Questo lungo articolo sulla tradizione culturale di Potenza muove i suoi passi da poco dopo l’Anno Mille. Il viaggio si conclude nel 1983 con l’inizio dei corsi all’Ateneo potentino. Di ciò che è venuto dopo il 1983 fino ad oggi non ho parlato perché la storia ha bisogno di tempi lunghi; ho preferito evitare quindi di prendere in considerazione fatti e protagonisti della cultura potentina degli ultimi trentacinque anni. Prima del 1100 non ci sono fonti storiche che ci possano illuminare su una tradizione culturale preesistente all’Anno 1000. E’ probabile che nei sette secoli della romanità a Potenza, uno dei due o tre centri principali della odierna Basilicata nei secoli della romanità, ci siano state scuole legate alla religione pagana come in altre città molto segnate dalla romanità ma non ne abbiamo alcuna contezza e quindi ho preferito non farne nemmeno cenno.
Non ricordo di aver mai letto un articolo o uno scritto sulla tradizione culturale di Potenza. Non parlo tanto delle sue istituzioni culturali o di quel fenomeno recente e contemporaneo costituito dagli ‘eventi’ culturali, dall’eventificio. Per tradizione culturale intendo soprattutto la nascita ‘in loco’ di movimenti di pensiero e di movimenti artistici, di scuole e cenacoli intellettuali. In altre parole, la tradizione culturale nella sua essenza più pura e nobile.
IL MEDIOEVO
Quando comincia la tradizione culturale di Potenza? Credo che occorra andare molto indietro nel tempo, fino al 1100. La prima scuola di cui si ha notizia è proprio quella che coincide con la missione del suo santo Patrono. Fu proprio il vescovo Gerardo Della Porta, ad istituire a Potenza, come riferisce il Rendina, una «scuola di grammatica istruendo i fanciulli nelle lettere umane ma più nelli santi costumi, con una incredibile pazienza ed integrità ed indefessa fatica, a segno tale che d’altro non si coleva, che di vedere que’ suoi teneri allievi crescere nella bontà ed innocenza della vita». Tra le altre cose, il Santo portò a Potenza nuovi fermenti spirituali e culturali. La scuola di grammatica di San Gerardo, dati i tempi e date le circostanze geografiche (una isolata cittadina del profondo Sud poco dopo l’Anno Mille), non era poi cosa da poco, se consideriamo che nei primi del 1100 erano esistenti nel mondo solo due Università da poco fondate; quella di Bologna (1088) e quella di Oxford (1096). Potenza uscì trasformata dagli otto anni di magistero di San Gerardo. Ma San Gerardo aveva fatto ancora di più per la sua città di adozione e di magistero; aveva creato la sua tradizione culturale. Nel 1200 il centro della cultura e degli studi a Potenza si spostò verso la nuova Chiesa di San Francesco e verso l’omonimo convento, dove fu aperto un importante Studio di Teologia. Anche in Santa Maria ci fu un convento oltre alla chiesa. Il Wadding, sotto l’anno 1488, dice testualmente: “Prope Potentiam, Basilicatae urbem, aedicula erat beatae Mariae, frequentibus in ea miraculis illustris. Incolebant eremitae duo, non tamen quo par erat cultu decorabant. Decrevit itaque, Potentiae Comes aedem’ nobiliorem reddere et Fratruum Observantium coenobium adiicere. Id praestit hoc anno, sub invocatione Sanctae Mariae de Sepulcro. Habetur hic Theologiae gymnasium”. Nel 1488 c’era quindi uno Studio conventuale o un ginnasio in cui si insegnava la Teologia, che, per secoli, fu la disciplina più importante negli insegnamenti di tutta Europa. Diverse personalità di grande cultura gravitavano tra il 1400 ed il 1500 a Santa Maria. Tra questi, il padre Gianfrancesco Caporella. Nacque a Potenza intorno al 1475-1480. Nel 1514, nel capitolo riunito ad Assisi, fu nominato commissario generale dell’Ordine dei Frati minori presso la Curia romana (24 giugno 1514). Stabilitosi a Roma, nel convento dell’Ara Coeli, ricevette l’incarico di predicatore per l’Avvento. Al 1515 risale invece la missione ufficiale del Caporella – probabilmente la prima – in Libano presso i maroniti, dove fu inviato da Leone X. Fu nominato Arcivescovo di Nazareth, in Palestina, intorno al 1527. Anche il convento dei Cappuccini, sorto a Potenza nel 1533, il primo dei Cappuccini in Basilicata, fu un importante centro di studi teologici e, tra le altre cose, anche in questa zona di Potenza si verificarono, stando alle cronache del tempo, fatti miracolosi. Un luogo dove fiorirono molte leggende (anche se le leggende non hanno nulla a che fare col tema di questo scritto incentrato sulla tradizione culturale di Potenza ed a Potenza).
