“Lucania Finanza” è stata una rivista da me fondata nel 1996 e diretta per quattordici anni fino alla chiusura, avvenuta nel 2009. La rivista era un trimestrale (ovviamente cartaceo, dati i tempi) che si occupava prevalentemente di temi economici e finanziari. Il numero 3/1998, che ospitava questa interessantissima intervista, fu, purtroppo, stampato in pochissime copie e diffuso gratuitamente per lo più solo in alcuni bar e locali di Potenza. Dei pochissimi che a suo tempo lessero l’intervista, siamo sicuri che nessuno oggi la ricorda. Non è mai stata neppure immessa in rete per cui, da molti punti di vista, pur apparendo oggi in questa sezione ‘Reprint’ (Ristampa, ripubblica) del nostro magazine, si può ben dire che è come se non fosse mai stata pubblicata, che la grandissima parte dei lucani può venirne a conoscenza ed apprezzarla solo oggi, diciassette anni dopo la pubblicazione su quella rivista. Quindi, speriamo che, seppure a diversi anni di distanza da quando fu realizzata, il pubblico di “POTENTIA REVIEW” possa finalmente apprezzarla, non da ultimo anche perché i temi sollevati nel corso del colloquio/intervista sono, quasi diciotto anni dopo, ancora attualissimi. Ricordo ai lettori che Giorgio Bocca è morto la notte del 25 dicembre del 2011. (P.a.Q.)
Non crediamo che Giorgio Bocca abbia bisogno di molte presentazioni. Da tanti anni viene considerato uno dei più importanti e prestigiosi giornalisti italiani al pari di Montanelli e Scalfari. Scrittore di molti libri di successo e di forte impegno civile, editorialista del quotidiano “La Repubblica” e del settimanale “L’Espresso”, da quasi cinquant’anni considera il problema del Mezzogiorno come il problema principale dello sviluppo italiano. L’interesse che suscitano le sue posizioni nasce dal fatto che Bocca esprime delle opinioni sul Sud che sono sì il prodotto di un punto di vista nazionale, ma che sono, al tempo stesso, anche il prodotto di una visione delle cose meridionali che non smette mai di essere dichiaratamente nordica. Il suo punto di vista è, quindi, considerato come la cartina di tornasole degli umori nascosti della migliore e più qualificata opinione pubblica del Nord. Questi motivi, uniti al fatto che Bocca non aveva mai espresso un punto di vista globale e specifico sulla nostra regione, cosa che fa qui per la prima volta nella sua carriera, danno a questa intervista, che, probabilmente susciterà reazioni e prese di posizione le più disparate, una connotazione del tutto eccezionale.
Dottor Bocca, nei Suoi libri, in tantissimi Suoi articoli, Lei ha scritto e scrive continuamente sul Mezzogiorno e di cose meridionali, sempre, naturalmente, all’interno di un quadro italiano ed europeo. Non ricordo, però, un solo passaggio o un solo articolo in cui Lei abbia svolto qualche riflessione specifica sulla Lucania. Come mai? Si tratta di una regione che non conosce affatto oppure di una regione che Lei ritiene insignificante, forse, perché piccola e silenziosa o, forse, perché agli occhi di un osservatore esterno, seppur acutissimo ed informatissimo come Lei, essa può sembrare del tutto uguale alle altre regioni meridionali e, pertanto, senza una propria, specifica identità?
Della Lucania non ho parlato mai o quasi mai perché la Lucania è una regione anomala, diversa da tutte le altre regioni del Meridione e, quindi, non è rappresentativa dei problemi che il Meridione ha in modo omogeneo. Per sua fortuna, la Lucania non ha criminalità. Essa rappresenta un’eccezione all’interno del Mezzogiorno, soprattutto da questo punto di vista. Non si sa a cosa sia dovuta questa eccezione; se a ragioni storiche e culturali oppure se al fatto che essa è talmente povera che neanche la malavita attecchisce.
Certamente il motivo potrebbe essere quest’ultimo. Eppure, ci sono nel Sud zone ancora più povere della Lucania. Ci riferiamo a gran parte della Calabria, a tutto l’interno della Sardegna e della Sicilia e ad altre zone, dove la criminalità è feroce. Seguendo coerentemente il criterio che Lei poco fa ipotizzava, quelle parti del Mezzogiorno dovrebbero essere invece delle Arcadie bucoliche…
…non so … forse, conosco poco le ragioni storiche per cui la Lucania è diversa anche come tipo umano. Ho conosciuto diversi lucani nella mia vita; tutte bravissime persone, molto diverse dal tipo di meridionale così come lo immaginiamo noi del Nord. Tutti i lucani con cui ho avuto a che fare nella mia vita e nella mia carriera mi sono apparse come persone miti, molto gentili, molto civili. Sono stato anche parecchie volte in Lucania: ricordo diverse visite a Matera, per esempio. D’altronde, nei miei tanti giri per il Meridione, dovendo passare da un mare all’altro era inevitabile che entrassi in contatto con la Lucania.
