosa. Ladislao I scatena la sua vendetta contro i Sanseverino, i principali ispiratori della rivolta antidurazzesca, e questa volta ai Sanseverino non va altrettanto bene come quando erano il braccio armato della rivolta antisveva, più di un secolo prima. Anzi, direi che gli andò piuttosto male contro Ladislao I, sovrano del Regno di Napoli, ma anche Re di Gerusalemme e di Sicilia, Re d’Ungheria e di Croazia, conte di Provenza e Principe d’Acaia, insomma, uno dei personaggi più importanti del 1300 europeo. Tra l’altro, Ladislao I fu l’antesignano, quattrocentosessanta anni prima dei Savoia, di un progetto per l’unità d’Italia sotto un unico Regno d’Italia. Ma questa è un’altra vicenda e dobbiamo tornare ai fatti del 1399 che riguardano la nostra Potenza. Nei momenti in cui la parte durazzesca sembrava sul punto di perire, Tommaso Sanseverino, conte di Marsico (di nuovo in Lucania), si era proclamato Viceré. Nel 1393 però i Sanseverino erano anche conti di Potenza con Ugo Sanseverino. E quindi, entrando nel cuore dell’assedio di Ladislao I contro Potenza del 10 aprile 1399, vediamo cosa ci riferisce il Viggiano. Questi scrive che i potentini appoggiavano Luigi II d’Angiò, il che già comincerebbe a far capire perché la città subì l’assedio del nuovo Re di Napoli, ma tempi e dinamiche nella ricostruzione del Viggiano non mi sembrano proprio chiarissimi e consequenziali:

“Per costui (cioè per Luigi II d’Angiò, capo della fazione angioina francese n.n.) mostravano i potentini adesione e commisero tra di loro ed altrove misfatti non pochi secondocché il furore per  l’una o per l’altra delle parti gli commuoveva”.

Mi fermo  un attimo. Queste vaghezze, questi buchi logici e anche altro li incontro spesso nei testi dei nostri quattro maggiori storici cittadini (Rendina, Viggiano, Riviello e Pedio) e dovrei essermi abituato. Invece, non riesco proprio ad abituarmi. Prima il Viggiano dice che i potentini propendono per Luigi II, ma poi, subito dopo, parla di parti in lotta (quindi c’erano anche sostenitori di Ladislao I?) e parla di misfatti compiuti da una parte e dall’altra (ma quando e perché non lo dice). Ma qual è nel 1805 o giù di lì la fonte primaria del Viggiano, a quattro secoli dei fatti? Sembra essere Dominicus Gravina in Chron. De rebus in Apulia gestis ab anno 1333 ad anno 1350 (ma il 1399?). Comunque, riprendo il racconto del Viggiano:

“Fu perciò Ladislao con oste numerosa (truppe numerose n.n.) a stringere d’assedio la città, ma senza che se ne sappia la cagione (la ragione, la causa n.n.), raccontandosi su di ciò delle favole (ma quali favole non lo dice n.n.) usa con essa indulgenza, l’assolve dai crimini e dice esser suo volere che per dieci anni non si faccia in giudizio parola veruna delle scellerataggini commesse fra cittadini e che ricorso il decennio si attenda in questo affare la sua sovrana volontà”.

Non sappiamo, trascorsi i dieci anni, con Ladislao I ancora al potere (rimase Re fino al 1414) cosa decise sui fatti di Potenza, che si erano svolti durante la lotta fra le due fazioni. Il Viggiano aggiunge che il documento è conservato (lo era fino al 1800; chissà se questa Carta esiste ancora) nell’archivio comunale e fu redatta in Campo Felia prope Potentiam. L’assedio, stando al Gravina, che scrive in latino, materialmente fu guidato da Stefano, Voivoda di Transilvania (apporto ungherese, visto che Ladislao I era anche Re d’Ungheria). L’ungherese strinse la sua morsa attorno alla città per ben quindici giorni dalla posizione dove, più o meno, attualmente si colloca il Serpentone (Campo Felia). Mancano i motivi. Il Viggiano stesso ammette che non li conosce (“senza che se ne sappia la cagione”, dice). Quindi, possiamo solo ipotizzarli. I motivi potrebbero essere ricercati in quelle scelleratezze a cui il Viggiano fa solo cenno, non sapendo noi oggi se li conoscesse ed ha preferito non esplicitarli o se non li conoscesse affatto. Dovendo ipotizzare, penso che le scelleratezze siano state di mero ordine politico. Probabilmente, i potentini essendo stati sotto la morsa degli infidi Sanseverino ed essendo i Sanseverino i principali nemici e traditori di Ladislao I, subirono una volontà punitiva da parte di quest’ultimo. Insomma, Ladislao I probabilmente pensava di dare una punizione alle città che erano nel potere dei Sanseverino. Anche la propensione dei potentini del 1399 per Luigi II d’Angiò mi sembra una conseguenza dello strapotere che senz’altro a quel tempo i Sanseverino esercitavano sulla città. Quindi, ce n’era già abbastanza ai tempi del Viggiano per spiegare l’assedio del 1399. Non vedo altra plausibile spiegazione anche oggi. Comunque, si tratta di un fatto di storia importante ed accertato. Il fatto che conclude il 1300 potentino. Probabilmente, se avessimo tutte le fonti originarie a disposizione potremmo verificare che si tratta di un fatto storico più importante di quello che appare a prima vista.

PINO A. QUARTANA

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