Prima della ‘Potentia’ romana; le nuove scoperte dall’insediamento lucano e preromano nella periferia di Gallitello

Nella primavera del 2008, gli interventi per la realizzazione della nuova viabilità di accesso alla città di Potenza hanno portato alla scoperta dell’area archeologica di contrada Gallitello, alla periferia meridionale della città. Lo scavo di emergenza che ne è seguito ha quindi messo in luce parte di un abitato sorto lungo la sponda sinistra del fiume Basento ed in vita, al più tardi, tra la meta del IV ed il tardo I secolo a.C. Sebbene parzialmente indagato, il sito costituisce, ad oggi, una delle più significative scoperte effettuate nella città di Potenza e, sicuramente, la prima attestazione documentabile di un’occupazione dell’area urbana precedente quella, più nota, di età romana.

Il quadro geografico. Brevi cenni

L’area archeologica di contrada Gallitello si sviluppa a circa 1,3 km a sud-ovest dall’altura occupata dal moderno centro di Potenza (819 m), in uno stretto fondovalle (666 m) generato dalla confluenza dei torrenti Tora e Gallitello nel fiume Basento. Da un punto di vista geomorfologico l’area si estende ai margini meridionali di un comparto territoriale marcatamente delimitato e racchiuso da un sistema di alti rilievi, a sud culminante nelle cime di monte Sellata (1255 m), Rifreddo (1300 m) e monte Grosso (1189 m). A sud-ovest, uno stretto passaggio, coincidente con il letto del torrente Tora, segna a valle il crinale di monte Li Foi (1354 m), che ne costituisce invece il limite occidentale. Una lunga dorsale costituita da monte Montocchio (1161 m), a nord-ovest, La Botte (962 m), Pian del Mattino (890 m) e Costa della Gaveta (931 m), a nord-est, separa questo comparto dal resto del territorio potentino ed in particolare da quello attraversato dai torrenti Rivisco e Tiera, che, affluenti di sinistra del fiume Basento, segnano i limiti orientali e marcano il confine con l’altura di Serra San Bernardo (1090 m), nel comune di Vaglio di Basilicata (Pz). Punto focale del territorio è sicuramente l’altura su cui sorge il moderno centro di Potenza, un pianoro  lungo e stretto (800 x 60-200 m), profondamente segnato sui quattro lati da valloni e fossi; verso sud-ovest una piccola sella lo separa da un secondo pianoro, dalle dimensioni piuttosto ridotte (200 x 120 m circa), oggi occupato dal parco cittadino di Montereale. A valle dell’altura, una serie di torrenti, Gallitello da nord, il Tora da ovest, ed il Rifreddo da sud, si immettono nell’alto corso del fiume Basento.

Potenza;  sintesi delle dinamiche territoriali tra VIII e IV secolo a.C. 

Pochi e frammentari i dati a disposizione per cercare di ricostruire nella diacronia le dinamiche occupazionali del territorio in esame. Prendendo in considerazione l’intero territorio comunale, la presenza di insediamenti di altura, a controllo delle vie di transito, in primis quelle fluviali, e nota già a partire dall’VIII-VII secolo a.C., in particolare nell’area a nord del capoluogo, dove le indagini archeologiche sono state condotte in maniera più sistematica. I siti di Cozzo di Rivisco (860 m), Cugno delle Brecce (921 m) e Barrata (901 m) sembrano infatti allinearsi, ad intervalli regolari di circa 2-3 km, lungo una medesima direttrice che, procedendo lungo il corso del torrente Rivisco e superato il torrente Tiera, prosegue in direzione nord, mentre, verso est, seguendo ancora il corso del Tiera, si ricollega al sito di Serra di Vaglio ed infine al Basento. Meno conosciuta e invece l’area a sud di Potenza, per la quale e al momento nota un’unica area di frequentazione di età arcaica, indiziata dal rinvenimento di frammenti di ceramica sub-geometrica tra Monte Grosso (1189 m) e Serra la Neviera (1219 m), a circa 7 km a sud-est del capoluogo, in un luogo con un ampio controllo visivo sul fiume Basento. Nel corso del IV secolo a.C., i siti presenti nell’area a nord di Potenza mostrano i segni di una continuità insediativa, anche se con modalità ancora tutte da chiarire. Contemporaneamente, un’altra area di frequentazione di V-IV secolo a.C. è infine segnalata in località Pallareta, a circa 5 km a sud-est di Potenza, in un’area non molto distante dai rinvenimenti di età arcaica ricordati in precedenza. Purtroppo, ancora una volta, i dati a disposizione sono insufficienti per tentare di  definire il quadro occupazionale di questo settore – che pure mostra degli elementi assai significativi,in rapporto, per esempio, alla presenza di cinte murarie in luoghi strategici per il controllo dei valichi di montagna, come Rifreddo, Serra la Neviera e monte Li Foi – e la sua eventuale relazione con il resto del territorio ed in particolare con il pianoro potentino.