Ma qual è, precisamente, l’immagine dei meridionali che ancora oggi si ha al Nord ed in cosa consiste, di conseguenza, la differenza fondamentale tra i meridionali ed i lucani? Ed ancora: questa coscienza della ‘differenza’ lucana rispetto al resto del Sud, secondo Lei, è ben diffusa tra le popolazioni del Nord Italia oppure è viva solo nelle élites intellettuali settentrionali, delle quali uno dei più importanti giornalisti italiani quale è Lei fa indubbiamente parte?
Noi settentrionali siamo convinti, per esempio, che la mescolanza di etnie e razze che si sono stratificate in Sicilia ed in Calabria nel corso dei secoli abbia avuto un effetto poco fortunato. Nel corso della Storia in quelle terre si è venuto formando un tipo d’uomo abbastanza duro, ostile, abbastanza refrattario alla civiltà europea. Invece, la Lucania dà l’idea di un mondo contadino molto idilliaco , un mondo contadino fatto di persone molto gentili e molto buone. Certo, è una immagine chiara solo a determinati strati. La massa, al Nord, non conosce per niente questa regione.
Questa identità, oltre ad essere pochissimo conosciuta in Italia e nello stesso Sud, risulta problematica già nel nome stesso della regione, che viene indifferentemente denominata Basilicata o Lucania. Secondo la Sua personale esperienza, oggi è chiaro per l’opinione pubblica del Nord, ad esempio, il fatto che si tratta sempre della stessa regione?
Per i settentrionali la vostra è una regione un po’ favolosa. Un po’ magica. Questa faccenda del doppio nome è, in effetti, abbastanza curiosa. In genere, per noi del Nord, Basilicata non è un nome molto magico, mentre il nome Lucania evoca altre suggestioni. Il nome Basilicata dà l’idea del Basilisco, del Re, un nome non molto letterario, insomma.
Mi assale spesso il sospetto che al Nord pensino addirittura che la Basilicata stia in un posto e la Lucania in un altro, il sospetto, insomma, che per il settentrionale medio si tratti di due diverse regioni. Mi dica; è un sospetto del tutto infondato?
Quelli che non sanno che la Basilicata e la Lucania sono la stessa regione non sanno neanche cosa sia la Lucania. Credo che al Nord ci sia una grandissima ignoranza sulla Lucania. Ma, nello stesso tempo, tra le ragioni del suo fascino c’è proprio quella di essere una regione sconosciuta. Parte di questo fascino è da mettere sul conto dei Sassi di Matera. Per anni c’è stata questa leggenda. Poi, magari uno va giù e scopre che i Sassi sono abitazioni comodissime. Certamente è meglio abitare nei Sassi, specie se risistemati, che in certe palazzine da geometra.
Regione sconosciuta, ma non alle élites del Nord. Tra queste ultime ci sono tutti i pezzi da novanta della Fiat. Lei conosce bene tutti quelli che contano nella Fiat. Perché, a Suo modo di vedere, la più grande azienda italiana e settentrionale, un potere forte che certamente non si fa condizionare più di tanto dai contributi statali nelle sue scelte strategiche, ha scelto proprio la Lucania, segnatamente Melfi, per costruirvi la fabbrica più moderna del mondo?
Sicuramente perché, dal punto di vista sociale, la Lucania era una regione tranquilla, risparmiata dalla malavita organizzata. La Fiat ha scelto, quindi, uno dei posti in cui non doveva pagare dei prezzi alla mafia ed ha pensato di trovarsi in una regione civile.
L’handicap del Sud è solo la questione criminale o ci sarebbe anche dell’altro? Per dirla in altri termini; se venisse risolta, una buona volta, la questione della criminalità, il Sud potrebbe essere considerato una porzione del territorio nazionale come le altre? Ed alla Lucania che non conosce la grande criminalità o che conosce marginali fenomeni criminali di importazione dalle altre regioni meridionali può bastare l’immagine di regione tranquilla per essere considerata una regione “normale” o no?
