Negli ultimi quarant’anni-cinquant’anni il volto e l’immagine di Potenza sono cambiati in un modo abbastanza importante e decisivo e tutto questo cambiamento è avvenuto su due fronti; sul fronte della modernità e sul fronte della riscoperta o, meglio, della scoperta archeologica del passato. Se sul primo sono comparse straordinarie icone della città quali il Ponte Musmeci o il Palazzo di Dante Benedetto Maggio o l’Auditorium di Rebecchini, sul secondo fronte tutta una serie di scoperte archeologiche hanno delineato una nuova visione della città in relazione alla sua storia remota. Così abbiamo man mano preso sempre più consapevolezza della importanza del passato romano con la scoperta della Villa romana di Via Parigi e del suo passato lucano con l’emersione nel 2008, cioè solo dieci anni fa, della Fattoria Lucana. Ma nell’ultimo mezzo secolo c’è stata anche un’altra, ed anch’essa veramente importante, scoperta, una scoperta in grado di riscrivere la storia del cristianesimo in Basilicata. Infatti, posteriormente all’altare maggiore della Cattedrale di San Gerardo, ovviamente a Potenza, nel frattempo diventata Basilica Pontificia Minore sulla scia della elevazione della Diocesi di Potenza ad unica Arcidiocesi Metropolita della Basilicata, sono stati rinvenuti durante alcuni lavori di restauro, i resti di una cripta che sono protetti da un pesante cancello di bronzo. La struttura è posta a circa due metri sotto terra ed ha dimensioni di 5,10 metri x 3,30 metri. Il piccolo vano rettangolare presenta alcuni lacerti murari ed una pavimentazione musiva a decorazioni geometriche policrome. La funzione di questa cripta, potrebbe anche essere stata quella di “Martyrion”, cioè luogo che andava a custodire i cadaveri dei martiri. Più dettagliatamente, nella cripta paleocristiana e tardo romana di San Gerardo c’è un mosaico a tessere bianche e nere ritrovato al di sotto dell’altare e datato fra il IV e il V secolo d.C. (quindi, tra il 300 ed il 400 d.C.) sul quale poggia un’antica abside. La cripta induce noi contemporanei a pensare che l’edificio paleocristiano sorgesse esattamente nel posto dove ora è situata l’odierna cattedrale.
La storia della Basilica Cattedrale di San Gerardo affonda quindi le sue radici nell’antichità cristiana della Basilicata. Gli scavi che furono condotti nel 1969 nell’area presbiterale a seguito di pericolose crepe apparse nell’abside, portarono alla scoperta delle basi d’un’antichissima area absidale racchiudente frammenti di pavimento musivo policromo, dai disegni geometrici (cornice a fascia larga, serie di rombi crociati intrecciati da volute). Si tratta dei resti archeologici d’una basilica paleocristiana. “È suggestivo e commovente, per il credente – ha scritto don Gerardo Messina – pensare che là, nei primordi del cristianesimo, un vescovo presiedeva la comunità cristiana e vi celebrava l’Eucaristia”. Nei lavori di ripristino seguiti alla scoperta venne creata una cripta, accessibile ma ricoperta da una pesante griglia bronzea, dove sono custoditi i resti archeologici restaurati. Allo stato attuale – secondo uno studioso come Pasquale Favia – sembra che si tratti dei più antichi reperti archeologici riguardanti l’antichità cristiana in Basilicata. Un’epigrafe del 1200 del vescovo Bartolomeo, in caratteri beneventani, collocata sulla parete meridionale sopra quella del Serrao, parla d’una “fabrica mater” precedente a quella duecentesca (eretta tra il 1197 e il 1200), definita “filia”. I reperti musivi della cripta autorizzano ampiamente a questo punto l’ipotesi che l’antica fabrica sia quella di cui parlano gli stessi reperti. Certo, c’è ancora un margine di incertezza causato anche dal fatto che né nell’area della Basilica Cattedrale di San Gerardo né in tutto il resto di Potenza vi sono mai state indagini archeologiche sistematiche. Né durante i lavori di risanamento delle fondazioni della Cattedrale ci sono state specifiche procedure stratigrafiche. Secondo Favia che ha studiato in modo approfondito la cripta ed i resti tardo romani e paleo cristiani della Basilica Cattedrale di San Gerardo (collocati a due metri al di sotto del piano di calpestio), “L’iconografia della composizione musiva potentina ha dunque come motivo generatore il quadrato in diagonale con due pelte affrontate, ripetuto in una composizione ortogonale sfalsata realizzata però in modo non privo di una sua originalità e peculiarità. Tale motivo è, come ben noto, di larga attestazione nel mondo romano; su un ampio spettro cronologico e in un vasto raggio di diffusione geografica; l’unità di base si trova più frequentemente abbinata a schemi ortogonali di meandri o svastiche, così come la combinazione di pelte e quadrati si riscontra su tappeti di una certa estensione, più spesso nella formula delle quattro pelte innestate ai vertici del quadrato ubicato presso soglie o aperture. La soluzione con meandri o svastiche richiama esempi già attestati nel tardo secolo II d.C. di frequente utilizzazione soprattutto in contesti africani ma anche alto adriatici”.
Secondo questo studioso, la limitatezza dei resti non consente certo confronti peculiari o richiami puntuali né analisi approfondite sul suo specifico inquadramento in specifici ambiti culturali, produttivi o artigianali, al di là di evocazioni di carattere generale, “tuttavia la formulazione dello schema compositivo ed i caratteri della sua realizzazione, l’effetto cromatico che annulla la percezione di uno sfondo, la rinuncia a disegni geometrici di corredo più complessi qualche possibile indicazione di confronto più precisa, che sembra muovere nella direzione di contesti tardo romani piuttosto che di esempi medio imperiali, ci paiono tutti elementi che indirizzano verso una ipotesi di datazione all’epoca tardo antica, tra IV ed inizi VI secolo non ulteriormente circoscrivibili”.
In particolare, composizione ortogonali di quadrati con quattro pelte ai vertici alternati a medaglioni circolari sono presenti – assicura Favia – nella Basilica del monastero in Aquileia. Per quanto riguarda l’originaria destinazione d’uso dei reperti archeologici rinvenuti, questo studioso sostiene che la questione è di difficilissima definizione. Certamente l’ipotesi che si tratti della primitiva ‘fabrica’, cioè della originaria e più antica chiesa, non appare affatto incompatibile con tutto il contesto, ma Favia avanza anche una ulteriore ipotesi e cioè che invece di una chiesa, della chiesa originaria, si possa trattare di un sacello.
Potentia Review