La esaltante, magnifica, cavalcata del Potenza Calcio e del suo Presidente, Salvatore Caiata, verso la tanto agognata serie C, che mancava a Potenza da nove anni, è un evento che riguarda solo tifosi ed ultras del club del Leone Rampante o ha anche dei significati extracalcistici? Direi che mai come in questa occasione le splendide gesta di Franca, Guaita e compagni hanno rilevanti significati, che vanno ben oltre la mera sfera calcistica. Il 2014 è stato un anno molto particolare nella storia non solo di Potenza ma di questa regione. Nonostante l’insediarsi al Comune di Potenza di un gruppo di amministratori nuovi, il 2014 ha significato per Potenza solo cose molto negative; dissesto finanziario al Comune con tutti gli annessi e connessi, stagione calcistica senza alcun effetto pratico e andata avanti, come è successo spesso negli ultimi lustri, a colpi di strazianti espedienti. E, poi, come non ricordare l’immagine complessiva della città, che, nel 2014, era ai suoi minimi termini; città spenta, senza una identità affascinante o senza identità del tutto, senza qualità, senza slanci, senza nulla da vantare rispetto all’altra città della regione, l’eterna rivale Matera, che, proprio verso la fine del 2014, realizzava il colpo più importante della sua storia; la CEC 2019. Da quel punto si sono avuti almeno altri due anni ‘neri’ per Potenza, una città che sembrava ormai irrimediabilmente destinata alla decadenza, alla fine, alla perdita del suo ruolo storico di assoluta preminenza a livello regionale. In ogni campo; dalla politica alla economia, dalla cultura allo sport. Tanto scendeva Potenza, tanto, simultaneamente, come in una altalena, saliva Matera, magari per motivi neanche direttamente correlati con la crisi di Potenza, ma il quadro d’insieme portava a questa constatazione. Agli inizi del 2016 la situazione era ancora posta in questi termini, al punto che i rivali di sempre cominciavano addirittura ad accarezzare un colpo gobbo ai danni della ex capitale regionale in disgrazia ed un consigliere comunale, ora diventato parlamentare, portava nel consiglio comunale della città dei Sassi un ordine del giorno per chiedere a tutti i consiglieri comunali di votare un documento con cui si chiedeva lo spostamento del capoluogo regionale da Potenza a Matera. Intanto, a Potenza la situazione politico-amministrativa era in fase di sfaldamento ed i limiti imposti dal dissesto facevano precipitare la vita quotidiana dei suoi abitanti nonché le quotazioni della città. Poi … poi, ad un certo, non ben precisato, punto qualcosa di nuovo ha cominciato pian piano a prendere forma … non voglio declinare il discorso in chiave personalistica, ma certamente posso dire che un piccolo gruppetto di utenti facebook ha cominciato a riconoscersi ed a passare al contrattacco. Su due, poi diventati tre, gruppi facebook, quelli che anche ora veicolano il traffico principale dei pensieri dei potentini, unitamente alla nascita di questa stessa nostra rivista, quel gruppetto ha cominciato a sperimentare discorsi nuovi sulla città e sulla sua immagine, discorsi temerari solo due anni fa, discorsi che non erano nemmeno pensabili alla luce del dominio assoluto di ciò che, poi, abbiamo definito, lanciando la formula verbale con un certo successo, l’ideologia basilisca. Quest’ultima era ed è quella che ottenebrava da decenni la vita culturale di questa regione e che aveva designato la città di Potenza a sua prima e principale vittima. La ‘destrutturazione’ dei luoghi comuni sulla nostra città, ma anche di quelli circa il resto della realtà regionale procedeva, a partire, dai primi del 2016, di pari passo con la riscoperta, ma più spesso, con la scoperta dell’ingente patrimonio culturale di Potenza, sconosciuto in gran parte agli stessi potentini. Una non conoscenza quasi assoluta, che ha avuto non poca parte nel fatto che i potentini sviluppassero negli ultimi decenni una sorta di complesso di minorità rispetto al resto della realtà regionale, a cominciare dalla nuova CEC 2019. Man mano che i mesi del 2016 passavano il nuovo clima cominciava (incredibilmente) a