La criminalità è uno degli aspetti. Credo che il fondamento della diversità del Sud sia un fondamento culturale. Il Sud è una parte del territorio italiano che per ragioni storiche ha avuto uno sviluppo sociale più lento e più arretrato rispetto alle zone comunali come erano quelle della Toscana. Voi di questa rivista lucana, lo sapete che c’era questo discorso…
… certamente. La questione è stata rilanciata negli anni scorsi da un ormai famoso libro del politologo statunitense Putnam sulle differenti tradizioni civiche delle regioni italiane…
… infatti… anche se quel libro non faceva poi questa grande scoperta…
… non c’è dubbio; queste cose si sapevano già…
… dunque il problema era ed è questo; dove c’è una tradizione civica e sociale non feudale, e qui occorre porre l’accento particolarmente sul fatto che il Sud è stato feudale fino a poco tempo fa, cosa che gli ha nuociuto non poco nel passaggio verso la civiltà industriale, ci sono le basi dello sviluppo. La mancanza di associazionismo, di cooperative, di finanza ha penalizzato il Sud nel suo sviluppo storico. Per tornare alla Fiat, aggiungo che loro, i capi della grande industria torinese, hanno, probabilmente, commissionato degli studi sociologici nella zona di Melfi dai quali hanno ricavato la convinzione che lì c’era un materiale umano più adattabile, meno refrattario alla fabbrica ed alla cultura della fabbrica. Credo che in questo abbiano avuto ragione. Penso, però, che anche nella zona di Melfi l’utopia Fiat di creare una azienda libera da tutti i rischi dell’operaismo sia già fallita nel senso che questi conflitti di classe poi si ripetono. Non è che si possa mantenere la pace sociale totale neppure a Melfi.
Finita la Prima Repubblica, condannati ormai generalmente i tempi del clientelismo e dell’assistenzialismo, questa piccola regione potrebbe avere, secondo Lei, un ruolo specifico nella costruzione di un Sud moderno e, di conseguenza, nella riduzione del divario Nord-Sud, che resta sempre il più grande problema nazionale? In altre parole; dal Suo punto di vista, può venire dalla Lucania qualche elemento di speranza non solo per se stessa, ma per l’intero Sud?
Già è una cosa molto positiva che la fabbrica insediata ad opera di una grande azienda, come la Fiat, non solo possa vivere , ma crei altre aziende. Il cambiamento si vede spesso dai piccoli segni ed allora mi sia concesso dire che la cosa più strana della Basilicata, o Lucania, è la squadra di pallavolo femminile, con queste ragazze dalle gambe altissime, con queste nordiche che giocano per la squadra di Matera…
Perché questo fatto Le sembra così strano?
Queste virago nordiche nella squadra di Matera per uno del Nord, sono un fatto abbastanza curioso.
Mi scusi, dottor Bocca, ma mi sto meravigliando della Sua meraviglia. Ciò che sta dicendo mi farebbe sospettare che l’immaginario settentrionale è veramente stereotipato oltre ogni misura ragionevole. Sembra, insomma, che qualsiasi idea della Lucania sia inconciliabile per storia e per tradizione con il Nord e con l’immaginario nordico. Ma guardi che questa regione ha avuto anche i longobardi, e non per qualche annetto, conserva ancora, a distanza di sette-ottocento anni, un intenso ricordo, un ricordo partecipe, dei re Normanni e della Casa tedesca imperiale di Svevia, stirpi nordiche che la amarono e che le dettero un ruolo di grande importanza nella storia dei secoli XI, XII e XIII. Sarebbe un discorso lunghissimo e fondatissimo quello dei legami e delle assonanze di tante parte della Lucania con il Nord.
No, no … voglio dire solo che ogni qualvolta sono venuto in Lucania ho sempre conosciuto degli amici che avevano delle mogli piccole e vestite di nero. Vedere recentemente, come mi è capitato, queste donne alte e bionde è stato curioso; mi hanno fatto una certa impressione. E’ da cinquant’anni che vengo al Sud e prima di donne per le strade non se ne vedevano. Mi sia dunque permesso di essere abbastanza sorpreso dalle ragazze meridionali e lucane di oggi che giocano a pallavolo e che, lo ripeto, mi danno una immagine abbastanza sconvolgente.
