E’ da tempo che periodicamente mi assale una curiosità, cioè quella di capire cosa si debba intendere esattamente per ‘città di cultura’. Ogni tanto comincio una ricerca su Google, ma poi per incombenze più urgenti lascio perdere. Questa volta ho deciso invece di fissare questo compito e di non proseguire in altre faccende senza aver prima sciolto questo nodo. Qualche mese fa ricordo molto bene di aver trovato dei link che mi stavano mettendo sulla giusta pista, ma ora stranamente non riesco più a ritrovarli cliccando in Google ‘definizione di città di cultura’. Tutto ciò è molto strano. Capisco che gli algoritmi del principale motore di ricerca vengano modificati di continuo ma non trovare più i link che solo pochi mesi fa trovavo mi sembra strano ed ancor più strano è che se inserisco la parola-chiave ‘definizione di città di cultura’ escano fuori solo risultati relativi a, pensate, pensate un po’, definizione di ‘Capitale Europea della Cultura’. Città di cultura e Città Europea della cultura sono quindi la stessa cosa? Si tratta dello stesso concetto? Non c’è neanche da stare a pensarci su; non è possibile. Non sono affatto la stessa cosa ed allora come mai non riesco più a trovare link che mi diano una definizione abbastanza precisa di cosa sia una città di cultura, in generale?
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Avere delle spiccate curiosità culturali è una cosa che comporta anche aspetti scomodi. Molti aspetti scomodi, fra cui quello che la curiosità intellettuale possa diventare talmente prorompente che si smette di occuparsi di altro fino a quando la sete di conoscenza non sia stata placata. Io cado spesso in questi stati di impazienza intellettuale (d’altronde, senza tali stati la cultura e la ricerca non farebbero mai progressi) ed ho così deciso questa volta di andare a fondo della questione. Il fatto che siano spariti tutti i link relativi alla definizione che sto cercando mi desta inquietudine. Mi sembra il segno oscuro che qualcosa di profondo e di devastante stia per accadere nella cultura europeo-occidentale o che forse è già accaduta. Un mutamento devastante dei paradigmi culturali classici, di quelli che hanno affermato la cultura europea in tutto il mondo come la cultura predominante (se qualcuno già storce il naso politically correct davanti a tale affermazione sappia pure che me ne infischio altamente del suo turbamento p.c.). Tra l’altro, tutti potevano, più o meno, definire fino a tempi non lontanissimi una città di cultura, mentre il concetto di Capitale o Città Europea della Cultura è recentissimo. Però, sembra che dopo il concetto di CEC non sia più possibile capire una cosa basilare che viene ben prima; cosa sia una città di cultura o avere una definizione minimamente scientifica del concetto di ‘città di cultura’. A questo punto o abbandono il compito oppure vado a scandagliare al fondo del concetto di Capitale Europea della Cultura, se non altro per capire, per contrasto, perché non si possa più rintracciare, almeno sui motori di ricerca, il classico concetto di ‘città di cultura’. Ed allora, quasi costretto a modificare l’itinerario, riparto dal concetto di ‘Capitale Europea della Cultura’ o di ‘Capitale Italiana della Cultura’.