Potenza tra IV secolo a.C. e l’età romana: i dati archeologici e le fonti antiquarie

Il pianoro di Potenza e archeologicamente poco noto. Per la fase preromana si conosce infatti un unico dato riguardante il rinvenimento di una necropoli di IV secolo a.C. sul versante sud-orientale dell’altura cittadina; la notizia, sebbene di notevole importanza, in quanto indizierebbe la presenza di un coevo insediamento sulla terrazza sommitale del pianoro, non e pero verificabile per l’assenza di documentazione pertinente e per la dispersione del relativo materiale. Le caratteristiche geo-morfologiche del pianoro potentino, particolarmente idonee allo sviluppo di un insediamento antico, rendono tuttavia altamente probabile una sua occupazione stabile precedente quella romana, che, la continuità abitativa, praticamente ininterrotta fino ai giorni nostri, ha evidentemente cancellato o quanto meno resa di difficile lettura.

Non sono ancora chiare le prime fasi della presenza di Roma nel territorio di Potenza. Probabilmente negli anni successivi la guerra annibalica e per non essersi eccessivamente compromesso nello scontro con Roma, al centro preromano di Potenza venne conferito lo status di civitas foederata, mentre nel territorio confiscato venne istituita una praefectura Potentina, forse al più tardi negli anni della riforma graccana. Il passaggio successivo fu la fondazione del municipium di Potentia, la cui datazione, tra l’altro ancora dibattuta, oscilla tra il II secolo a.C. e gli anni che seguirono la guerra sociale.

Tracce dell’originario impianto romano sono ancora oggi visibili nel tessuto urbano del centro storico cittadino, se pure, al momento, non si conservino elementi monumentali, ma solamente notizie di rinvenimenti fortuiti, noti per lo più da fonti antiquarie, e qualche manufatto di reimpiego, in particolare epigrafico. Il resto del territorio comunale doveva essere invece caratterizzato dalla presenza diffusa di fondi e complessi residenziali, di cui la villa di località Malvaccaro e ad oggi l’unico esempio visibile, sebbene il rinvenimento di elementi architettonici, come pure un discreto numero di iscrizioni, permettano di ricostruire un’occupazione piuttosto capillare dell’ager Potentinus. Ma e sicuramente la fascia lungo il fiume Basento quella che nel corso degli anni ha restituito il maggior numero di testimonianze.

Diversamente da quanto era accaduto sul pianoro, infatti, nelle aree a valle, l’assenza di urbanizzazione, esplosa solamente dopo il secondo dopo guerra, aveva evidentemente preservato strutture e rendeva molto frequente il rinvenimento fortuito di manufatti antichi nel corso delle arature dei campi, come confermato dalle fonti antiquarie. La frequenza dei rinvenimenti lungo il Basento ingenero in molti la convinzione che la città romana di Potentia fosse sorta sulle sue sponde ed in particolare in località Murate, toponimo non a caso collegato alla presenza di numerose ‘mura rovinate’; lo stesso Michele Lacava, sicuramente tra le voci più autorevoli dell’archeologia lucana della fine del XIX secolo, sosteneva che la città si presentasse come un rettangolo lungo e stretto, ‘i cui lati maggiori sarebbero stati il Basento […] e la rotabile o ferrata; ed i lati minori il Gallitello ad occidente, e ad oriente il ponte S. Vito, o Betlemme.