C’è stato un momento in cui Lei ha avuto la legittima speranza che la Lega Nord fosse una intelligente e salvifica forza politica, ma, poi, in Lei è subentrata l’amara disillusione, incanalatasi in critica feroce e, quindi, in un vero e proprio disprezzo. Un meridionale non avrebbe potuto trovare parole più appropriate sulla Lega di quelle che Lei ha scritto in molti Suoi articoli. Le lancio, però, una amichevole provocazione. Mi sembra che ancora oggi i vari commentatori di cose leghiste, e non mi riferisco solo a Lei, ma anche a Diamanti, a Lago ed a molti altri, non abbiano preso coscienza di un fatto importante e cioè che il fallimento della Lega Nord era già tutto iscritto nella scarsissima conoscenza del “nemico” meridionale, del Sud, il quale, ben lontano dall’essere un tutto indifferenziato ed omogeneo, come a loro e come alla stragrande parte dei settentrionali, anche non leghisti, sembra, è, in realtà, densa di incredibili contraddizioni. Non Le sembra allora il caso che dell’Altro meridionale se ne parli avendo rispetto per le sue differenze interne, per le sue diverse identità regionali, tra cui, quella dei lucani, i quali si arrabbiano moltissimo quando, anche per il fatto di essere i più piccoli (insieme ai molisani) vengono confusi nell’unico e generico calderone meridionale? Non Le sembra che nei giornali di Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Venezia, Firenze ci vorrebbero anche giornalisti più preparati? Si può scrivere di quasi mezza Italia senza conoscerne minimamente la storia, l’economia, la geografia come i tanti ragazzotti che vengono inviati dai grandi giornali romani e settentrionali fanno periodicamente?
Una delle ragioni del successo e dell’esistenza della Lega all’inizio, e credo anche adesso, è che il problema del Sud è un problema spesso visto male, ma che presenta delle caratteristiche negative che si ripetono nel tempo e che sembrano condannare il Sud inesorabilmente perché ad un certo punto un dice “Va bene, abbiamo fatto degli errori, di rapporti, di conoscenza, eccetera, però ci sono delle cifre che dicono sempre la stessa cosa”. Basta vedere, per esempio, quelli che pagano le tasse, i bolli automobilistici, quelli che prendono i sussidi di invalidità e si scopre che al Sud lo Stato è ancora molto lontano, che c’è una continuità nel ritardo e che è misteriosa, una continuità di cui non si riesce ad individuare il vero motivo. E’ questo il grande problema. Ad un certo punto uno dice: “Con questo Meridione le abbiamo provate tutte, abbiamo provato le politiche dei sussidi”…
Mi scusi se La interrompo, ma con la mia domanda volevo andare a parare proprio qui. Non Le viene ormai il sospetto che il fallimento di tante politiche per il Mezzogiorno sia dovuto, soprattutto, alla genericità dell’oggetto degli interventi? Voglio dire, in altre parole, che non è solo per una questione di rispetto culturale che bisogna distinguere tra calabresi, siciliani, campani, lucani e così via, ma anche per evitare che una approssimativa conoscenza del territorio meridionale continui a produrre guasti nelle politiche di programmazione, politiche calate dall’alto. Se l’evoluzione geoeconomica del Sud è a macchia di leopardo, e sono in molti ormai ad essersene accorti, continuare a parlare genericamente di Sud e continuare ad applicare solo determinate politiche per il Sud, quando anche all’interno di una piccola regione come la Lucania ci sono aree a diversa velocità, non porta che a nuovi sprechi ed a nuovi fallimenti. Non Le sembra, quindi, che anche da questo punto di vista, sia il caso di conoscere meglio il Sud e di smetterla con abusati luoghi comuni?
Sono d’accordo, ma, nel complesso, un settentrionale dice: “Ma quando verrà il momento in cui si decideranno a decollare?”. Il Veneto e la fascia adriatica, Marche comprese, pur con certi difetti, ad un certo punto sono decollate, sono cambiate. Nel Sud, spesso, si cambia solo in peggio. Per esempio, io conosco bene la Sicilia e posso dire senz’altro che Catania, e, in fondo, anche Palermo erano molto meglio quindici anni fa rispetto ad adesso. Addirittura, forse, era meglio anche la Calabria di allora rispetto a quella di oggi.
Proprio “Lucania Finanza” sta estrapolando lì immagine di un Nordest lucano che comprende non solo il polo Fiat di Melfi, ma anche Lavello con le sue produzioni di abbigliamento intimo femminile e per Lavello lo Stato non ha speso praticamente nulla, altri paesi dove si producono vini, generi agroalimentari di qualità, acque minerali, macchine agricole nonché Matera, che non ha solo i Sassi, ma anche uno dei poli produttivi del comparto dei salotti. Torna ancora una volta l’esigenza di segmentare un po’ il territorio meridionale se si vuol capire qualcosa di più. E’ una esigenza scientifica seria.
Io parlo sempre del complesso.
Siccome questa è una intervista sulla Lucania, bisogna dire anche che i lucani sono stanchi di essere chiamati a rispondere sempre per altri e vorrebbero rispondere solo di quel che sono e di quel che fanno come lucani e basta.