Tappa di partenza è il sito della Unione Europea da cui si evince chiaramente quanto segue. Al titolo di Capitale Europea o italiana di cultura si può arrivare solo tramite dei progetti, cioè solo per mezzo di intenzionalità future e non sulla base di ciò che è stato il passato. Riporto i passaggi principali del sito ufficiale della Unione Europea:
“La definizione di obbiettivi più precisi passa per la messa a fuoco del perché e del cuore del progetto, che certo non nasce (solo) per lo sviluppo della offerta culturale e della attrattività turistica, peraltro rilevanti e da perseguire”. Prima chiosa. Non ci si propone o non si diventa Capitale Europea (o italiana) della Cultura per l’offerta culturale della città o per le potenzialità turistiche. Ma anche… Il ma anche non è esattamente ciò che viene richiesto da un criterio scientifico, ma abbozzo, facendo finta di nulla e passo al secondo paragrafo:
“Se queste sono le ragioni, l’obbiettivo strategico del progetto e la misura della sua riuscita si giocano in particolare su tre elementi: l’aumento della domanda aggregata, lo sviluppo della offerta (aumento della imprenditorialità del sistema: jobs creation, politiche industriali, coordinamento, v. biglietto unico, comunicazione, ecc.), l’inclusione e il superamento del cultural divide”. Chiaro? Certo. Come può essere chiaro il responso della Sibilla Cumana. Oltretutto questo linguaggio, più che di cultura (sempre nel senso classico e tradizionale al quale credo tutti noi siamo abituati, almeno quelli che da ragazzi hanno fatto buone scuole), mi sa di marketing con tutti i suoi inutili e spesso stupidi inglesismi. Ma io, stoicamente e forse masochisticamente, decido ancora di andare avanti nella lettura e lo sforzo mi premia perché ad un certo punto, dopo aver saltato interi paragrafi di contorte ed incomprensibili tecnicalità burocratiche relative alle candidature ed alla assegnazione del titolo, arrivo finalmente al nocciolo della questione;
“L’innovazione deve essere effettiva, cioè duratura e riconoscibile: perciò, il vero bilancio di quanto realizzato dalla città capitale della cultura dovrebbe essere compiuto esaminandone gli effetti a partire dal primo giorno dell’anno successivo, in questo senso più significativi di quelli dell’anno del titolo”. Stop. Fermiamoci un attimo. Quindi, la Capitale Europea o Italiana della Cultura deve essere una città in grado di produrre un certo grado di innovazione, che deve essere effettiva e, soprattutto, duratura. E come facciamo a sapere se si tratta di cosa duratura e quindi meritevole del titolo assegnato? Risposta UE; lo saprete solo dopo l’anno del titolo. Sembra uno scherzo, ma non lo è; è scritto proprio così. Lo sapremo ex post, a cose fatte, magari pure a festa fatta ed a santo gabbato. E se il requisito ex post non si verifica cosa si fa? Si annulla il titolo? No, non è previsto nessun annullamento. Assurdo. Se uno poi dicesse alla U.E. che così son bravi tutti pensate avrebbe torto? Il ‘ma anche’ denota una mancanza di logica aristotelica (A=A) e la verifica ex post mi fa pensare, non so perché, alla logica strampalatissima del Barone di Münchhausen quando pensava di uscire incolume dalle sabbie mobili tirandosi da solo per i capelli. Quindi, nelle sue premesse teoriche di fondo, quelle fondanti, il titolo di Capitale Europea della Cultura, al di là delle sue assegnazioni a questa o a quella città, gode dell’invidiabile privilegio di essere affrancata dal duro peso della logica. Se la legittimazione ex ante è fumosa o debole, quella ex post, diciamo la verità, è semplicemente ridicola.
Andiamo oltre. L’iniziativa “Capitale europea della cultura” intende:
- mettere in luce la ricchezza e la diversità delle culture in Europa;
- celebrare le caratteristiche culturali condivise da tutti gli europei;
- accrescere il senso di appartenenza dei cittadini europei a uno spazio culturale comune;
- promuovere il contributo della cultura allo sviluppo delle città.
L’esperienza ha inoltre dimostrato che l’evento è un’eccellente opportunità per:
- riqualificare le città;
- potenziare il profilo internazionale delle città;
- valorizzare l’immagine delle città agli occhi dei suoi abitanti;
- ridare vitalità alla cultura di una città;
- rilanciare il turismo.