L’area archeologica di Contrada Gallitello. Le premesse della scoperta 

Dalla lettura delle fonti antiquarie e documentarie e abbastanza chiaro come il sito archeologico di contrada Gallitello si sviluppi in un’area già nota, almeno fino all’inizio del secolo scorso, per una serie di rinvenimenti casuali effettuati nel corso degli anni – non a caso l’area rientrava all’interno di contrada Murate e si trovava appena fuori dai limiti della città romana tracciati dal Lacava –, rinvenimento testimoniati anche dal toponimo ‘Isca degli Antichi’, con il quale l’area viene indicata, tra XVI e XIX secolo, in alcuni documenti catastali e contabili. In particolare, esattamente alla confluenza del Tora nel Basento, sono segnalate sepolture e resti di strutture, che potrebbero anche riferirsi all’abitato del Gallitello, forse, in passato, almeno in parte visibile. La storia recente e invece priva di ogni tipo di segnalazione, sebbene quest’area sia stata intensamente urbanizzata. L’area archeologica, infatti, occupa una piccola fascia lungo il Basento risparmiata dalla cementificazione, delimitata a nord da un terrapieno a sostegno della viabilità moderna (Viale del Basento) e della linea ferroviaria e a sud da un muro d’argine in cemento armato, costruito, nel corso degli anni ’60, direttamente sulle strutture del settore meridionale dell’abitato, distruggendole in parte.

Il sito del Gallitello: una preliminare ipotesi ricostruttiva del contesto

Il primo impianto

L’interferenza con le infrastrutture moderne rende purtroppo impossibile definire al momento la reale estensione e lo sviluppo planimetrico del sito del Gallitello, di cui sono stati portati alla luce circa 500 mq. I dati a disposizione hanno inoltre permesso di individuare almeno quattro principali periodi di vita del contesto a coprire un arco cronologico dalla meta del IV al tardo I secolo a.C. 29.

Al più tardi intorno alla meta del IV secolo a.C. nell’area si impiantano almeno tre unità abitative a pianta rettangolare con orientamento nord-ovest/ sud-est. In parte realizzate direttamente su livelli alluvionali, di cui assecondano la naturale conformazione, le strutture, prive di fondazione, presentano un alzato interamente litico ed una malta di terra come legante. Per uno soltanto dei tre edifici individuati e stato pero possibile ricostruire, se pure parzialmente, le dinamiche d’utilizzo. Si tratta del grande Edificio I (27,60 x 12,50 m), che occupa una superficie di 330 mq circa relativamente alla sola parte scavata ed e allo stato attuale delle indagini l’edificio sicuramente più imponente dell’area 3. Composto da almeno nove ambienti, all’edificio si accedeva verosimilmente da un ingresso ubicato in corrispondenza di ambiente 2 (3,75 . 3,90 m); il vano, che si affaccia a sud su di un’area scoperta tra l’edificio in questione ed il contiguo Edificio II, potrebbe aver funzionato come cortile di disimpegno, da cui era possibile accedere alla zona di rappresentanza della casa ed in particolare ad ambiente 1, le cui dimensioni (5 x 6 per la parte scavata), come pure il rinvenimento, sul piano pavimentale, di un discreto numero di frammenti pertinenti a ceramiche da banchetto e da mensa, suggeriscono lo svolgimento di pratiche di pasti comuni. A sostegno di tale identificazione potrebbe essere inoltre la presenza di un piccolo vano ad esso contiguo, l’ambiente 4 (3  x 2,5 m), forse la camera da letto maschile (domation), che frequentemente, sia nelle case greche, che in quelle indigene, accompagnava l’andron. Un secondo cortile, questa volta interno, era in corrispondenza dell’ambiente ; si tratta di un ambiente scoperto o forse dotato di una copertura in materiale deperibile, dal momento che nel vano non sono stati recuperati livelli di crollo pertinenti alla copertura del tetto. Il cortile funzionava forse come vano deposito per attrezzi e animali o forse anche adibito a cucina, come sembrerebbe suggerire la presenza di una sorta di vano cottura, definito da due setti murari tra loro ortogonali, che separano fisicamente quest’area dal resto del cortile. Il cortile interno, era dunque un elemento di passaggio e al tempo stesso di divisione tra l’area di rappresentanza della casa, qui localizzata nel settore occidentale dell’edificio, e quella adibita alle attività domestiche a cui era riservato il settore opposto e che dava accesso agli ambienti produttivi della casa. Un ulteriore ambiente di servizio, probabilmente un deposito, e infatti localizzabile all’interno del vano più orientale della casa, ambiente 7, che ha restituito le tracce carbonizzate di una struttura lignea, un armadio o più probabilmente una mensola addossata alla parete settentrionale del vano, in cui erano riposte le suppellettili ceramiche della casa, recuperate frammentarie sul piano pavimentale. Questo primo periodo di vita dell’abitato, non sembra spingersi oltre la meta del III secolo a.C., quando una serie eventi alluvionali si abbattono nell’area.

