UN TESORO INVISIBILE?

Ai primi di marzo 2006 (4/3/2006) il professor Pietro Marino, critico d’arte del quotidiano ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’ scrisse un articolo per il suo giornale in cui parlava della inaugurazione di un piccolo Museo privato nato per iniziativa dell’artista potentino Nino Tricarico, il quale che metteva a disposizione la sua collezione. La cerimonia di inaugurazione si era tenuta il 22 febbraio del 2006. “Un evento singolare – scrisse Marino – almeno per il Sud, è stato celebrato la scorsa settimana a Potenza: l’apertura di un piccolo ma vero museo privato di arte contemporanea. ‘Privato’ nel senso che esso nasce per iniziativa della associazione ‘Il Museo e la Città’, fondata da Nino Tricarico, il noto artista che a Potenza vive e opera, con una esperienza che da molti anni è volta a linguaggi non consueti nell’ambito lucano, di segno non figurativo, con apertura anche ad installazioni povere “. L’arte a Potenza si fa museo. Potenza dell’arte? Forse, ma vediamo come si è svolta lungo questi tredici anni la vita del Museo d’Arte Figurativa Contemporanea di Potenza, sito in Via della Chimica.           

L’area espositiva del Museo occupa 600 mq. ed ospita 180 artisti ospitati, 414 opere complessive, 182 dipinti, 115 disegni, acquerelli, ecc, 26 sculture e 91 opere grafiche.

La nascita del Museo e la Città si deve alla Associazione Culturale omonima dopo che quest’ultima ha acquisito la collezione Tricarico, che si è andata costituendo lungo ”… una quarantina d’anni circa, non in base ad un progetto organico di raccolta – per tema, per autori, per determinati periodi storici, per tendenze, per generi, per tecniche ecc… – ma come un palinsesto legato alla vita di artista di Nino Tricarico. E’ nata da incontri, dialoghi, simpatie, amicizie, affinità elettive, occasioni di scambio, condotti in circostanze varie, sulla base di scelte dettate non solo dal gusto personale ma da curiosità o interessi culturali del momento. Una storia, questa, che presenta notevoli affinità con le raccolte che si sono andate formando per opera di artisti e che sono andate a finire nei musei privati di importanza variabile, per esempio il Museo Guttuso a Bagheria, la Fondazione Pomodoro a Milano” (Pietro Marino).

Tra i nomi ospitati nel museo figurano artisti che hanno fondato la figurazione italiana nella prima metà del 1900, più precisamente negli anni Trenta. Si tratta di opere di Giacomo Manzù, Enrico Baj, Emilio Greco, Mario Tozzi, Giuseppe Migneco, Aligi Sassu, Bruno Cassinari, Salvatore Fiume, Renato Guttuso, Michele Giocoli, Mino Maccari, Ernesto Treccani, Franco Gentilini, Emilio Tadini, Toni Zancanaro, Giuseppe Zigaina,  ecc;

Un’altra parte del Museo è dedicata agli Artisti della ‘Nuova figurazione’: Bruno Caruso, Ennio Calabria, Alberto Gianquinto, Vittorio Basaglia, Remo Brindisi, Mario Carotenuto, Luigi Guerricchio, Concetto Pozzati, Gerardo Cosenza, Gerardo Di Fiore, Giuseppe Guerreschi, Nicola Filazzola, Mauro Masi, Franco Mulas, Francesco Ranaldi, Gianni Dova, Omar Galliani, Angelo Casciello, Valerio Trubbiani, Ugo Guidi, Mario Schifani, ecc…

Artisti dell’area aniconica (la più estesa e articolata: Dall’astrattismo lirico all’espressionismo astratto al naturalismo astratto contribuiscono alla terza sezione del museo potentino. In essa sono raccolte opere di Carla Accardi, Natale Addamiano, Magda Asteri, Giovanni Cafarelli, Giuseppe Capogrossi, Tommaso Cascella, Carlo Catuogno, Isabella Ciaffi, Carmine Di Ruggero, Teo De Palma, Giuseppe Ferrari, Gianni Dova, Bruno Donzelli, Enzo Esposito, Aldo Lacapra, Riccardo Licata, Salvatore Lovaglio, Luigi Mainolfi, Pompilio Mandelli, Fausto Melotti, Franco Mulas, Nino Mustica, Natale Rocco, Enrico Ruotolo, Emilio Scanavino, Sergio Spataro, Ernesto Terlizzi, Nino Tricarico, Valentino Vago, ecc…;