Dopo pagine e pagine scritte in un ermetico ed emetico (emetico è un qualcosa che provoca il vomito, che fa vomitare) burocratese comunitario frammisto a mille anglicismi frou frou e senza aver avuto minimamente una nozione scientifica, chiara ed esatta di cosa sia una Capitale Europea della Cultura, forse, in compenso, riusciamo o riusciremo a capire come si diventa ‘Capitale Europea della Cultura’. Quali sono i requisiti fondamentali per aspirare al titolo? Eccoli i requisiti. Sono cinque di cui tre predominanti ed uno che svetta su tutti. Per diventare Capitale Europea della Cultura il criterio-principe è quello della ‘participation of the citizens living in the city and its surroundings’ e questo criterio conta per ben il 92%. Sarebbe a dire, “la partecipazione dei cittadini che vivono nella città, dei cittadini residenti in città e nei dintorni”. In secondo luogo, la sostenibilità del progetto presentato e il terzo è la ‘diversità culturale’. Diversità culturale, ma in che senso? Si può intendere in due sensi. Il primo è la diversità della città prescelta rispetto al resto d’Europa. Ma è un criterio valido? Pensiamoci su un attimo. Una città europea è sempre, rispetto alle altre città del Continente, uguale e diversa. Tutte le città europee, anche le più diverse tra di loro, hanno qualcosa di eguale e ogni città che sembra uguale all’altra, in realtà, è diversa. La cosa o si specifica con sottocriteri più chiari o si riduce ad una banalità, a mera tautologia. Ma c’è una seconda accezione di ‘diversità culturale’ e, sapendo fin troppo bene quali sono i messaggi subliminali delle élites europee, c’è da temere il peggio perché per diversità culturale niente di strano che esse intendano rispetto all’Europa ed alla sua tradizione culturale. Qui non si tratterebbe più di una normale ‘diversità’, ma dell’irruzione anche in tale ambito della categoria del ‘diverso’, fondamento del politically correct e della ideologia globalista, mondialista e terzo/quartomondista, i cui effetti ricadono su tutta l’Europa nel momento in cui la Commissione Europea cerca di modellare il nuovo pensiero unico europeo (basti pensare alla retorica sui migranti e sui culturalmente, rispetto all’Europa ed all’Occidente, diversi ecc. ecc.) e di imporlo a forza nelle menti degli europei, facendolo entrare in ogni ambito tematico. Figuriamoci se non cercano di farlo entrare nella invenzione ‘Capitale Europea della Cultura’. Al tempo stesso, la parola inquinamento si presta molto bene per quel che riguarda le èlites europee attuali non solo in ambito culturale, ma anche in ambiti economici (basti pensare al perverso e diabolico progetto degli organi europei di inquinare il made in Italy a tavola, favorendo l’invasione sulle nostre tavole di prodotti agricoli del Maghreb, africani e del Terzo/Quarto Mondo in genere). Diversità da cosa?
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E se i cittadini non si fanno coinvolgere? Per la U.E. fa lo stesso, tanto il Festival o i Giochi senza Frontiere della cultura (?) saranno già stati fatti. A questo punto diventa finanche superflua la questione intorno alla quale si sono accapigliate le città italiane candidate nel 2014 alla edizione CEC 2019. Se la legittimazione di questo meccanismo scombinato non c’è mai prima, ex ante, e non c’è nemmeno dopo, ex post (ed abbiamo visto il perché), o comunque non è determinabile perché i criteri fondamentali appaiono oggettivamente discutibili, precari, deboli, incerti e così via, allora che senso ha accapigliarsi e contestare scelte che sono minate nelle fondamenta, sin già dall’atto di definizione delle regole, cioè ‘a monte’, come si suol dire? Prendiamo un ulteriore esempio, un esempio relativo al più decisivo di tutti e cinque i criteri per la selezione della CEC; la partecipazione popolare della città candidata o designata. E se non ci dovesse essere? Che poi ci sia veramente o non ci sia affatto, nulla cambia