La seconda fase ed il declino del sito

Verso la fine del III- inizio II secolo a.C., si registra un’intensa attività di ricostruzione. Le strutture preesistenti vengono sfruttate e riadattate, ma mai stravolte nell’orientamento originario. I muri, realizzati con una tecnica più accurata, sono ora legati da malta. I nuovi piani di vita, anche in questa fase in terra battuta, si impostano direttamente sui livelli alluvionali che hanno sigillato le fasi precedenti. In questo momento vengono inoltre creati almeno due passaggi paralleli orientati nord-ovest/sud-est (ambitus 1 e 2, rispettivamente 1,60 e 1,10 m circa), elementi di divisione e di collegamento tra le singole unita abitative. L’Edificio I, le cui dimensioni hanno sicuramente contribuito a connotarlo, ancora in questa fase, come struttura emergente all’interno del contesto abitativo, vive in questo momento in continuità con la fase precedente. Un piccolo portico, od una sorta di vestibolo, viene costruito davanti all’ambiente 2, creando un maggiore isolamento e distacco della casa rispetto all’area scoperta antistante e al tempo stesso ampliando la superficie abitativa del vano.

L’ambiente 5 continua, anche in questa fase, a funzionare come cortile interno con annesso angolo cucina, di cui resta traccia in un focolare circolare, circondato da un cordolo di argilla compattata e forse coperto da una piccola tettoia. Nel contiguo ambiente 6 viene ora realizzato un tramezzo murario per l’alloggiamento di un telaio verticale, di cui sono stati rinvenuti sessanta pesi in crollo accatastati nell’angolo nord-occidentale dello stesso. L’ambiente serviva probabilmente anche per conservare le suppellettili ceramiche, rinvenute numerose sul piano pavimentale, come pure le provviste della casa; inoltre, il rinvenimento presso il suo settore meridionale di un grande louterion e di due anfore, verosimilmente funzionali alla raccolta dell’acqua per la pulizia personale, lascia intendere che tale settore fosse adibito a bagno, strategicamente collocato in un ambiente adiacente la cucina, per sfruttare in pieno il calore proveniente dal focolare. Ambiente 6 si delinea quindi come una stanza piuttosto composita, con uno spazio riservato alle abluzioni, localizzabile nel suo settore meridionale, ed un ampio soggiorno, con annesso angolo per la tessitura, adibito allo svolgimento delle attività femminili, in quello opposto.

