IL SOGNO MUSICALE REALIZZATO DEL CANTORE DI POTENZA: VITO LISI E GLI ‘ALUNNI DEL SOLE’

 

Potenza è una città di provincia, ma, al tempo stesso, una città di provincia veramente singolare e strana. Anche nelle più piccole cose. Da un lato, dà l’illusione che tutti conoscano tutti, ma poi, in realtà, le cose sono ingannevoli perché molti non si conoscono, non vengono mai a contatto, nemmeno dopo decenni. Fingendo invece di conoscersi e di sapere tutto gli uni degli altri. Così nel giro di poche centinaia di metri ci sono tante vite che si sfiorano, anche fisicamente, centinaia di volte ma che, in realtà, non si incontrano mai, destinate a rimanere monadi leibniziane chiuse per sempre nel proprio microcosmo e nei propri strettissimi giri amicali (sempre gli stessi), destinate insomma a congelarsi, esattamente come il clima, spesso glaciale, della città ispira ed invita a fare. Perché dico queste cose? Le dico perché le ho provate di persona e non poche volte quando vivevo a Potenza. Perché ci sono potentini della mia generazione che si sono sempre dati da fare sin da ragazzi, ma che non ho mai conosciuto e che, in fondo, pur credendo in un certo senso di conoscerli, non ho mai conosciuto. Tutto ciò non in una metropoli di milioni di abitanti ma in una piccola città di provincia di 70.000 abitanti. Vito Lisi, per esempio, è stato per me uno di questi concittadini sempre visti in giro ma mai conosciuti. Lo ricordo da quando eravamo ragazzini. Lui un po’ più grande di me di età e già molto attivo nei gruppi musicali potentini che tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 nascevano come funghi, come, del resto, accadeva un po’ dappertutto. L’avrò visto qualche centinaio di volte da lontano con la sua chitarra racchiusa nel cofano che andava in giro qui e là a suonare, per provare. Ma non l’ho mai conosciuto di persona e non ho mai parlato con lui. Nulla, in realtà, sapevo ed ho mai saputo di lui. E’ capitato a me con lui, è capitato a me con altri , è capitato ad altri con me. E’ la nostra  cara ed amata Potenza che è un posto particolare e noi siamo venuti su man mano capendo di essere nati e/o cresciuti in un microcosmo particolare. Tra l’altro, mi sono sempre nutrito, sin dalla tenera età di 8 anni, di musica, nel mio caso, di musica rock soprattutto, ma ho respirato di tutto, anche musicalmente parlando come appassionato o come uno che cresce essendo ben cosciente che la musica è la colonna sonora della vita. E’ per queste curiosità musicali e per il naturale sentimento struggente di ‘amarcord’ che si prova man mano che l’età avanza, ma, ancor di più con la rimembranza del  proprio tempo perduto e della propria città, dei più dolci ricordi adolescenziali, che ultimamente mi sono accorto, e mai prima mi era capitato, cioè sin quando da ragazzi ci sfioravamo per strada senza conoscerci, di Vito Lisi. L’occasione per conoscerci è arrivata un po’ per caso dopo decenni cioè solo ora. Da due anni e mezzo mi occupo di costruire una enciclopedia culturale di Potenza ed all’interno di questo ‘vaste programme’ mi sono imbattuto in Vito Lisi, anche perché in campo musicale Vito Lisi qualcosa per mettere in risalto Potenza l’ha fatta e la sta facendo. Di lui mi sono accorto prima di tutto per una bella canzone che ha dedicato alla città, canzone che da alcuni è stata scioccamente fraintesa, ma che invece è un grande atto di amore per Potenza, che mancava di una canzone in grado di far venir fuori la sua specifica poesia. Un tal genere di mancanza fa soffrire chi ha amato, per esempio, i climi poetici che contraddistinguono le città che i grandi cantautori italiani hanno messo in musica ed in parole e che testimoniano i profondi sentimenti di appartenenza e di amore verso le più grandi ed importanti città storiche italiane. Vito Lisi ha colmato il vuoto per Potenza. Anche Potenza oggi fa parte della eletta e ristretta schiera delle città che hanno una loro canzone d’autore. Quando pensavo a questa mancanza pensavo, in particolare, ad un cantautore e a due città. Il cantautore è Francesco Guccini e le due città sono le sue due città; Modena, la sua città natale, e Bologna, la sua città di adozione. Guccini ha dedicato due belle canzoni alle sue due città, due evergreen ormai. Al capoluogo regionale felsineo ha dedicato ‘Bologna’ con le sue atmosfere baudeleriane degli ‘imbriaghi’. In ‘Bologna’ ricorda i primi tempi quando lui, modenese volgare, si sudava un amore, fosse pure ancillare. Della sua città natale, Modena, ne trasse lo spirito in una delle sue prime canzoni che si chiamava, “Piccola città” (Piccola città bastardo posto appena nato ti compresi o fu il fato che in tre mesi mi spinse via). Perché parlo di Guccini in riferimento a Vito Lisi? E’ intuitivo. Vito Lisi ci ha dato il piacere e l’orgoglio con una bella canzone su Potenza di far vivere anche a noi il piacere proustiano del nostro tempo perduto e della nostra boheme di vicoli, neve e freddo glaciale, di crepuscolari atmosfere di montagna, di scale, di vecchie trattorie e di una piccola città ‘confusa dalla nebbia, confusa dalla nebbia, avvolta dalla nebbia, avvolta dalla nebbia”.