per la U.E. I giochi son già fatti. Ed allora che senso ha prescriverlo quel criterio principale con tanta enfasi? Senza dire che questo criterio ha valore pari a zero per quanto riguarda il parametro classico e tradizionale di tipo classico-umanistico del prestigio culturale e della tradizione culturale delle città europee. Voglio dire, in sostanza, che il primo criterio U.E. per la selezione della CEC riflette perfettamente la generale ‘filosofia’ politica di questa Europa degenerata, che, nel corso degli ultimi decenni ha mortificato, stravolto e rovesciato i paradigmi culturali tipici dell’Europa e dell’Occidente, aprendosi invece ad una concezione spuria e degradata composta (in parti variabili a seconda della situazione) da politically correct (da qui l’ossessiva enfasi sulla diversità) e razionalità economica neoliberista. A questo punto mi viene in mente una domanda; ma è possibile che tutta questa ‘fuffa’ non sembra portatrice di parecchi rischi agli stessi alti burocrati europei? In altri termini, a Bruxelles ed a Strasburgo non vedono quali e quanti possano essere i rischi di questa, che per non essere ipocriti non si può fare a meno di definire, ‘fuffa’? Forse, nelle stesse capitali U.E. c’è chi nutre dubbi e questi dubbi fanno capolino dagli stessi documenti ufficiali della Unione Europea:
“Many cities tend to see their role as ECoC as a mega-festival lasting throughout the festive year, or as a big showing-off/promotional operation, forcing an expensive and often ineffective destination marketing campaign. Instead, the programming components should privilege international cooperative ties and complex, preferably multilateral projects, involving local cultural resources and those from other European countries and even those beyond Europe”.
Traduco:
“Molte città tendono a considerare il loro ruolo di Capitale Europea della Cultura come un mega-festival durante tutto l’anno della festa (in inglese ‘festa’ è anche ‘celebration’, appunto tempo di festa e di giochi e molto meno semanticamente solenne rito commemorativo, insomma ha una accezione del significato più ludico e meno grave e pomposo come nell’italiano) oppure come una grande operazione dimostrativa e promozionale avventurandosi in una campagna di marketing costosa e inefficace. Invece, i programmatori dovrebbero privilegiare complessi legami di co-operazione internazionale, preferibilmente progetti multilaterali, in grado di coinvolgere le risorse culturali locali nonché quelle di altri Paesi europei e finanche quelle di Paesi extra-europei” (il terzomondismo che torna ancora una volta a galla?). In altre parole, il rischio che la celebrazione dell’anno di una Capitale Europea della Cultura si riduca a null’altro che ad un Grande Festival è non solo incombente, ma, da quel che si capisce tra le righe, quasi una certezza. E non è ancora tutto. A tutti coloro i quali considerano il titolo CEC non come la certificazione timbrata (di Stato) di un prestigioso status di preminenza o di eccellenza di una città rispetto al contesto culturale continentale, nazionale o anche solo regionale (come la comune ricezione popolare del concetto di CEC farebbe intendere), ma solo come un Mega-Festival di eventi a fini turistici il passaggio che sto per segnalarvi apre immense e insperate praterie. Per stessa ammissione della U.E. infatti:
“The experience of recent years suggests that the knowledge that a competition would be held in a particular Member State has stimulated cities to apply that might not otherwise have done so; many are cities that would not be traditionally considered as cultural centres”.
Traduco:
“L’esperienza degli ultimi anni suggerisce che la consapevolezza che una competizione si svolgerà in un determinato Stato membro ha stimolato le città a darsi da fare, visto che altrimenti non avrebbero potuto farlo; molte sono città che non sarebbero tradizionalmente considerate come centri culturali”.