Ad ovest di Edificio I, e separato da ambitus 1, Edificio II e in questa fase completamente ricostruito, nel rispetto dell’orientamento precedente, ma utilizzando una maggiore cura nell’allettamento dei blocchi, legati ora da malta 39. Si tratta di un edificio, probabilmente di grandi dimensioni (12,30 m di larghezza) dal momento che la sola parte scavata occupa una superficie di 120 mq. circa, articolato in almeno cinque ambienti. Il cuore della casa sembrerebbe costituito da un corridoio centrale, una sorta di pastas, anche se per la verità piuttosto stretta (1,25 m) 40, che, dividendo esattamente a meta l’edificio, consentiva l’accesso agli ambienti aperti alla sua destra 41; tra questi, l’unico di cui si sia conservata la planimetria completa e ambiente 15, un vano quadrangolare (4 x 5 m) aperto sul corridoio con un ingresso posizionato nell’angolo nord-occidentale dello stesso. Il rinvenimento, al di sopra del piano pavimentale, di numerosi frammenti ceramici pertinenti a classi e forme diverse, tra cui grandi contenitori, sembrerebbe indicare per tale vano una destinazione di magazzino-deposito, sia per le suppellettili domestiche che per le derrate alimentari; al suo interno, e a protezione del luogo in cui si custodiva la ricchezza della famiglia, doveva trovarsi anche un piccolo sacrario domestico, testimoniato da una statuetta femminile stante e da un thymiaterion recuperato negli strati di interro successivi, rinvenuti presso l’angolo nord-orientale del vano. Il vicino ambiente 11, dove però non è stato possibile portare a termine l’indagine stratigrafica, potrebbe invece aver funzionato, date anche le dimensioni, come cortile interno.

Un secondo passaggio, ambitus 2, separa il terzo ed ultimo edificio individuato nell’area, Edificio III. Purtroppo lo stato di conservazione di quest’ultimo, di cui si intravedono solamente due ambienti, non permette di avanzare alcuna ipotesi circa il suo sviluppo planimetrico, sebbene sia possibile notare, nella tecnica costruttiva come nell’impianto, affinità con il contiguo Edificio II, del quale, forse, condivideva quanto meno le dimensioni.

La planimetria generale del sito in questo secondo periodo di vita mostra dunque una certa regolarità nell’organizzazione dell’impianto basato sul piede osco di 27,5 cm 45. Sebbene il campione di indagine sia piuttosto limitato, allo stato attuale e comunque possibile ipotizzare per il Gallitello un impianto a meta strada tra uno perfettamente ortogonale, come nel sito di Pomarico Vecchio per esempio, e quello ricostruito per Civita di Tricarico, dove le abitazioni si accostano invece l’une alle altre, separate da stretti ambitus spesso terminanti in vicoli ciechi. Le ragioni di questa scelta nel sito potentino potrebbero dipendere forse da condizionamenti morfologici dell’area, sicuramente assai problematici in rapporto alla vicinanza ai tre corsi d’acqua.

A partire dalla fine del II secolo a.C. tutta l’area è interessata da una serie di crolli, forse dovuti ad un terremoto, che ha comportato l’abbandono repentino dell’area ed impedito il recupero della suppellettile, anche quella di pregio, all’interno dei singoli ambienti. Solo pochi settori dell’abitato mostrano successive ristrutturazioni, mentre il resto dell’area risulta abbandonato. Nell’Edificio II, in particolare, le trasformazioni planimetriche, tra cui la scomparsa del corridoio, si accompagnano ad una riconversione artigianale del settore, come sembrerebbero suggerire le numerose scorie di ferro e una grande concentrazione di argilla e carbone, che potrebbero rimandare alla presenza di una fornace o di un’area produttiva. Nuovi crolli e limitate attività  di ricostruzione, che interessano per lo più Edificio II, caratterizzano la vita del sito fino alla fine del I secolo a.C., quando l’area sarà definitivamente abbandonata e progressivamente coperta da una serie di depositi alluvionali.

Conclusioni. tra domande irrisolte e spunti per una riflessione futura

L’area archeologica del Gallitello, come abbiamo visto, costituisce l’unica attestazione certa di un’occupazione preromana dell’area urbana di Potenza e pone quindi degli interrogativi importanti sulla sua natura e sul suo rapporto con l’abitato, al momento solo ipotizzabile, che doveva occupare il pianoro sommitale.

Prima di tutto bisogna tener conto che il quadro offerto dal sito del Gallitello, se pure estremamente frammentario e lacunoso, restituisce l’immagine di un nucleo abitativo, certamente più esteso, organizzato e pianificato, con stradine parallele che definiscono isolati grossomodo regolari, e che quindi, diversamente da un’aggregazione spontanea di edifici, presuppone l’esistenza di un centro politico in grado di attuare questo sistema di ‘lottizzazione’ degli spazi comuni. La prima domanda e dunque se il sito del Gallitello possa considerarsi autonomo e indipendente da quello sull’altura potentina o ad esso in qualche modo collegato.