IL 1500 ED IL 1600
Nel 1500 anche l’arte pittorica si risveglia e produce a Potenza un interessante movimento. A cavallo della metà del secolo, il Pistoia, importante pittore rinascimentale non solo citato dal Vasari ma che col Vasari aveva ingaggiato una acerrima rivalità a Napoli, al punto che un critico e storico dell’arte meridionale come il De Castris ha ipotizzato che avesse aperto una bottega proprio a Potenza (visto che i suoi spazi a Napoli si erano ristretti a causa dello scontro con Giorgio Vasari), realizza le sue due tele potentine di cui ho già parlato in un articolo dedicato a questa figura della pittura rinascimentale. 1
Poco più tardi, verso i tre quarti del 1500, a Potenza opera Antonio Stabile, pittore potentino, che insieme al fratello Costantino, non così dotato come il fratello, apre una bottega d’arte situata in zona Piazza Sedile. Antonio Stabile aveva, molto presumibilmente, rapporti proprio col Pistoia. Negli stessi anni i religiosi di San Michele commissionano a Dirck Hendricksz, il maggior pittore fiammingo operante nel Regno di Napoli, una tela che si trova ancora oggi nella antichissima chiesa potentina. Girolamo Todisco aveva aperto anch’egli, presumibilmente intorno al 1570, una sua bottega d’arte a Potenza. Pochi anni dopo, all’inizio del nuovo secolo, Giovanni De Gregorio, detto il Pietrafesa, muove i suoi primi passi di pittore proprio a Potenza, dove realizza quasi tutte le sue opere del periodo giovanile tra cui la bellissima ‘Pietà’ del 1608, collocata nella Chiesa di San Francesco. In un altro settore della città, in quegli stessi anni cioè intorno al 1575-1580, il sesto conte Guevara, Alfonso II, uomo di grande preparazione filosofica e medica, dà vita ad una Accademia, cioè ad un cenacolo di intellettuali in cui svettano Francesco Teleo e Pietro de Cannutis, maestro di musica. Prima di lui, il quinto conte Guevara di Potenza, Alfonso I, ricevette dopo la sua morte un immenso omaggio da parte di uno dei più grandi poeti italiani del 1500, Torquato Tasso. L’autore della ‘Gerusalemme Liberata’ scrisse per la triste occasione “In morte di don Alfonso Guevara” (non si trattava di un esponente del ramo di Bovino, ma proprio del quinto conte di Potenza) : ”Gloria di nobiltade antica e d’armi, Guevara avesti e voglie al cielo intese…”. Nel 1600 i fermenti culturali a Potenza spettano nuovamente agli ambienti religiosi. Sono due le sorgenti culturali del secolo. Nel 1616 Potenza fu dotata del Seminario eretto da Achille Caracciolo e poi ampliato da quel grande vescovo che fu il Claver (lo stesso che portò a Potenza la Reliquia del Preziosissimo Sangue di Cristo). Il Claver volle mettere in piedi una biblioteca del Seminario. Nel 1642, dopo la costituzione delle Province Riformate, fu deciso che ogni Provincia dovesse avere uno studio di teologia, due di logica ed uno di teologia morale. Lo Studio di teologia della Provincia Riformata della Basilicata fu aperto a Potenza presso il convento di Santa Maria del Sepolcro. Contestualmente allo Studio teologico del Seminario, nacque anche una importante biblioteca che fu messa a disposizione non solo degli studenti che affluivano a Potenza da tutti i centri della Basilicata, ma anche dagli studiosi della città di Potenza.
IL 1700
Nel 1700, il secolo dei Lumi, Potenza era già in linea con le nuove idee e con le nuove sensibilità, fatto ben poco frequente nel Meridione d’Italia in quell’epoca. Tommaso Pedìo, storico insigne della Basilicata e del Sud, ha detto: “Quando nel 1735 Carlo di Borbone dispose la sua prima inchiesta nel Mezzogiorno d’Italia e volle conoscere le condizioni della nostra regione, su circa cento Università (il nome dei Comuni in epoca antica, nota mia) della Basilicata, soltanto diciassette erano amministrate da persone che sapevano apporre la propria firma. E tra queste era Potenza che impressionò il compilatore della inchiesta per il numero dei letterati e dei dottori, ossia teologi e dottori in utroque jure, numero che non si riscontrava in nessun altro paese della provincia (leggasi oggi della regione Basilicata, nota mia) nella stessa proporzione che a Potenza. E’ conseguenza questa del rifiorire degli studi umanistici e giuridici che, iniziatisi nella nostra città sin dal’600, preannunzia quel movimento intellettuale e politico che si concluderà nel XIX secolo con l’affermazione di una nuova classe dirigente. Potenza, che assume una posizione di preminenza tra i paesi della Basilicata durante la resistenza repubblicana e che darà il maggior numero di vittime tra i giustiziati afforcati a Matera nel 1800, manterrà questa sua posizione per tutto il secolo XIX quando, dopo essere stata scelta nel 1806 come sede dell’Intendenza della provincia, rappresenterà il centro intorno al quale graviterà la vita amministrativa, economica e politica di tutta la regione”. E tutto ciò accadeva ancor prima che a Potenza arrivasse come Vescovo, Monsignor Serrao, che non era un vescovo meridionale come tanti altri. Era un intellettuale raffinato, un concreto utopista (si veda l’esperimento di Filadelfia in Calabria), il massimo rappresentante del giansenismo nel Sud (il giansenismo fu un movimento filosofico e teologico che proponeva una nuova visione del cattolicesimo n.d.r.) sulla base della teologia elaborata nel 1600 da Giansenio e che ebbe come illustre esponente il filosofo Blaise Pascal). Le nuove idee religiose venivano dalla Francia, così come dalla Francia erano venute a Potenza, prima ancora dell’arrivo di Andrea Serrao, le nuove idee illuministe della contessa Ginevra Grillo. Ma chi era costei? Ne ho già parlato in un articolo di un mese fa dedicato alle donne influenti della storia di Potenza. 3 Ginevra Grillo, nata in una delle più antiche e nobili famiglie aristocratiche di Genova, era una nobildonna genovese che era andata in sposa al conte di Potenza Enrico Nicolò Loffredo. Ne parlò, con sconfinata ammirazione, Emanuele Viggiano nelle sue ‘Memorie della città di Potenza’. Della colta e ricca dama genovese basti riportare il seguente passaggio: “Ginevra sua moglie scienziata donna del pari, che nobile ebbe anch’essa speciale predilezione per la Sua Città di Potenza, ove viveva in mezzo ad una brigata di uomini di lettere che la di lei scomparsa compiansero assai”. Il Viggiano ci dà una informazione di grande importanza. La contessa Ginevra aveva dato vita a Potenza ad un cenacolo intellettuale, ma nel 1700 si chiamava ormai salotto, composto da uomini di lettere potentini. Il figlio di Ginevra Grillo e di Enrico Nicolò Loffredo, Carlo Loffredo IV, sposò Marianna Albani, esponente di una grande famiglia nobile romana di origine urbinate e nipote di Papa Clemente XI, uno dei grandi papi del 1700. Il Viggiano la descrive così: “Questa donna non scompariva a petto del marito (non sfigurava o non era da meno rispetto al marito n.n.) in quanto a probità, letteratura ed a quella maniera dignitosa di vivere, che per essere rara ai giorni nostri nominiamo antica virtù, ebbe la stessa pendenza della Grillo per il soggiorno potentino, ove mostrò molti segni di sua indole magnanima e generosa”. Quell’accenno del Viggiano alla ‘letteratura’ ci fa supporre che anche Marianna Albani sia stata una contessa potentina sensibile alle cose letterarie. Passa ancora una generazione ed abbiamo un’altra contessa di Potenza dal nome Ginevra. E’ Ginevra Loffredo, la nipote di Ginevra Grillo. Il Viggiano, suo contemporaneo, stravede per lei e gli dedica il suo libro (Memorie storiche della città di Potenza). ll ritratto che vien fuori dalla prosa del Viggiano è quello di una donna che dalla sua più tenera età si è dedicata agli studi (“agli studi intenta”) ed il cui animo “delle sublimi scienze informato e ricolmo”. Da altri piccoli particolari e da altri passaggi del Viggiano emerge con nettezza l’immagine di una donna buona e sensibile, ma soprattutto di una donna molto colta ed intelligente, di una donna capace di “comprendere ogni scienza ed ogni cagione delle arcane cose”, ma anche ”le filosofiche discipline” e le moderne favelle cioè le lingue moderne europee. Il 1700 intanto scorre verso la conclusione ed il nuovo secolo, appena uscite le ‘Memorie’ del Viggiano, vede un enorme cambiamento per la città di Potenza, che diventa o, meglio ancora, torna ad essere la capitale della regione. Ma non solo; per Potenza si apre il suo Secolo d’Oro, un grande secolo che pochissime altre città del Meridione d’Italia (e non solo del Meridione d’Italia) hanno avuto la fortuna di vivere da protagonisti.