Non mancano artisti stranieri di grande prestigio come Guillelm Beverloo Corneille, Henry Goetz, Antonietta Mafai Rafael, Joan Mirò, Pablo Picasso, Eduard Pignon, José Ortega, Hans Hartung, Ciau Cin, Kubota, ecc…;

L’inaugurazione del Museo è stata preceduta da un corso di formazione: Archivisti di Immagine di Arte Figurativa: Pittura e Scultura i cui partecipanti hanno curato l’allestimento delle mostre, l’impaginazione e il progetto grafico del catalogo, le note biografiche e le schede di catalogazione.

La schedatura e la catalogazione di tutte le opere del Museo sono state fatte secondo la normativa italiana ed europea OA (Opere Arte), con mezzo informatico; la loro consultazione è possibile, nella sede dell’Associazione Culturale Il Museo e la Città, di Via della Chimica 115, Potenza, nelle ore di apertura del museo. L’archivio è dotato, altresì, di una  cospicua documentazione di artisti italiani che vivono e che hanno vissuto in Basilicata.

Restituisco la parola al prof. Marino: “Da questa articolata ma comune radice si può diramare una prima conclusione operativa: è bene che il museo conservi e rispetti – e in qualche modo addirittura valorizzi,  l’anima che lo ha ispirato, il soffio vitale da cui è nato. La circostanza che il museo si vada costituendo all’interno del palazzo che ospita lo studio di Tricarico, anzi meglio che esso vi sia inglobato al suo interno, costituisce non un intralcio o un limite, ma proprio una opportunità da esaltare con appropriate iniziative, tali da offrire la proposta stimolante di un museo- laboratorio.   

La dinamica di costituzione della raccolta Tricarico comporta peraltro un’altra conseguenza: non è possibile immaginare il museo che dalle sue opere si va costituendo, come una esposizione articolata con la pretesa di essere una antologia sistematica della storia dell’arte  del Novecento italiano”.

Il critico e storico d’arte sottolinea anche una importante caratteristica strutturale del Museo d’Arte Figurativa.

“ Si tratta di opere eseguite e datate quasi tutte nel tempo che va dagli anni Settanta ai Novanta del secolo appena trascorso. Sono state dunque acquisite, si può dire, in tempo reale, in sostanziale sincronia con le fasi di vita professionale di Nino Tricarico. Esse peraltro attengono anche al campo di esperienza tecnica propria dell’artista, e cioè la pittura. Sotto questa voce possiamo comprendere tutte le correlate tecniche tradizionali della manualità: la scultura (rappresentata da pochi esempi) e soprattutto la grafica – in originale o moltiplicata – che ha nella collezione un ruolo importante, se non addirittura preminente per numero di pezzi. Sono dunque escluse dalla collezione – almeno per ora – opere che attengono all’ordine della oggettualità (readymade, object trouvé, installazione, assemblage, environment ecc.) sia alle neotecniche della riproducibilità (fotografia, video ecc.). L’osservazione aiuta a restringere ulteriormente, e comunque a definire, l’area di esperienza storica che la collezione è in grado di offrire, e orienta dunque anche l’identità costituente del museo”.

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Adesso cercherò di trarre un senso, anche sociale e comunitario, dalla interessante esperienza del Museo d’Arte Figurativa Contemporanea di Potenza. Semplificare non è certo un escamotage vincente se si vuol cogliere il senso di qualcosa. Usarlo come strumento descrittivo, proiettato ad orientare la sostanza del discorso, può però efficacemente servire, lasciando intatta la complessità della materia trattata, anzi, riuscendo meglio a coglierla nella sua essenza. In virtù di tale premessa, potrei provare a tracciare una linea discriminante fra le città con la fortuna di avere una storia riconosciuta, con diverse testimonianze artistiche, architettoniche, politiche e, in generale, culturali in senso vasto e città, che, almeno apparentemente, ricadrebbero nell’anonimato, se non addirittura nell’oblio delle cognizioni storico-geografiche della collettività.