Per rispondere a questa domanda bisogna tentare di ricostruire le dinamiche occupazionali di Potenza nel corso del IV secolo a.C., ricostruzione resa assai difficile in un quadro di quasi totale assenza di documentazione archeologica pertinente.

Un’occupazione stabile del pianoro precedente quella romana e, come abbiamo visto, solamente ipotizzabile se pure verosimile; probabilmente un nucleo abitativo si e sviluppato in corrispondenza del settore più orientale dello stesso pianoro, come sembrerebbe suggerire il rinvenimento di sepolture ‘lucane’ su di una terrazza lungo il versante sud-orientale dell’altura, sebbene tale dato, come abbiamo detto, non sia purtroppo confortato da prove sicure. Coerentemente con quanto si verifica in altri contesti meglio noti, quali Roccagloriosa e Civita di Tricarico, per esempio, dove sono attestati più nuclei abitativi, rispettivamente esterni ed interni alle mura, e probabile che anche a Potenza l’insediamento fosse costituito da più ‘quartieri’ separati da ampi spazi non edificati. La particolare conformazione del pianoro di Potenza, stretto e lungo e segnato sui quattro lati da valloni e fossi, deve aver però offerto poche altre opportunità all’impianto di aree abitative; queste si sono forse distribuite lungo il pianoro o nelle aree pianeggianti ai piedi dello stesso, dove la disponibilità di acqua avrà consentito lo sviluppo di attività agricole e produttive, lasciando forse al pascolo le zone più ripide lungo i pendii dell’altura. Questo schema sembrerebbe adattarsi perfettamente all’area archeologica del Gallitello, ubicata a valle del pianoro potentino ed in prossimità di tre corsi d’acqua, e dunque portare alla conclusione che tutta l’area avesse avuto anche uno specifico ruolo artigianale e produttivo, da collegarsi al centro di altura, e che il Basento avesse funzionato come limite naturale allo sviluppo dell’abitato.

Bisogna tuttavia tener conto di una serie di elementi che impongono quanto meno un’ulteriore riflessione. Il percorso più rapido per raggiungere il pianoro potentino dall’area del Gallitello non doveva essere stato in passato molto diverso da quello attuale, ovvero un percorso lungo circa 1,3 km, che, attraversato un ponte sul torrente omonimo prossimo all’area archeologica, risaliva in maniera diretta sulla collina di Potenza. Si tratta di un collegamento non certo immediato e di facile percorribilità– nel tratto più a monte la pendenza sfiora il 15% – e che deve tener conto anche del passaggio sul torrente Gallitello, in inverno capace di una notevole portata d’acqua. E quindi legittimo chiedersi se questo torrente possa aver costituito piuttosto un limite tra i due centri, da considerarsi allora come due poli indipendenti, dalle caratteristiche assai diverse. Se per l’insediamento sul pianoro siamo infatti in presenza di un centro di altura, naturalmente difeso e verosimilmente fortificato, il sito del Gallitello al contrario e un sito di pianura, sorto in un punto vulnerabile, a rischio alluvione e facile ad impaludamenti, ma al tempo stesso particolarmente felice dal punto di vista dell’accesso all’acqua e soprattutto al Basento.

E chiaro che, allo stato attuale delle indagini, non è purtroppo ancora possibile stabilire la natura dell’area archeologica del Gallitello e dei suoi eventuali rapporti con il pianoro potentino. E’ comunque certo che la vicinanza con il fiume abbia giocato un ruolo fondamentale nella scelta del sito, la cui ubicazione, del resto, risulta essere strategica anche in rapporto alle vie di comunicazioni, trovandosi di fatto al centro di un’importante crocevia di oggi come del passato. La più antica, e principale via di comunicazione tra le aree interne della Basilicata e la costa ionica, era sicuramente quella costituita dal fiume Basento, ma l’area era anche attraversata da una serie di strade, che, in uso in età romana, dovevano ricalcare percorsi più antichi. Da nord, percorrendo la valle del Gallitello e verosimilmente attraversando il ponte sull’omonimo torrente presso l’area archeologica, giungeva in età imperiale la via Herculia, che proseguiva poi verso la Val d’Agri; procedendo verso ovest, invece, era il tracciato che raggiungeva l’area di Torre di Satriano, da dove, tramite fiumare e l’asse costituito dai fiumi Platano-Tanagro-Sele, proseguiva verso il Vallo di Diano e di qui verso la costa tirrenica. L’area archeologica del Gallitello doveva quindi trovarsi al centro fra due vie di comunicazione, una fluviale e l’altra terrestre, quest’ultima verosimilmente a nord del sito, punto verso il quale sembrano convergere gli ambitus rinvenuti, e che in parte e ricalcata dalla moderna viabilità di accesso alla città di Potenza.