IL 1800, IL GRANDE SECOLO POTENTINO
Anche in campo strettamente culturale nel 1800 a Potenza succedono tante cose, magari intrecciate ai grandi eventi storico-politici della storia italiana. La produzione intellettuale, il dibattito culturale, i fermenti culturali nella Potenza del 1800 sono quasi sempre interconnessi con i paralleli fermenti e cenacoli politici. Potenza è stata una città che ha dato molto al Risorgimento ed all’Unità d’Italia, città di letterati e di rivoluzionari, di patrioti e di professionisti, ma anche di poeti e di grandi studiosi. La Potenza del 1800 richiederebbe un libro a parte per essere narrata nei suoi dettagli. Potenza, per esempio, fu il primo centro lucano, grazie anche al suo nuovo ruolo di capitale regionale, ad avere avuto delle attività tipografiche ed editoriali stabili e professionali. Qualche altro tipografo era già comparso precedentemente nella storia della regione, ma si trattava di tentativi occasionali o addirittura di tipografie ad uso esclusivamente privato. Prima del 1800 le tipografie professionali in Basilicata si potevano contare sulle dita di una mano. Tra il 1808 ed il 1900 a Potenza furono in attività circa venticinque tipografie ed a quei tempi il tipografo era spesso anche un piccolo editore. Molti i titoli stampati a Potenza nel secolo decimonono. Citarli tutti richiederebbe una trattazione a parte ma, per fare degli esempi, la tipografia di Antonio Santanello editava l’operetta “Antidoto salutare contro il veleno della incredulità” (Potenza, 1828), mentre l’anno successivo la tipografia di Luigi Marsico editava le ‘Poesie’ del giovane potentino Luigi Grippo. Nel 1871 sono attive a Potenza due tipografie con altrettante attività editoriali oltre che di stampatore. Furono la tipografia di Nicola Santanello che pubblicò il lavoro di Antonio Giudice “Relazione sulla amministrazione della giustizia in Basilicata per l’anno 1870”, mentre la tipografia di Arcangelo Pomarici editava un libro di atti pubblici. Nel 1874 il tipografo-editore Milanese pubblicava il libro di uno dei grandi patrioti potentini di quel secolo; Rocco Brienza. Il libro era “Sulla vita di mons. Andrea Serrao Vescovo di Potenza. Discorso”. Dal titolo di un volume edito dalla tipografia Magaldi e Della Ratta apprendiamo che nel 1883 era in programma a Potenza un congresso degli alpinisti (Potenza 1880). Nel 1886, la Tipografia Editrice pubblicava la versione italiana di un libro tradotto dal tedesco avente per titolo “Sulla differenza ideale tra giuoco e scommessa. Studio di diritto civile”. La Tipografia editrice la Perseveranza nel 1897 si spinse anche nei campi più avanzati della medicina, pubblicando un opuscolo sulle applicazioni chirurgiche dei raggi Roentgen. Da mettere in grande rilievo, a proposito di questo opuscolo, che il fisico tedesco Wilhelm Roentgen aveva dato l’annuncio della sua scoperta, i raggi x, soltanto il 5 gennaio 1896 e che già l’anno successivo in Italia, anzi a Potenza, veniva pubblicato un agile testo rivolto ai medici di ospedale per istruirli sulle applicazioni chirurgiche dei famosissimi raggi. Maurizio Restivo, l’ex direttore della Biblioteca Nazionale di Potenza ha condotto uno studio sulla storia della stampa in Basilicata ed ha scritto: ”… possiamo affermare che l’arte tipografica in Basilicata attecchì soltanto nel XIX secolo (nel 1800 n.d.r.), oltre che a Potenza, cui spetta comunque il primato, nei seguenti centri elencati in ordine cronologico: Lagonegro (1836), Melfi (1866), Matera (1871), Marsiconuovo (1874), Viggiano (1876), Montalbano Jonico (1878), Rionero in Vulture (1881), Venosa (1883), Lauria (1884), Barile (1889), Bernalda (1898)”.