prendere piede e aveva un suo primo riconoscimento, non si sa per quali strade arcane ed imperscrutabili, nel Capodanno RAI da Potenza, Capodanno RAI, sia detto per precisione, che non ha determinato chissà quali flussi turistici a Potenza, ma che ha dato alla città un nuovo, e del tutto insospettabile, vigore identitario, corroborandone il tono e l’umore. Nel frattempo, il lavoro del nostro gruppetto e della rivista continuava incessante con scoperte che lasciavano i potentini a bocca aperta ad ogni uscita di ‘Potentia Review’. Questa era la novità. Non il fatto che in città si consumasse o non si consumasse una notevole quantità di eventi culturali, che, appunto, ci sono sempre stati ed in gran copia, finanche nei momenti più neri di questi ultimi anni. La novità è stata quella di aver cominciato a rimuovere (il lavoro è ancora in corso e sarà ancora lungo) il male oscuro dell’anima potentina, cioè il blocco interiore che paralizzava e invalidava la città da anni ed anni. E quale era questo blocco? Diciamolo in altre parole. Dall’animo dei potentini era sparito ormai da tempo, per motivi che andrebbero indagati in una trattazione a parte, l’orgoglio di essere potentini. Di questo sostanzialmente si trattava e si tratta. E così, mentre noi continuavamo a svolgere il nostro lavoro culturale (un lavoro culturale complesso fatto di scavi ed indagini, ma anche di rielaborazioni e di riposizionamenti di immagine della città, lavoro, è il caso di sottolinearlo, anche abbastanza silenzioso o almeno non socialmente molto eclatante, ma assolutamente prezioso), all’orizzonte spuntava la sagoma di un giovane imprenditore quarantenne, o poco più, dai capelli lunghi come una rockstar e dall’aria di uno che sa bene il fatto suo, cioè come si fa bene il mestiere di imprenditore. Questo vecchio ragazzo, animato anch’egli da passione romantica verso la propria città, ormai vilipesa e mortificata oltre ogni tollerabile misura, decideva di dare un’altra svolta di quelle decisive alla vita della città e di assumere la presidenza del Potenza calcio, che, fino a quel momento, esattamente come la reputazione culturale (e di immagine in senso vasto), esattamente come il dissestato Comune di Potenza, sembrava volesse andare definitivamente per le terre. Quel che ha fatto Caiata per il Potenza Calcio non c’è bisogno che lo ripeta anche io; lo dicono in tantissimi ogni giorno. E’ una cosa di facilissima comprensione anche per i bambini. Quel che il calcio e lo sport hanno di più rispetto alla battaglia culturale è che nel calcio non c’è bisogno di discorsi complessi e difficili per capire le cose. Le cose nel calcio sono di una elementare evidenza; l’attaccante ha fatto gol, abbiamo vinto la partita, abbiamo vinto il campionato. Bastano queste pochissime e semplici cose (semplici da capire, mica da fare). Il calcio deve il suo status di linguaggio universale proprio a questa elementare evidenza delle sue dinamiche (ma, ripeto, che una cosa è capire il calcio da tifoso e ben altra è capire, per esempio, come si fa a vincere un campionato da presidente del club, così come ha fatto il nostro benemerito concittadino Salvatore Caiata). Vista nel panorama complessivo della storia recente della città, la promozione del Potenza ha determinato svolte altrettanto decisive che né il Capodanno né il New Deal culturale potevano determinare; ha coinvolto una massa di persone intorno ad un obiettivo prestigioso e ben concreto, misurabile in settimane, in gol, in punti. Un qualcosa che suscita entusiasmi contagiosi e soddisfazioni calde, alla portata di tutti, grandi e piccini, tifosi ultras e tranquille famiglie. Difficile trovare qualcosa in Italia più popolare del calcio, qualcosa che possa mobilitare più di altre cose un popolo intero come il calcio. Giocando sapientemente su queste corde popolari, Caiata ha compiuto un altro miracolo, che, certamente, non può essere un miracolo esclusivo del calcio e che se rimanesse solo calcistico sarebbe sterile; resuscitare nell’animo dei potentini l’orgoglio di appartenere a questa città. Scoprire un quadro importante di un pittore