E da questo passaggio si può capire chiaramente un sottinteso della massima importanza che conferma indirettamente quanto appena detto prima. Anzi le acquisizioni, a detta della stessa Unione Europea, sono due e della massima importanza:
- 1) Molte delle città designate Capitali Europee della Cultura non sono considerate tradizionalmente come centro di rilevanza culturale;
- 2) Le attività di un anno di CEC non sono quelle di un centro di una città considerata tradizionalmente come città di cultura, ma piuttosto quelle di una città a cui si dà fiducia perché possa mettere in scena un Grande Festival promozionale, soprattutto dal punto di vista turistico e comunque in base a criteri che con la cultura vera e propria ben poco o nulla hanno a che fare. Il meno che si possa dire circa lo scopo e lo status di una Capitale Europea della Cultura, da quanto traspare dagli stessi documenti ufficiali della Unione Europea, è che la confusione è grande. “Una città non viene designata Capitale unicamente per ciò che è e per quanto ha fatto. Ad essa viene assegnato il titolo soprattutto per il programma di eventi culturali particolari che propone di organizzare nel corso dell’anno in questione, che dovrà essere un anno eccezionale. In tal senso, il concetto di Capitale è completamente differente, ad esempio, da quello di patrimonio mondiale dell’UNESCO. Non si tratta quindi soltanto di un titolo, in quanto questo viene a coronare un anno “faro” per la città sul piano culturale. Ogni presentazione di candidatura sotto forma di opuscolo turistico della città risulterebbe quindi inappropriata. La città è invitata a sfruttare le sue particolarità e a dar dimostrazione di una grande creatività. A tale proposito il patrimonio e la vita culturale permanente della città sono senz’altro elementi importanti, che costituiscono però soltanto una base per l’organizzazione dell’avvenimento”, ma subito dopo invece si può leggere che Il programma dell’anno della Capitale europea della cultura deve rivestire un carattere eccezionale: dovrà essere specialmente creato per il titolo” e che “in concreto si tratta, per una città candidata, di sottolineare il ruolo che essa ha svolto nella cultura europea, i suoi legami con tale cultura, la sua appartenenza all’Europa, nonché la sua attuale partecipazione alla vita artistica e culturale europea, con tutti gli aspetti specifici che la contraddistinguono. Tale dimensione europea può essere del pari concepita e vissuta dalla città tramite il dialogo e lo scambio realizzati con altre culture e artisti di altri continenti, al fine di favorire il dialogo interculturale”. Quindi, appena si dice che il patrimonio culturale della città coinvolta non conta o conta davvero pochissimo, un attimo dopo si dice l’esatto contrario e cioè che il ruolo svolto dalla città nel passato conta moltissimo. Ma se così fosse, mi chiedo perché Napoli, Milano e Roma non siano state finora nominate capitali europee della cultura. Forse che città come Milano, Roma e Napoli non sono città degne di essere candidate a Capitale della Cultura ed a vincere il titolo? Non facciamo ridere. Tre metropoli come quelle che hanno dentro di sé il 70% della nazione che al mondo contiene il 70% del patrimonio artistico e culturale se non partecipano ai Giochi Senza Frontiere della Capitale Europea della Cultura è semplicemente perché sono città di così elevato prestigio culturale da non aver minimamente bisogno di Mega-Festival di promozione turistica o culturale. Allora, se così stanno le cose e stanno proprio così, torno al problema di partenza; cosa vuol dire partecipare o vincere alla lotteria ECOC in termini di prestigio culturale per una città? E quali sono i parametri tali da farci dire che una città è una città di cultura? E, poi, città di cultura in quale contesto? Europeo, italiano o solo regionale? Sono discorsi di difficile o quasi impossibile determinazione, però credo di poter proporre sette criteri, sette criteri alternativi a quelli di ECOC, sette criteri per poter stabilire cosa si debba intendere, al di là delle varie scale (mondiale, europea, italiana o regionale), per ‘città di cultura’;
I SETTE CRITERI PER LA DEFINIZIONE DI ‘CITTA’ DI CULTURA’
- 1) Il prestigio di una città di cultura proviene, in primis, dalla storia della città, dal ruolo che la città ha avuto nella storia regionale, nazionale ed europea o addirittura mondiale e dal prestigio storico acquisito;
- 2) Il prestigio culturale di una città proviene, oltre che dal suo ruolo nella Storia, anche dalla sua tradizione culturale ereditata dal passato (intendendo per tradizione culturale tutto ciò che in particolare una determinata città ha prodotto culturalmente: accademie, cenacoli, libri, intellettuali, riviste, artisti e quant’altro ha lasciato un segno nella città e, soprattutto, fuori della città);
- 3) Il prestigio culturale di una città proviene dall’entità quantitativa e dalla qualità del suo patrimonio materiale ed immateriale (beni culturali, tradizioni, patrimonio culturale e monumentale ecc. ecc.);
- 4) Il prestigio culturale di una città proviene dal numero e dalla importanza delle sue istituzioni culturali nel tempo presente (Università, centri di ricerca, giornali, riviste ecc. ecc.)