Potenza, in questo dualismo, certamente occupa, almeno nell’immaginario collettivo, un posto nella seconda categoria, con l’aggravante che i suoi stessi cittadini spesso sono i primi protagonisti del misconoscimento dei valori storico-culturali presenti nella propria città, con, addirittura, fenomeni di occultamento informativo nei rari casi in cui vi sia consapevolezza di disporre nella propria città di opere d’arte di grande pregnanza storico-valoriale.

L’ idea che avanzo in questa sede è quella di una mancanza d’interesse generale della cittadinanza verso la storia della propria città. Tale mancanza di interesse si è autoalimentata nel tempo e trova come causa originaria una scelta strategico-politica del ceto politico dominante, che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ha voluto relegare Potenza nel ruolo di centro amministrativo senza ulteriori qualificazioni. Nei progetti del ceto politico dominante potentino e lucano del secondo dopoguerra, Potenza era una città che doveva riconfigurarsi unicamente, esclusivamente, solamente come luogo di confluenza del resto della provincia e della regione, doveva essere soltanto il luogo in cui doveva crearsi una borghesia del terziario pubblico. Questa penalizzante limitazione imposta, non si sa veramente perché e con quale legittimazione, in funzione di una totale riconversione cittadina, ha azzerato la memoria storica e dato un nuovo corso di sviluppo al capoluogo regionale. Così, nel susseguirsi dei decenni, la memoria (salvo che in casi sporadici) si è affievolita o, forse, addirittura, è completamente scomparsa, mentre sullo sfondo si delineava un contesto urbano sempre più caratterizzato da cittadini con memorie ed identità storico-familiari slegate da Potenza. In modo particolare, si è sempre più incredibilmente radicata, nell’immaginario collettivo potentino e lucano, l’idea di una città senza storia, senza cultura, senza arte, e sempre più esteticamente deprecabile, grazie anche al concorso degli amministrazioni della città, che, di certo, fra piani urbanistici scellerati e scarsa importanza data ad iniziative che incentivassero nella collettività il desiderio di scoprire il bello che offriva la propria città, hanno alimentato questa idea di trovarsi in una città povera o del tutto priva di valori storico-culturali.

L’ennesima e grave testimonianza di ciò, ce la offre il caso del Museo dell’associazione culturale IL MUSEO E LA CITTA’, presieduto dal pittore e scultore di respiro nazionale ed internazionale  Nino Tricarico, potentino, situato ad un passo dal parco fluviale del Lungo Basento, in via della Chimica.

​Per quanto meritevole e sicuramente di alto valore civico e culturale, l’iniziativa si regge sull’autofinanziamento dell’associazione, nella pressoché totale noncuranza delle amministrazioni ma soprattutto della cittadinanza, che, a tredici anni dalla sua fondazione ne ignora, con tutta probabilità, finanche l’esistenza. C’è qualcosa che non va e non solo per quanto riguarda il Museo d’Arte Figurativa Contemporanea, ma per quasi qualsiasi cosa che in campo culturale riguarda Potenza. Quel qualcosa che non va si chiama mancata informazione, ma anche menefreghismo sulle sorti della città e sulla percezione della sua immagine all’esterno (ma anche all’interno). Non si conoscer la mera esistenza di diverse cose, non se ne conosce il valore, la storia ed il significato, non si fa nulla per lo sfruttamento turistico ed altre cose ancora. Le colpe, comunque, non sono solo dei cittadini, ma un po’ di tutti. La vicenda del Museo di Nino Tricarico, così come tante altre vicende della cultura potentina, è solo l’ennesimo segno dell’assuefazione potentina al credere vuota di valori ed iniziative culturali la città. Una credenza che, come nelle peggiori spirali delle profezie che si autoavverano, porta la cittadinanza ad un inerziale ristagno mentale. Ecco spiegato come vengono sterilizzate le eventuali energie creative e come non si permette alla città di svoltare definitivamente in direzione di un nuovo corso. Dunque, per tornare al titolo, la risposta sarebbe positiva: l’ennesimo tesoro in casa che non viene considerato o di cui, addirittura, si ignora perfino l’esistenza.

 

GIUSEPPE ONORATI

Nella foto; una sala del Museo di Arte Figurativa di Potenza

 

 

 

 

 

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