del 1500 (come, per fare uno dei tanti esempi del lavoro compiuto in questi due anni dalla nostra rivista, ci è capitato di fare) e permettere a Franca di andare in gol sono cose del tutto diverse e separate, ma che hanno un substrato in comune; ridare ai potentini l’orgoglio della appartenenza alla città. Forse, Caiata di miracolo ne ha compiuto anche un altro; riavvicinare a Potenza un numero sempre crescente di lucani della provincia, ma finanche della provincia di Matera e delle zone cilentane. E’ facile prevedere che uno degli sforzi del club calcistico per la prossima stagione sarà anche quello di favorire la costituzione di Potenza Fans Club in numerosi comuni; da Rionero a Muro Lucano, da Tolve a Spinoso, da Brienza a Satriano e così via. Ebbene, tutto ciò non avrà un valore solo prettamente calcistico. Andando indietro ai tristi giorni del 2014 e degli anni scorsi, in cui abbiamo visto tanti corregionali o cittadini della nostra provincia prendere le distanze da Potenza, quasi a volerla rinnegare, in cui abbiamo visto molti lucani della nostra provincia e dell’altra sparare, anche a sfregio, sulla immagine della nostra città, questo recupero progressivo della provincia e anche delle province limitrofe è un fatto di straordinaria e strategica importanza extracalcistica per Potenza, ma anche per la Basilicata stessa, che appare sempre più priva di punti di riferimento, anche umani, anche di quelli, forse superficiali, che nascono in uno stadio di calcio. E la provincia, non solo la nostra, ma anche quella di Matera, ha un bisogno disperato di punti di riferimento, di riallacciare una connessione sentimentale, politica ed umana con Potenza. Ora lo possiamo dire. Presa dalla sua ansia di sopravvivenza e dalla sua lotta, per la prima volta nella sua storia da posizioni di accentuata debolezza, con la rivale interna Matera, Potenza in questi anni ha dimenticato la provincia, soprattutto la sua provincia, non si è preoccupata più della sua provincia. Forse, non aveva nemmeno più le forze e la tranquillità per farlo. E la provincia si sente terribilmente sola. Questo vuoto della nostra provincia non può riempirlo né Caiata da solo, né il Potenza calcio da solo, ma aver ricominciato a connettersi attraverso il calcio è un altro fatto estremamente meritorio ed importante. Quindi, la promozione del Potenza Calcio in C non sta solo a significare un ulteriore recupero di posizioni prestigiose nel mero ambito calcistico, ma una ulteriore e fondamentale tappa del processo di recupero di posizioni e di prestigio di tutta la città nella sua interezza (non dimentichiamo anche, notizia di questi ultimi giorni, la fuoriuscita definitiva del Comune di Potenza dalla fase di dissesto ed anche questo obiettivo raggiunto costituisce un grande passo in avanti della città verso il suo rilancio). Non meno importante sarebbe che il club cercasse interazioni, sinergie e collaborazioni con altri settori importanti della società cittadina per compattare il corpo sociale verso obiettivi condivisi da tutti. A dire il vero, sotto questo punto di vista il Potenza Calcio di Caiata è già un club all’avanguardia. A nessuno può essere sfuggita la grande attività sociale che quest’anno è stata sviluppata. Queste interazioni e sinergie però possono essere maggiormente sviluppate. Ma di queste cose magari se ne potrà parlare più in là. In questo momento incombono preoccupazioni più pressanti; dallo stadio, che necessita di un adeguamento urgentissimo, fino alla prossima campagna acquisti, in modo tale che a Potenza di serie D non si debba mai più parlare. Limiti in alto non ne mettiamo, se non quello di stare ben attenti a non rovinarsi finanziariamente affinché si possa scongiurare per sempre il rischio di dover riprendere un triste ciclo già troppe volte sperimentato in questa piazza calcistica. Un solo limite; in basso. Non retrocedere mai più in serie D. Poi, una volta assicurato al club ed alla città questo obiettivo minimale (non solo per la prossima stagione, ma per sempre), tutto ciò che dovesse venire in più sarebbe tutto grasso che cola.
PINO A. QUARTANA