Certo, ogni poetica cittadina è apparentemente uguale alle altre, ma, nello stesso tempo, diversa dalle altre, proprio come sono le città storiche italiane che meriterebbero tutte un cantore. Un secondo motivo è che dalla sua piccola fatica autobiografica (da pochissimo pubblicata con i tipi di Villani editore in Potenza) emerge che, a parte il suo amore per Potenza, Vito si riserva uno spicchio di cuore anche per un’altra città italiana e che quest’altra città italiana è, manco a farlo apposta, proprio Modena, di cui descrive, come se le avesse vissute direttamente e di persona, le atmosfere magiche della fine degli anni ’60 ed anche dei primi anni ’70, sognando quasi di aver vissuto in quella Modena, dove nasceva l’astro di Guccini, ma anche quello dei Nomadi, dell’Equipe 84 e di tanti altri protagonisti della musica beat e leggera italiana. Quindi, forse si può dire che Vito Lisi abbia voluto prendere qualcosa dalla terra emiliana e portarla a Potenza, dando anche alla sua città il diritto di avere dei simboli identitari nel mondo delle canzoni. Per Potenza non solo ha scritto la canzone di cui parlavo prima, ma anche un inno al Potenza calcio. Un inno davvero bello: “Un canto rossoblu”. Che bisogna far conoscere di più perché non meno bello degli altri inni al Potenza calcio già conosciuti. Anzi… E forse ‘Un canto rossoblu’ è qualcosa di più di un inno calcistico. Per chiudere il trittico dell’amore per Potenza ci sarebbe anche una canzone dedicata alla maschera di Potenza; Sarachella, in dialetto Sarachedda. A parte Potenza ed a parte l’asse emiliano centrato su Modena, c’è un altro asse nella vita privata e artistica di Vito; l’asse Roma-Napoli. E quello è l’asse degli ‘Alunni del Sole’. Non credo ci sia bisogno di ricordare al lettore di ‘Potentia Review’ chi sono stati gli ‘Alunni del Sole’ e cosa hanno rappresentato per la più bella musica leggera italiana. Avete presente i Pooh? Ebbene, i Pooh hanno solo scritto un numero maggiore di belle canzoni rispetto agli Alunni del Sole, ma sul piano del valore i napoletani-romani Alunni del Sole non sono stati certamente da meno dei Pooh. Hanno scritto canzoni che sono rimaste indelebili nei cuori di almeno due generazioni di ragazzi italiani, soprattutto dei ragazzi e delle ragazze a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70. Erano, si può dire, almeno tali mi sono sempre sembrati, la versione centromeridionale della più bella canzone d’amore italiana, mentre i Pooh mi sono sempre sembrati la migliore versione centrosettentrionale. Questa più spiccata accentuazione centro-meridionale è facilmente deducibile anche dai titoli delle più belle ed indimenticabili canzoni degli Alunni del Sole; Concerto, Mi manchi tanto, e ancor più Canzuncella, Liù. “Ricordo di una notte che non finiva mai” soprattutto nelle tante località marine del centro-sud italiano. Tornando a Vito Lisi, come si evince dalla sua breve autobiografia, di cui riporto i passaggi più interessanti a latere di questa introduzione, egli, in un certo senso, era un predestinato. Era già scritto da qualche parte che, prima o poi, avrebbe coronato l’obiettivo della sua vita artistica; entrare a far parte degli Alunni del Sole. Nelle pagine che riportiamo più giù è scritto tutto. A quella pagine bisogna aggiungere solo gli aggiornamenti fino al momento attuale. Il gruppo esiste ancora e, a quanto sembra, anche dopo la morte del suo leader, Paolo Morelli, ha intenzione di andare avanti. Morelli era la mente ed il leader, il creatore di quelle belle canzoni, e da questo punto di vista è insostituibile. Però, ora passato un periodo di spaesamento, la formazione si è riorganizzata intorno ad un asse composto da Bruno Morelli, il fratello di Paolo, che ha sempre fatto parte del gruppo e che del gruppo detiene il marchio, la titolarità, il marchio di autenticità insomma, ed il potentino Vito Lisi, che è la nuova voce di questa illustre formazione del pop melodico italiano. Bruno Morelli ha detto qualche tempo fa che avevano lanciato sguardi in ogni direzione in Italia per trovare una voce che ricordasse quella di Paolo Morelli e che l’unica degna di sostituirla, data la tragica evenienza della sua scomparsa, era solo quella di Vito Lisi. Il gruppo in questo momento può contare su Bruno Morelli, fondatore della band insieme al compianto Paolo e chitarrista, su Ruggero Stefani alla batteria, su Enrico Olivieri alle tastiere, su Alessandro Saba al basso e, per l’appunto, su Vito Lisi, voce e tastiere. Sono tutti romani, tranne Bruno Morelli, napoletano, e Vito Lisi, potentino.