Ma per tutto il 1800 non ci furono a Potenza solo tanti tipografi e piccoli editori. Comparvero anche riviste e pensatoi dove si forgiava la classe dirigente postunitaria. Gruppi, circoli, cenacoli dove il mix mazziniano tra pensiero ed azione a Potenza era qualcosa di molto forte e palpabile. La potentina Società Economica della Basilicata, successivamente ampliatasi in Società Economica e Letteraria della Basilicata, fu non solo il più grande think tank, come si dice oggi, il principale centro di produzione e di elaborazione del pensiero che si ebbe in Basilicata nel periodo pre-unitario ma anche uno dei maggiori del Meridione d’Italia. Troppo lunga è la storia di questo prestigioso istituto per poter essere trattata in un articolo di sintesi come il presente. Come ogni importante istituto culturale che si rispetti, la Società potentina pubblicava anche una rivista, nata nel 1841. Nelle raccolte annuali dei primi anni prevalgono articoli di carattere economico e questo prima che venisse aggiunta la qualifica di letteraria. Negli stessi anni, siamo negli anni ’40 del 1800, a Potenza, operò un grande riformista dell’epoca borbonica, il palermitano Duca della Verdura, che molto bene operò a Potenza durante il suo incarico. A Potenza c’è una bella piazzetta nel centro storico dedicata alla sua memoria ed è un caso rarissimo, forse unico, nella toponomastica potentina, piena zeppa di nomi del Risorgimento potentino ed italiano, di una piazzetta o di una via intitolata ad un esponente del periodo borbonico. Giulio Benso della Verdura però già prima dell’Unità, e soprattutto dopo, si spogliò dei panni dell’alto funzionario borbonico ed aderì al nuovo Stato unitario, di cui diventò anche senatore. In ogni caso, come i Winspeare, famiglia originaria della Scozia trapiantatasi a Potenza (provenendo da Napoli), Giulio Benso della Verdura legò il suo nome ad una breve stagione del riformismo borbonico, che ebbe proprio in Potenza la sua punta di diamante nel Regno delle Due Sicilie ed anche questa è una storia sorprendente, che, prima o poi, dovremo raccontare nei dettagli. Tra le tante ottime ed illuminate cose che il Duca della Verdura realizzò a Potenza ci fu anche la nascita di un altro cenacolo intellettuale, l’Accademia del Duca della Verdura, costituitasi (ovviamente a Potenza) nel 1843. Due anni dopo, a Potenza arriva Theodor Mommsen, il più grande studioso e storico della Roma antica. Potenza è molto interessante per lui a causa del suo passato romano che lo stesso Mommsen aiuta a decifrare e a scoprire nella sua reale importanza. Durante il suo soggiorno a Potenza viene ospitato dai D’Errico, una delle grandi famiglie potentine di quel secolo, e stabilisce un grande e solido rapporto di amicizia con l’architetto Giuseppe D’Errico. Potenza era, insomma, una città dove nascevano e si sviluppavano in continuazione fermenti politici, ma anche culturali di tutto rilievo e gli intellettuali potentini del tempo non erano per niente chiusi in una claustrofobica e iperprovinciale cultura strapaesana. Al contrario. Si trattava di fermenti culturali che nascevano in un piccolo e geograficamente isolato capoluogo del Mezzogiorno più interno, ma, allo stesso tempo, si trattava dei molteplici fermenti intellettuali e culturali di una piccola città aperta a molti influssi della migliore cultura internazionale ed europea, una piccola città che vantava un vasto ceto professionale ed una colta e ricca borghesia, la stessa che pochi anni dopo si imbarcò nel fortunato progetto di mettere in piedi una società per azioni al fine di edificare il primo, e tuttora l’unico, Teatro lirico della Basilicata, il Teatro Stabile, da sempre denominato dai potentini veraci il San Carlino perché in fase di progettazione e costruzione ci si ispirò al San Carlo di Napoli. Questa fortunata condizione culturale e politica della città fu immediatamente rilevata da un altro illustre ospite, il giornalista Cesare Malpica, che, in merito al soggiorno nella capitale lucana, poi scrisse: “Fra le città di provincia una non v’ha (non ne esiste un’altra n.d.r.) che abbia tante biblioteche private quanto Potenza. Aggiungi che molto si legge qui e molto si ama l’acquisto dei libri; né vi ha chi ignori le opere in corso tra noi e appo lo straniero (le opere pubblicate in Italia ed all’estero n.d.r.). Ho udito versi e prose di parecchi di loro (dei potentini n.d.r.) che farebbero onore ad ogni più colta ed illustre città. E’ comune l’amore delle lettere e delle scienze. Testimoni le raccolte […] e il dotto Giornale della Società Economica, che, al suo titolo, esempio inimitato, aggiunge quello di Letterario”. Maria Teresa Imbriani ha ben fissato il contrasto che esisteva tra Potenza ed il resto della regione a quei tempi e non solo fra il resto della regione. Potenza coltivava un orgoglio municipale di tipo politico-ideologico, ma anche di tipo culturale, essendo stata sempre una città che aveva seguito, ed in alcuni casi anche anticipato, le nuove grandi correnti politiche e culturali della storia italiana ed europea, dalla fine del 1700 alla fine del 1800. Fu sempre al passo con i tempi e con la Storia. “(…) Potenza si ritenne sempre orgogliosa del suo primato sulle città continentali del Regno e fu centro di raccolta dei patrioti della provincia (della Basilicata n.d.r.)”. In un pugno di km quadrati, tanti quanti ne contava in estensione la città nel 1800, c’era una incredibile concentrazione di rivoluzionari, patrioti, letterati, colti borghesi, funzionari statali, ottimi professionisti, studiosi, saggisti e poeti. Sì, anche poeti. Come, ad esempio, il senisese Nicola Sole che cercò per qualche anno di farsi potentino (poi tornò nella natia Senise in condizioni non buone…), come il poeta dialettale in vernacolo potentino (put’nzes) Raffaele Danzi (Sova a la morte de Boryes), come la poetessa Laura Battista, patriota sin dalla più tenera età, poetessa potentina dalla vita e dalla ispirazione romantica, come il già citato Luigi Grippo. Politici rivoluzionari come Rocco Brienza (anch’egli letterato, tra le altre cose), come Maffei, amico di Settembrini e di Giuseppe Mazzini, conosciuto in esilio a Londra dopo i processi-fiume successivi ai fatti potentini del 1848. Maffei fu la grande anima della corrente democratica dei liberali potentini e lucani del 1800, come Vincenzo D’Errico, fu il grande capo dell’altra corrente liberale della città (ma anche della Lucania intera), quella moderata.