- 5) Il prestigio culturale di una città proviene dal numero e dalla qualità di eventi che solitamente si svolgono in quella città;
- 6) Il prestigio culturale di una città dipende dal numero degli uomini di cultura, intellettuali di quella città e dalla loro capacità di produrre dibattito culturale, di produrre e non solo di consumare cultura (ora, nel tempo presente);
- 7) Il prestigio culturale di una città si determina, per finire, anche in base agli indici di sviluppo culturale, tra cui il consumo e la lettura di libri, il grado di scolarizzazione, di civiltà nel dibattito pubblico e degli stessi suoi abitanti, di affluenza alle manifestazioni culturali vere e proprie e non degli spettacoli di intrattenimento, al numero delle librerie e degli istituti scolastici ecc. ecc.
Due città possono entrambe avere tutti gli indicatori a posto, ma il confronto fra di loro può essere penalizzante per una delle due a causa del gap in termini di prestigio sia per numero che per valore e qualità. A questo avrei voluto arrivare subito con la mia ricerca su Google, che, invece, mi ha dirottato a forza sul concetto di Capitale Europea della Cultura. Da tutti gli argomenti che ho sviluppato ed esaminato dovrebbe essere ormai perfettamente chiaro che il titolo in sé di Capitale della Cultura non è assolutamente né influente, né determinante per valutare ciò che veramente conta e cioè il prestigio culturale di una città, essendo ne più né meno che un eventificio, un Mega Festival, come la stessa U.E. ci avverte. Il titolo ECOC può essere, ma solo, nei casi migliori, stando sempre alle pregresse esperienze di un trentennio di Capitali Europee della Cultura, un buon corroborante della crescita economica e dell’incremento turistico, ma poco più. Con la cultura vera e propria, con la cultura ‘alta’, con il criterio del prestigio culturale, connaturato invece al concetto di ‘città di cultura’, una Capitale Europea della Cultura o lo stesso concetto di ECOC ha ben poco a che fare oppure è un concetto del tutto indifferente alla cultura e assolutamente indipendente dal prestigio culturale di una città. Ciò che conta sono unicamente quei sette parametri che definiscono non nel giro di un anno, ma nel corso dei secoli, ciò che conta davvero e ciò che conta davvero è unicamente il prestigio culturale di una città, la sua consistenza di città di cultura (ovviamente, come precisato a vari livelli territoriali). Infine, ciò che conta per determinare il prestigio culturale di una città si determina solo per mezzo di quei sette parametri. Quei sette parametri sono legittimazioni ex ante di ogni rango culturale di qualsiasi città e non invece titoli che spesso, come ammette la stessa U.E. si rivelano solo come sinonimi di Mega-Festival o di eventifici, senza un vero contenuto culturale, senza alcuna legittimazione culturale sia ex ante sia ex post.
PINO A. QUARTANA
Immagine didascalica; La Galleria degli Uffizi a Firenze, la ‘città di cultura’ per antonomasia e per eccellenza.