(pino a. quartana)

In sella ad una moto verso  gli Alunni del Sole

(Francesco Villani editore, Potenza, 2018)

D’estate, durante una prova musicale pomeridiana, in un famoso villaggio turistico con la capienza di circa duemila ospiti, alle prime note della canzone “Concerto” famoso brano di Paolo Morelli, voce solista degli Alunni del Sole, tutti i lavoratori del villaggio: giardinieri, addetti alle piscine, ai campi da tennis, bagnini, pizzaioli, cuochi, camerieri, manutentori, guardiani ed inservienti vari, sospesero le attività per venire ad ascoltare quella canzone.

Erano tutti in trance. Alla fine ci fu un’ovazione generale. Allora capii che dovevo in qualche maniera (ma quale?) tentare di far parte di quella band tanto acclamata, anche in Tv, al punto da vincer il “Festivalbar” con il brano “Liù”. Come avrei potuto fare?

La Suzuki 500 fu la mia compagna inseparabile almeno fino a quando il clima freddo della mia città mi costrinse ad utilizzare la macchina o meglio la “Diane 6” che era un compromesso tra auto e moto. Ne cambiai addirittura cinque! L’ultima di color rosso-ciliegio, come la chitarra dalla corda spezzata me la rubarono a Roma sulla Tuscolana dove mi ero recato per motivi artistici. Al mio risveglio non trovai più la mia bella Diane.

Come conobbi i fratelli Morelli

È passato molto tempo da quando guardavo le ruote della bici che rimbalzavano su quei muri del cortile, o da quando, per merito della corda spezzata alla chitarra del parente, ho imparato a suonarla. Ho apprezzato tutti i complessi pop-rock, stranieri e italiani fra i quali preferivo, senza ombra di dubbio, “Gli Alunni del Sole”. Molti dei loro brani più famosi come Concerto, A’ canzuncella, Liù, Pagliaccio, Taranté, Cantilena, Guardi me guardi guardi lui, Un’altra poesia, Genny…ho inserito stabilmente nel mio repertorio. Sono queste le canzoni che suonavo con amore e dedizione nelle tante serate e richieste, come bis, più volte.

Ancora più tempo è passato da quando scrissi sul serbatoio celeste di quella vecchia moto ITOM con i pedali tipo bicicletta il logo degli “Alunni del Sole” che tanto faceva ben figurare quel ciclomotore e il suo guidatore. Ogni tanto mi sorprendo a pensare che un giorno o l’altro avrei tirato fuori, dallo scantinato, quella vecchia motocicletta per farla nuovamente circolare. Non senza esitazioni e indugi, un giorno, decisi di partire per Roma, accompagnato da un impresario musicale, per andare a conoscere i leader degli “Alunni del Sole”, i fratelli Paolo e Bruno Morelli.

Nel viaggio pensavo di cosa avrei parlato al cospetto dei fratelli Morelli, per me “mitici”. Certamente avrei raccontato di aver comprato tutti i loro dischi (45 giri e Lp) da cui avevo imparato le parole. Avrei detto delle giacche, camicie e pantaloni gessati che recuperavo nei vari mercatini romani per emulare il loro abbigliamento. Avrei parlato degli strumenti musicali (chitarre, organi e pianoforti elettrici) che collezionavo e con cui eseguivo le loro canzoni nelle mie serate musicali. Pensavo, certamente, che avrei riferito del loro logo scritto sul serbatoio della mia motocicletta e infine, non avrei tralasciato di esternare il mio grande desiderio che era quello di essere partecipe del loro gruppo.