Ad un secolo di distanza dalle contesse ‘colte’ del 1700, un altro simbolo della civiltà e della cultura potentine riaffiora e si concretizza paradigmaticamente in Isabellina Guarna. Attenzione. E’ un personaggio immaginario, non realmente vissuto. E’ la figlia del liberale don Matteo Guarna, uno dei principali protagonisti del romanzo di Carlo Alianello, “L’Eredità della Priora” (da cui fu tratto anche un celebre sceneggiato televisivo). “L’Eredità della Priora” è ambientato in gran parte a Potenza e di Potenza è il personaggio di Isabellina. Però, non credo che questo personaggio sia stato partorito dal nulla da Alianello. Sicuramente, lo scrittore si sarà ispirato a qualche figura reale, a qualche giovane donna realmente esistita nella Potenza del 1860. Attraverso il personaggio di Isabellina possiamo leggere in controluce la Potenza di quegli anni anche per quel che riguarda la diffusione della cultura. Nel celebre romanzo di Alianello, Isabellina torna a Potenza reduce da anni di studi rigorosi in un collegio calvinista di Ginevra, in Svizzera; una educazione degna dei figli dei più illustri aristocratici europei e, quindi, molto al di sopra di un borghese potentino della provincia meridionale come don Matteo Guarna. Il momento saliente del romanzo è il mancato assedio o, meglio, la mancata conquista di Potenza da parte delle truppe brigantesche di Crocco e Borjes e quindi col fallimento del progetto di conquistare Potenza, progetto che sarebbe stato determinante per stroncare l’appena nata storia unitaria italiana, il fenomeno del brigantaggio cominciava la sua parabola discendente perché la conquista di Potenza era l’obiettivo strategico più importante in assoluto della guerriglia brigantesca e legittimista (e qui dico tra parentesi che rileggendo dopo anni il romanzo ho verificato che su questo punto Alianello aveva scritto le stesse cose da me sostenute in questi ultimi tempi, cose che non ricordavo fossero state ipotizzate anche dallo scrittore; lessi Alianello molto anni fa e non ricordavo questo particolare). Passato il pericolo dei briganti e della immediata rottura dello Stato unitario italiano, la borghesia di Potenza (tutta liberale, ovviamente) si rimette al lavoro proiettando anche le proprie aspirazioni personali e familiari sull’obiettivo della conquista di prestigiose posizioni nelle strutture del nuovo Stato. E’ un processo, quello che si apre soprattutto a Potenza negli anni successivi al 1861, non solo politico in senso stretto ma anche culturale. Fino a quel momento le tante personalità di spicco dal punto di vista politico si erano configurate a Potenza soprattutto come politici da rivoluzione, da cospirazione. Con il consolidamento dello Stato nazionale nato per iniziativa della Casa Sabauda torinese, questa tipologia andrà mutando. Spariscono i Maffei, i Brienza e fanno la loro comparsa i giovani della rivoluzione nazionale del 1848-1860, che diventano politici di governo, politici riformisti. Uno di questi era Pasquale Grippo, nato a Potenza nel 1845. La caratteristica di questa nouvelle vague potentina fu quella, appunto, come appena ho detto, di essere fatta di politici tendenzialmente portati a posizioni governative, politici di tempo di pace e di espansione, ma che rimasero, pur sempre, anche degli uomini di cultura, Anzi, grandi uomini di cultura. Grippo diventò nel 1914, e lo restò fino al 1916, Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia, ma prima ancora era stato uno dei più importanti avvocati cassazionisti d’Italia, Docente di Diritto Penale e di Diritto Costituzionale alle università di Napoli e di Bologna ed autore di un apprezzato libro sul tema del potere giudiziario. Un altro grande rappresentante di quella nouvelle vague della seconda metà del 1800 fu Ascanio Branca, nato a Potenza nel 1840 da una ricca famiglia borghese. Il padre di Ascanio era uno dei tantissimi potentini cospiratori che aveva provato le durezze del carcere borbonico nell’istituzione penitenziaria della città, che allora si trovava nella zona di Santa Croce. Branca fondò riviste e partecipò alla Inchiesta Jacini sulle condizioni agrarie del Mezzogiorno. La sua carriera politica toccò il suo apice quando fu nominato per ben quattro volte Ministro delle Finanze del Regno d’Italia nei quattro governi di Antonio Starabba di Rudinì dal 1896 al 1898, ma era già stato Ministro delle Poste nel primo governo Di Rudinì nel 1891-1892 e successivamente al 1898 fu ancora Ministro, l’ultima volta; Ministro dei Lavori Pubblici nel governo Sarracco. Si dovrebbe spendere qualche parola anche per Paolo Cortese, nato a Napoli da genitori potentini e che operò anche a Potenza, dove venne eletto deputato. Paolo Cortese era potentino almeno al 50% e fu anch’egli Ministro del Regno d’Italia, esattamente fu Ministro di Grazia e Giustizia nel governo Lamarmora. Potenza non sazia di questa abbondanza di politici e di ministri, nella seconda metà del 1800 si preparava a formare un altro suo grande figlio per chiudere il suo Grande Secolo; Ettore Ciccotti. Figlio del sindaco di Potenza, Pasquale Ciccotti, Ettore Ciccotti, nato a Potenza nel 1863, fu tante cose ed in ogni cosa lasciò la sua notevole impronta; non solo nella cultura cittadina e regionale, ma sicuramente in quella italiana tra 1800 e 1900. Fu politico, giornalista, docente universitario, uno dei più insigni storici italiani della antichità, intellettuale e politico riformista, uno dei primi traduttori di Marx in Italia, autore di un lungo elenco di libri e saggi. Siccome il tema di questo scritto è centrato in particolare sulla tradizione culturale di Potenza, mi soffermerò specificamente sul Ciccotti intellettuale. Scrisse testi come: “Commercio e civiltà nel mondo antico” (Milano, 1929), “Donne e politica negli ultimi anni della Repubblica Romana” (Prato, 1895), “I sacerdoti municipali e provinciali della Spagna e gli Augustali nell’epoca imperiale romana” (Torino, 1890), “Il tramonto della schiavitù nel mondo antico” (Udine, 1899) e molti altri. Scrisse anche saggi politici in quanto militante socialista (fu anche deputato nelle liste del Partito Socialista) e per un periodo, il suo periodo milanese, fu molto vicino a Filippo