Credo che anche i settentrionali si siano stancati di essere chiamati dai francesi o dagli americano a rispondere per gli italiani, ma il dato di fatto è che, solitamente, di un Paese se ne ha una immagine complessiva ed il Meridione, nel complesso, ha una immagine ancora abbastanza deludente. Per tornare alla Lucania, non mi sembra, però, che essa abbi auna cattiva immagine, anzi…
Non vorrei pensare che la Lucania non ha una cattiva immagine solo perché, più semplicemente, forse, non ne ha nessuna. Non c’è persona al Nord e nel resto d’Italia più titolata di Lei a dare questa risposta.
Diciamo, allora, che, forse, non ha una grande visibilità, ma l’immagine che ha è buona.
Uno dei temi che, ultimamente, sta dando a questa regione una certa notorietà nazionale è, senza dubbio, quello del petrolio. La Lucania ha un grande, forse, addirittura, enorme giacimento di petrolio nel suo sottosuolo e non vuol farsi scippare tutta questa ricchezza da Roma, dall’Italia o da chicchessia. I politici regionali hanno cominciato anche ad alzare la voce contro Roma, diciamo meglio, verso lo Stato italiano. Un fatto due volte incredibile. Questo vuol dire che il federalismo potrebbe trovare oggi, in una regione come la Lucania, spazio e cittadinanza solidi. Le chiedo , allora, se la parabola discendente della Lega, parabola che salva il Paese dal rischio di una secessione, non significhi anche la fine del federalismo e Le chiedo anche in quali termini le riforme federalistiche o, se vogliamo definirle autonomistiche, potrebbero essere convenienti per la Lucania e per le altre regioni meridionali. Non solo; anche per il Nord e per l’Italia intera. L’esempio dell’affaire-petrolio in Lucania potrebbe essere illuminante ai fini di questo discorso.
Il petrolio non porterà grandissimi benefici perché quelle petrolifere sono aziende ad altissima concentrazione di tecnologia e che impiegano personale relativamente esiguo. Comunque, è meglio averlo che non averlo. Bisogna, però, che i lucani non facciano sogni campati in aria. Voglio spiegarmi meglio con un esempio che mi è molto vicino. In Lombardia, specificamente a Trecate, è stato scoperto un giacimento di petrolio abbastanza grosso. Ma questo giacimento per le popolazioni locali è come se non ci fosse. Il petrolio certamente fa nascere delle necessità industriali. Le compagnie avranno bisogno di avere una industria collaterale che le aiuti. Per quanto riguarda il federalismo, io sono abbastanza contrario. Il federalismo in Italia non funziona assolutamente. Se per federalismo intendiamo un minimo di autonomia amministrativa delle regioni, allora, va benissimo. Ma la prova delle regioni in Italia, che era una prova federalista, è fallita miseramente. Il federalismo moderno è regionale; è quello dei Lander tedeschi. Credo che all’Italia serva, piuttosto, una riforma della burocrazia che riesca a far funzionare l’amministrazione, il che, poi, col federalismo alla Bossi, ha poco a che fare. L’illusione dei Bossi è che l’amministrazione locale sia sempre migliore di quella centrale. E’ migliore quando quella centrale è cattiva, ma se quella centrale diventa una buona amministrazione può andare benissimo quella centrale. Per esempio, l’autonomia urbanistica dei Comuni italiani è stata deleteria. Ognuno ha costruito alla sua maniera, ha costruito male, non c’è stata politica del territorio, non c’è stata neanche una politica ambientale nel senso che uno avvelena e poi manda il veleno sul terreno degli altri. Quindi, in quel senso lì, una amministrazione centrale ben condotta sarebbe molto migliore del federalismo all’italiana.
Certamente. In buona parte è così, ma qualche aiuto dall’esterno pure ci vorrebbe, altrimenti lo Stato cosa esiste a fare? Ma se lo Stato cercasse, d’ora in poi, solo il modo di disimpegnarsi dal compito dello sviluppo locale, specialmente in certe zone come la Lucania, allora si dovrebbero dare alle Regioni dei poteri veramente forti. Il federalismo può anche non essere perseguito, ma allo sviluppo locale in base ai poteri estesi delle Regioni ci si deve arrivare allora con fatti seri e non con la retorica o con il fumo.
Del petrolio, la Lucania tratterrà una quota sotto forma di royalties. L’importante è che la Regione Basilicata spenda bene quei soldi. (colloquio con Giorgio Bocca a cura di Pino A. Quartana)
MIlano, ottobre 1998