Durante il viaggio ripassavo, mentalmente, tutto il discorso che avrei fatto così come fa uno studente universitario che si accinge a sostenere un esame. Tutti discorsi poi, che, puntualmente, non feci. Ci ritrovammo tutti insieme, seduti a una tavola imbandita, in un caratteristico ristorante nei pressi di Fiumicino dove loro spesso si recavano.

Pur avendo assistito a numerosi concerti, per cui i loro volti mi erano familiari, non mi era mai capitato di trovarmi a una distanza così ravvicinata. Apprezzai molto la compostezza e l’educazione dei due fratelli, colti, sensibili e soprattutto modesti e di una umiltà disarmante. Nei loro discorsi non ravvidi mai, nei miei confronti, un senso di prevaricazione o di ostentazione del loro successo. Bruno mi chiedeva di me, di particolari della mia vita.

Paolo, invece, nei momenti in cui si scrollava di dosso quello stato di nirvana in cui si rifugiava, mi guardava con i suoi grandi occhi dal taglio un po’ orientale intrisi di rara umanità. Spesso annuiva con la testa accennando a un senso di compiacimento per avermi conosciuto. Si fece sera. Si congedarono con la promessa che avrebbero ascoltato la cassetta contenente i loro brani da me interpretati. Per molto tempo non seppi cosa avessero pensato di quelle mie esecuzioni. Ma io continuavo a seguirli in TV imparando i nuovi successi che venivano proposti dalle loro case discografiche romane e milanesi.

Una telefonata inaspettata

Il 13 ottobre 2013, a Roma, Paolo Morelli, voce solista del gruppo, colpito da infarto, venne a mancare. Ero già pronto a partire per un conforto al fratello Bruno quando fui colto da un forte virus influenzale. Non potevo quindi, in alcun modo, recarmi a Roma per presenziare al triste evento di una persona a cui tenevo molto. Ma il destino a volte è davvero crudele! Nemmeno il telegramma che mi premurai di formulare fu recapitato in quanto i due fratelli, nel frattempo, avevano cambiato il loro domicilio. Non avrei voluto mancare all’ultimo incontro con quel grande autore che cantava le canzoni quasi sussurrandole con quel timbro di voce caldo e accogliente. Avrei voluto esserci a salutare colui che avevo ammirato per anni come si fa per una divinità. Inaspettatamente, nel gennaio successivo, ricevetti una telefonata da Bruno Morelli. Mi chiedeva di abbracciare l’eredità musicale e artistica del fratello Paolo. Si esaudiva il sogno di entrare a far parte del complesso degli “Alunni del Sole”, quelli veri e non quelli “cinesi” come dissero una sera mentre mi esibivo con la mia band.

Il tempo passa…

Il tempo che scorre è stato spettatore indifferente di tante avventure, tanti desideri (esauditi e non), emozioni, speranze, sogni e disavventure che certamente non mancano mai nella vita di ciascuno di noi.

È arrivato poi anche il momento in cui ti senti tranquillo e appagato per ciò che hai costruito nel tempo e per gli affetti che ti appartengono. Sei quasi convinto che tutto ciò che hai, dopo avere tanto lottato, sia tuo per sempre e che nessuno possa sottrartelo, né oltraggiarlo, né profanarlo. Ma proprio nel momento in cui hai sbarrato cancelli e finestre per rinchiuderti con gli affetti più cari, avverti la paura che esiste, sempre, un sentiero da cui, in un giorno qualsiasi della tua vita, qualcuno potrà minare le tue sicurezze.

Sono andato avanti cercando di conservare la mia dignità, con amore e passione per quello che facevo e il tempo, sempre assetato di verità e giustizia, le ha finalmente rivendicate regalandomi la melodia di un’eco intermittente, molto simile a un nuovo battito del cuore che è diventato, oggi, un nuovo impulso per tutte le mie azioni ed aspirazioni.

VITO LISI

 

Nella foto; gli ‘Alunni del Sole’ dopo un loro concerto la scorsa estate. Da sinistra a destra; Alessandro Saba (basso), Ruggero Stefani (batteria), Enrico Olivieri (tastiere), Vito Lisi (voce e tastiere), Bruno Morelli (chitarra).

 

 

 

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