Turati, capo della corrente riformista del PSI, collaborando con la sua nota rivista, “La Critica Sociale”. Una cosa curiosa è che Ciccotti si oppose duramente al terzo Governo Di Rudinì scendendo anche in piazza a Milano contro di esso, cioè contro il governo del quale era Ministro delle Finanze il suo concittadino Ascanio Branca. Il 1800 fu anche il secolo in cui nacque e si sviluppò un’altra grande tradizione culturale di Potenza; la musica classica e soprattutto lirica. Tutto era cominciato negli anni ’20 del secolo con il Teatro di San Nicola, che era piccolissimo ed angusto ma che programmava già una serie lunghissima di rappresentazioni liriche. Per esempio, nel 1832 al ‘San Nicola’ andava in scena La Gazza ladra di Gioacchino Rossini. La storia è nota; verso la metà del secolo la borghesia cittadina si mise in moto per costruire un teatro degno della città e del suo nuovo status di Capitale regionale (allora si diceva provinciale) e di Capitale meridionale del Risorgimento. Il sogno diventò realtà in una freddissima serata di gennaio del 1881, alla presenza della famiglia reale sabauda e del primo ministro del tempo, Benedetto Cairoli. Fu così che la Capitale del Risorgimento meridionale ebbe il suo teatro, ad immagine e somiglianza, sebbene su scala ridotta, del San Carlo di Napoli. Il nuovo tempio della musica cittadina fu dedicato ad un musicista lirico potentino, Francesco Stabile, nato a Miglionico da famiglia potentina e poi trasferitosi nuovamente a Potenza, dove visse e dove morì l’11 agosto del 1860. Compose due opere liriche (“Braccio da Montone” e “Palmira”, alcune sinfonie e molta musica sacra). Va detto anche che già negli anni immediatamente precedenti l’inaugurazione del Teatro Stabile, Potenza aveva beneficiato della presenza di uno dei più grandi compositori e maestri della lirica italiana; Ruggero Leoncavallo, che a Potenza dava lezioni di piano ai figli della borghesia potentina e che a Potenza compose, in toto o in parte, la sua prima opera; il “Thomas Chatterton”, un classico del Romanticismo inglese. La cultura musicale potentina trasse molto giovamento in seguito anche dal lavoro di un musicista professionista come Vincenzo Rebek. Il Maestro Rebek formò molti rampolli della buona borghesia potentina come pianisti ed alcuni di essi si diplomarono in pianoforte al Conservatorio di San Pietro a Maiella a Napoli.
Non si può lasciare il grande e densissimo 1800 potentino senza fare cenno alla tradizione storiografica. La storiografia potentina nasce a metà del 1600 con Giuseppe Rendina, autore di un manoscritto solo recentemente pubblicato, ma rimasto inedito per quasi 350 anni. Manoscritto prezioso perché ci ha permesso di gettare uno sguardo su remoti secoli su cui poco o nulla si era mai saputo in precedenza. Il 1800 si apre con la pubblicazione di un altro indispensabile testo sulla storia di Potenza, quello di Emanuele Viggiano (“Memorie della città di Potenza”) che uscì nel 1805. Infine, il secolo si chiude con Raffaele Riviello, autore di altri due testi fondamentali; “Cronaca potentina dal 1799 al 1882”, libro uscito a Potenza nel 1895 e “Ricordi e note su costumanze, vita e pregiudizi del popolo potentino” (Potenza, 1889). Raffaele Riviello scrisse pure un “Discorso per la morte di Vittorio Emanuele II, Primo Re d’Italia e Padre della Patria” (Potenza, 1878).
IL 1900
Il 1900 si apre nel capoluogo della Basilicata con una singolare esperienza intellettuale. “Nel capoluogo potentino – ha scritto Valeria Verrastro – si era costituito un vivace gruppo di studiosi, formato per la gran parte da giovani docenti di fuori regione, che avrebbero avuto successivamente una brillante carriera accademica distinguendosi in campo nazionale. Tra questi Gino Luzzato, fondatore in Italia degli studi di storia economica e tra le più importanti figure di intellettuali italiani del periodo compreso fra la prima guerra mondiale ed il secondo dopoguerra. […] Nel gruppo spiccavano anche le figure del veneziano Gennaro Mondaini, iniziatore in Italia degli studi di storia coloniale, e di Pietro Fedele, storico medioevista, originario di Minturno, destinato ad una lunga carriera politica e accademica, professore di Storia Moderna all’Università di Roma, senatore dal 1928, presidente dell’Istituto Storico Italiano e dal 1925 al 1928, Ministro della Istruzione Nazionale. Il gruppo, al quale si unirono Corrado Barbagallo, (successivamente al suo periodo di permanenza a Potenza, docente di Storia Economica nelle Università di Catania, Napoli e Torino n.d.r.) e Pietro Orsi, cominciò ad interessarsi alle opere più pregevoli della storiografia regionale, a cominciare da quelle di Giustino Fortunato e di Giacomo Racioppi. Insieme al Tripepi, il gruppo diede avvio ad una intensa esplorazione dei vari fondi archivistici conservati nell’Archivio di Stato potentino. Ben presto all’interno del piccolo cenacolo, dovette nascere l’esigenza di un adeguato strumento di diffusione dell’attività di ricerca appena intrapresa. Fu così che nacque quella che era destinata a diventare, ad onta della sua brevissima esistenza, la prima rivista di studi storici della provincia (della Basilicata che nel 1900 aveva una sola provincia, la quale veniva a coincidere con la regione attuale n.d.r.): la “Rivista storica lucana”, edita dallo stabilimento tipografico Carlo Spera di Potenza. Il primo numero del mensile, diretto da Antonino Tripepi, vide la luce nel mese di dicembre del 1900″. Della rivista uscirono in tutto quattro numeri. Ciò fu dovuto essenzialmente al fatto che i giovani italiani trovatisi a Potenza, essendo tutte menti brillanti della cultura italiana, cominciarono a guadagnare cattedre universitarie in ogni dove e quindi il cenacolo si spense pian piano. Ma il Tripepi, rimasto solo, continuò il suo lavoro e il 1900 nacque quindi nel segno di una intensa attività editoriale e giornalistica. In città era tutto un fiorire di giornali e riviste e questa tendenza si è confermata per tutto il 1900. Tripepi pubblicò i suoi lavori prima su ‘Il Lucano’, poi sul ‘Giornale di Basilicata’. Nel 1915 l’editore potentino, Vincenzo Garramone, raccolse gran parte dei suoi articoli nel volume “Curiosità storiche di Basilicata”.