L’ubicazione del sito, al centro di uno snodo viario, può dunque spiegare l’interesse mostrato verso di questo e le varie ricostruzioni seguite alle frequenti inondazioni che si sono abbattute nell’area.

A partire dalla fine del III-inizio II secolo a.C., infatti, non solo si assiste ad una ricostruzione del sito parzialmente distrutto da eventi alluvionali, ma diventa anche archeologicamente evidente un maggiore impegno costruttivo. Questa vitalità del contesto si verifica in un momento in cui il modello insediativo preesistente sta al contrario radicalmente trasformandosi, con la scomparsa o il ridimensionamento di molti centri da collegarsi alla presenza di Roma sul territorio, ora in buona parte confiscato e trasformato in ager publicus.

Il caso del Gallitello potrebbe invece riflettere i benefici conseguenti l’assunzione, da parte del centro preromano di Potenza, dello status di civica foederata probabilmente negli anni successivi la guerra annibalica, benefici che evidentemente devono aver interessato non soltanto il centro sul pianoro. A partire dall’inizio del I secolo a.C., però, il sito del Gallitello mostra i segni di un progressivo abbandono e di una riconversione artigianale dell’area. Al momento non e chiaro se questo dato possa eventualmente collegarsi alla fondazione del municipium di Potentia, la cui datazione, come abbiamo visto, oscilla tra il II secolo a.C. e gli anni successivi la guerra sociale. Suggestivo sarebbe comunque leggere nel declino del Gallitello, sicuramente innescato da eventi naturali, la perdita di interesse verso il sito, da collegare forse ad una riorganizzazione dello spazio abitato, ora verosimilmente concentrato sul pianoro principale; in altre parole, il dato del Gallitello potrebbe rimandare alla nascita del nuovo polo urbano di Potentia, forse al più tardi alla fine del II- inizio I secolo a.C.

L’area viene infine abbandonata nel tardo I secolo a.C. La sua fine coincide, forse non a caso, con la scomparsa di quei centri, come Civita di Tricarico e Roccagloriosa, che pure erano sopravvissuti alla conquista di Roma. Possiamo quindi immaginare che il processo di assimilazione tra la componente osca e quella romana abbia portato al definitivo declino del modello insediativo preesistente, sostituito ora dall’accentramento delle città romane come Potentia.

Concludendo, la scoperta del sito del Gallitello rappresenta la prova archeologica, e al momento anche l’unica, dell’esistenza di un centro preromano nell’area di Potenza. Essa colma dunque quell’apparente vuoto nella documentazione, che aveva portato Mario Napoli, in occasione del primo Convegno di Studi sulla Magna Grecia, a definire Serra di Vaglio la ‘Potentia Lucana’, definizione questa ancora oggi in buona parte accettata. La scoperta del Gallitello pone però anche degli interrogativi importanti, non ancora risolti, sul rapporto con l’altro centro preromano, quello che verosimilmente doveva occupare il pianoro cittadino, e sulla natura stessa del Gallitello e del suo legame con il Basento. La sua scoperta mostra comunque l’esistenza di una nuova forma insediativa, per certi versi ‘sconosciuta’ nel resto della Lucania di Strabone; un altro modo di abitare il paesaggio nel IV secolo a.C. non soltanto attraverso i centri di altura; un’alternativa di tipo ‘fluviale’, che resta ancora tutta da scoprire in Lucania.

ANNARITA DI NOIA

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