Il 1900 accentua la trasformazione dei vecchi cenacoli, delle Accademie e dei salotti intellettuali. A Potenza come altrove. Cenacoli e salotti prendono sempre più la forma di un gruppo redazionale che dà vita ad un periodico o ad una rivista e così avviene anche a Potenza, dove si espande la componente più specificamente giornalistica e pubblicistica. Potenza è anche, agli albori del nuovo secolo, il centro della regione più denso di fermenti editoriali e giornalistici. Nascono riviste attorno alle quali si condensano nuovi gruppi politici e intellettuali. Alcune riviste sono più culturali in senso stretto, in altre prevale la passione politica. Dopo la rivista dei grandi intellettuali non potentini e non lucani che avevano vissuto per un biennio a Potenza (Luzzatto, Fedele, Barbagallo, ecc.), mentre Tripepi andava avanti da solo, altre iniziative nascevano a Potenza. Si trattava di testate destinate a fare la storia del giornalismo e della cultura non solo a Potenza ma in tutta la Basilicata. La Squilla Lucana, periodico pubblicato nella tipografia Carlo Spera di Potenza fin dal 1901 riuscì ad andare avanti fino al 1918. Era l’organo della Federazione del Partito Socialista della Basilicata. Era stata fondata dal deputato socialista potentino Raffaello Pignatari. Fu quella una grande stagione di fermenti intellettuali in cui i protagonisti erano il melfitano Nitti, poi Presidente del Consiglio, il rionerese Giustino Fortunato, l’aviglianese Emanuele Gianturco (già Ministro del Regno) ed il potentino Ettore Ciccotti. Ha scritto, a proposito di quella grande stagione del giornalismo potentino e lucano, lo storico materano Raffaele Giura Longo: “uomini quali Giustino Fortunato, Francesco Saverio Nitti ed Ettore Ciccotti, la cui presenza e la cui opera non furono, come comunemente si crede, frutto di illuminazioni improvvise o di apparizioni dal vuoto, in qualche modo eccezionali o inspiegabili o isolate dal contesto sociale di provenienza, ma piuttosto l’espressione più alta e significativa di una storia culturale e politica regionale”. Nel caso di Ettore Ciccotti, l’espressione più alta della plurisecolare tradizione culturale potentina. Nel 1908 nasce a Potenza Il Giornale di Potenza e nello stesso anno viene alla luce un altro importante periodico potentino, La Provincia, quindicinale cattolico, periodico che fu il terreno di coltura per l’emergere di un’altra grande personalità quale quella di Vincenzo D’Elia, allora parroco della potentina Chiesa della Trinità. Il periodo fascista non fu particolarmente interessante dal punto di vista dei gruppi intellettuali e delle riviste (come un po’ dappertutto a causa della mancanza di libertà), ma è proprio negli anni del Fascismo che nasce un’altra delle grandi riviste potentine e lucane. Si tratta della rivista ‘La Basilicata nel mondo’, fondata e diretta da Giovanni Riviello, nato a Potenza nel 1885 e morto a Napoli nel 1930. Riviello, il secondo Riviello della storia culturale potentina, diede vita ad una rivista che potesse fungere da ponte tra i tanti lucani già emigrati in ogni parte del mondo ed i lucani rimasti a vivere nella propria terra. La rivista usciva però a Napoli e durò soli tre anni, dal 1924 al 1927, ma tre anni bastarono affinché ‘La Basilicata nel mondo’ diventasse un fenomeno editoriale non solo a Potenza ed in Basilicata, ma anche all’estero, presso le comunità degli emigrati lucani, che sottoscrissero molti abbonamenti, ed a livello nazionale. Il Fascismo, non ancora ben saldo nel suo Regime, mise gli occhi addosso al giornalista potentino ed alla sua rivista. Preferisco rievocare quei fatti prendendo a prestito le parole di Lucio Tufano : “Il Regime si accorse quindi dell’esistenza e delle qualità “manageriali” di Giovanni Riviello, della sua cultura ed esperienza professionale. Se ne accorse proprio Arnaldo Mussolini, già giornalista e fondatore della rivista illustrata “Il Popolo d’Italia” e volle che ad una sola regione, la Basilicata, si sostituisse la nazione per questa insigne funzione di raccordo fra l’Italia e gli Stati Uniti e tra l’Italia e gli Stati dove vi fossero italiani emigrati. A Giovanni Riviello fu concesso di fondare gli “Italiani pel mondo” e di esserne il direttore responsabile, con la direzione politica dell’on. Nicola Sansanelli, già amico del Riviello e capo del Fascismo napoletano”.
IL SECONDO DOPOGUERRA
Nel secondo dopoguerra le riviste ed i periodici furono ancor più promosse dai partiti politici. Potenza ne ebbe tante, ma, per la prima volta nella storia della Basilicata, Potenza dovette condividere il ruolo di motore culturale e giornalistico della regione con l’emergente Matera, dove negli anni ’50, in seguito al libro di Levi ‘Cristo si è fermato ad Eboli’, alla scoperta del dramma sociale dei Sassi ed all’interesse di Adriano Olivetti e di altri intellettuali italiani, si stava aprendo una stagione intellettuale particolare ed interessante all’insegna del neorealismo, una corrente culturale che in quegli anni si stava imponendo come la maggiore espressione cinematografica del cinema italiano. L’altra componente che rivitalizzò, dopo un lunghissimo letargo, la cultura a Matera fu la riscoperta del meridionalismo. A Potenza, invece, con la morte di Ciccotti nel 1939, si chiudeva una lunghissima stagione il cui filo ideale era partito dal 1799 e si era snodato per tutto il 1800 fino ai primi anni ’20 del 1900. Non è che mancarono le riviste, i periodici ed i giornali nella Potenza del secondo dopoguerra, e particolarmente dalla fine della guerra fino alla metà degli anni ’80, ma le mutate condizioni politiche non erano più tali da assicurare a Potenza l’egemonia culturale regionale che aveva sempre avuto prima e per così tanto tempo. Questo è un discorso che aspetta ancora di essere affrontato nello specifico e mi riservo di farlo appena possibile. Il secondo dopoguerra a Potenza vede anche la nascita della sede regionale RAI, che per lunghi anni fu anche un centro di produzione culturale con programmi radio e video che venivano prodotti nella sede di Potenza e distribuiti anche in altre sedi regionali. Potenza ebbe comunque tra il 1950 e gli anni ’60 del 1900 due interessanti fenomeni culturali. Il primo fu un movimento di nuovi pittori potentini anch’essi influenzati dai temi che andavano prevalendo nella cultura regionale; l’interesse per il mondo contadino e per le tematiche del nuovo meridionalismo. Alcuni avevano cominciato a dipingere ed a partecipare alle mostre ancora prima del secondo dopoguerra. Il gruppo comprendeva Michele Giocoli (Potenza,1903 – 1989), Remigio Claps, Mauro Masi, Michele Pergola, Rocco Falciano ed altri.
“Giocoli – scrive il critico d’arte lucano Peppino Appella – portò da Roma, da Venezia e da Milano (dove nel 1945 aveva firmato un contratto con la Galleria Barbaroux) gli echi dell’Espressionismo, della Scuola Romana, di “Corrente” e di quanto accadeva in Europa, proprio come Italo Squitieri (Potenza, 1907 – Cortina d’Ampezzo, 1994) trasferì notizie della Milano di Sironi, Carrà e Martini, di Parigi, della Roma di Mafai, dell’Oriente, e Remigio Claps (Avigliano, 1911 – Potenza, 1985) con Vincenzo Claps (Avigliano,1913 – Potenza, 1975) della Firenze dei Macchiaioli e di Carena, Rosai, Soffici, Lega, Viani”.
Questi pittori potentini del secondo dopoguerra lavorarono per “quel risveglio artistico e culturale che è premessa indispensabile d’ogni ricostruzione” e gli artisti potentini o che gravitavano su Potenza erano “raccolti in due gruppi più o meno coesi e vivaci, a volte lacerati dalle scelte da compiere, spesso divisi sui problemi di estetica, dibattuti nello studio di Remigio Claps – Michele Giocoli – Michele Pergola in località Angilla Vecchia (via di Potenza n.d.r.), in quello di Vincenzo Radino nel Palazzo dei Mutilati e in quello di Masi dove Scotellaro incontra Vincenzo De Rosa, Michele Parrella, Francesco Ranaldi per discutere della necessità di uscire da un’anonima pittura paesaggistica, stanco riflesso della Scuola di Posillipo, guardando al mondo contadino, alla sua storia, alla sua cultura, alle sue forme spontanee e familiari, senza scadere nei facili elementi pittoreschi, dipingendo non per motivi ideologici ma per necessità poetica. L’artista doveva vedervi l’unico modo per non porsi fuori dalla storia”.
Nel secondo dopoguerra la tradizione storiografica potentina dei Rendina, dei Viggiano e dei Riviello trova una continuazione in Tommaso Pedio. Tra gli anni ’50 ed i ’60 sulla scena potentina si propone anche Vito Riviello (il terzo Riviello), poeta e libraio. Aprì una libreria posta su due piani in Via Pretoria, la Nuova Libreria (un piano al livello della strada ed un piano interrato al di sotto del livello della strada) e da quella postazione animava la vita culturale potentina di quel periodo. La libreria di Vito Riviello era il centro di propulsione della vita intellettuale cittadina. Gravitavano intorno alla libreria ed al Circolo lucano di cultura, fondato anch’esso da Vito Riviello, giovani poeti ed intellettuali potentini. Molti i nomi; Orazio Gavioli che se ne andrà a Roma e diventerà caposervizio delle pagine degli spettacoli e del teatro del quotidiano di Scalfari, “Repubblica”, il poeta Michele Parrella di Laurenzana (anch’egli poi andatosene a Roma), Stolfi, Trufelli, il già citato Pedio e Nicola Tranfaglia, storico di famiglia napoletana, ma che aveva vissuto la giovinezza a Potenza. Tranfaglia è stato docente di storia contemporanea e Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Torino. E poi gli ospiti che venivano da fuori come Giovannino Russo, l’ultimo meridionalista, scrittore e collaboratore per lunghissimi anni del “Corriere della Sera” (morto di recente), la cui formazione culturale si era svolta a Potenza prima di spiccare il volo per Roma, come il poeta Alfonso Gatto, come Alberto Moravia, come Carlo Levi (nelle sue rare visite a Potenza), come Leonardo Sinisgalli, come Tommaso Fiore e come Pierpaolo Pasolini. La libreria di Vito Riviello inoltre costituiva, nella Potenza democristiana di Emilio Colombo, anche un centro di anticonformismo e di non omologazione in contrasto alla pesante egemonia della DC. Altre due librerie nella storia politica e culturale di Potenza avevano già avuto, in precedenza, un ruolo simile ed anche molto più impegnativo. La libreria di Marchesiello era un specie di covo degli antifascisti potentini e, prima ancora dell’Unità d’Italia, la stessa funzione aveva avuto la libreria di Giacinto Cafieri al tempo di Vincenzo D’Errico e di Emilio Maffei. Infine, la cultura potentina trovò un momento di importanza epocale e di sublimazione millenaria con l’istituzione del primo Ateneo potentino e lucano. Nel 1982, veniva istituita l’Università della Basilicata con sede a Potenza e dall’anno successivo venivano attivati i primi corsi di laurea. Qui si chiude la nostra lunghissima storia della tradizione culturale di Potenza, snodatasi per un millennio. Il resto, è storia di anni troppo recenti per poter già essere considerati oggetto di indagine storica.
PINO A. QUARTANA
1 cfr. Potentia Review, n. del 15 aprile 2017; http://www.potentiareview.it/2017/04/15/un-importante-pittore-toscano-del-rinascimentpistoia/
2 cfr. Potentia Review n. del 20 settembre 2016; http://www.potentiareview.it/2016/09/20/arte-fiamminga-potenza-dirck-hendricksz/
3 cfr. Potentia Review n. del 30 luglio 2918 http://www.potentiareview.it/2018/07/30/sette-grandi-donne-aristocratiche-e-borghesi-della-storia-di-potenza/
Nella foto; il noto filosofo francese Serge Latouche il 6 dicembre 2017 ha presentato a Potenza, nella sala conferenze di Palazzo Loffredo, il suo ultimo libro davanti ad un pubblico foltissimo ed appassionato.