POTENZA, QUARTIER GENERALE DEL FRANCESE CHE TERRORIZZO’ I BRIGANTI MERIDIONALI

 

Di solito, quando si pensa al brigantaggio si pensa a quel fenomeno che creò enormi problemi alla appena nata Italia unita sotto l’egida di Casa Savoia. Quando si pensa al brigantaggio si pensa anche al Sud ed in particolare alla Basilicata, che ne fu l’epicentro. E quando si parla di brigantaggio in Lucania si pensa anche a quello che avrebbe dovuto essere, nei piani del capo-brigante di Rionero in Vulture, Carmine Crocco, e del rappresentante della destituita Casa Reale Borbonica nel Sud post-unitario, l’ufficiale spagnolo Borjes, il destino di Potenza. La città capoluogo era infatti in testa ai desideri più ambiziosi dei briganti, che, in una notte di novembre del 1861, avrebbero dovuto assaltarla, conquistarla e chissà cos’altro. Non credo che sarebbe stato affatto invidiabile il suo destino se la città fosse caduta in mano a Crocco ed a Borjes. Quella mancata conquista forse ebbe addirittura effetti a livello nazionale perché c’è da dubitare fortemente del fatto che con la eventuale conquista di Potenza da parte dei briganti la rivolta brigantesca non avesse potuto determinare una valanga tale da travolgere il fragile assetto dello Stato unitario e, di conseguenza, anche l’appena raggiunta unità d’Italia. La Storia, proprio quella con la S maiuscola, dice però tutt’altro. La città non fu conquistata e neppure assaltata perché le truppe militari che vi erano racchiuse facevano troppa paura a Crocco, che preferì deviare il percorso dei suoi circa 1500 uomini armati e abbandonare l’ambizioso disegno. Questi fatti lasciarono una profonda ed indelebile traccia anche nei rapporti fra Potenza e buona parte del resto della regione. Tracce che a mio parere si sono affievolite ma che non sono scomparse.  Ne parleremo in un’altra occasione di queste conseguenze intrabasilicatesi. Ma i fatti del 1861 non furono i soli che interessarono i rapporti fra Potenza ed il brigantaggio lucano. Si è quasi totalmente dimenticato che già prima del 1861 la regione, ed anche Potenza, furono al centro della scena brigantesca. Naturalmente, in posizione sempre opposta e conflittuale. L’epopea, chiamiamola così, brigantesca del 1861 al Sud ed in Lucania non fu l’unica degna di rilievo storico. Ce ne fu un’altra 50-60 anni prima, che è stata dimenticata, ma che non fu di minore importanza storica. Per rievocare quei fatti, quasi totalmente rimossi dalla memoria collettiva, bisogna puntare l’attenzione sulla figura di un brillante militare francese il cui nome è associato alla sbrigativa soluzione del problema brigantesco durante il periodo napoleonico; Charles Antoine Manhes, un nome che a qualcuno ricorderà soltanto una via di Potenza (nella discesa appena fuori Porta San Luca). Manhes prima di essere inviato in Italia e nel Regno di Napoli, si distinse valorosamente nella battaglia di Austerlitz e venne decorato da Napoleone con la Legione d’Onore. Nominato capitano nel giugno 1806, divenne aiutante di campo del Granduca di Berg cioè di Gioacchino Murat e lo seguì dapprima in Spagna (1808) e poi a Napoli. Sposò una aristocratica italiana, Carolina Pignatelli, figlia del principe Pignatelli di Cerchiara. Nominato colonnello nel 1808, ricevette l’incarico di reprimere il brigantaggio nel Regno di Napoli e iniziò la sua opera; dapprima nel Cilento e dopo negli Abruzzi. Le misure intraprese contro il brigantaggio furono spaventose (in Calabria era soprannominato “lo sterminatore”), ma molto efficaci. Chiarisco subito che non è mio interesse in questo scritto discettare sulla moralità o meno del Manhes, moralità contestatagli aspramente dallo storico Pietro Colletta. Nello stesso tempo, la storiografia ed i testimoni del tempo hanno tracciato anche un profilo complessivo di Carlo Antonio Manhes del tutto differente, se non addirittura molto positivo. Ma discutere di questo aspetto non rientra tra le finalità di questo articolo. Ciò che preme far rilevare in questa sede è che in tutti i posti in cui Manhes fu inviato per reprimere il brigantaggio quest’ultimo scomparve per molto tempo. Ciò fu particolarmente eclatante in Calabria, una regione infestata endemicamente da un brigantaggio particolarmente feroce e bestiale. I briganti calabresi terrorizzavano le popolazioni civili e fu a quel punto che apparve all’orizzonte la stella di Manhes, la cui intuizione di fondo era quella secondo cui al terrore che i briganti incutevano alle inermi popolazioni civili occorreva rispondere con ancora più terrore nei confronti delle bande brigantesche. Manhes, insomma, era convinto del fatto che l’unico modo per sanare quella piaga non poteva non consistere nel rispondere al terrore con ancor più terrore. I fatti gli diedero ampiamente ragione perché, nella incredulità di molti osservatori di quel tempo, il brigantaggio fu completamente e rapidamente estirpato dalla Calabria e la tranquillità sociale durò molto a lungo; almeno trent’anni. Ma pacificata la Calabria restavano ancora molte zone del Sud Italia infestate dal brigantaggio. A quel punto l’attenzione dei francesi, che reggevano il Regno, si spostò su una regione dove la piaga non era meno pericolosa e meno endemica della Calabria; la Basilicata. In quel periodo le due più temibili bande che spadroneggiavano in Basilicata erano quella di Taccone al secolo Domenico Rizzo di Laurenzana e di Quagliarella al secolo Pasquale Lisanti di Muro Lucano. Il primo agiva nella parte sud della regione ed il secondo nella parte nord. Nel periodo 1810-1811, dopo aver ripulito la Calabria, che fu strappata alle grinfie delle feroci bande di briganti calabresi, nel Mezzogiorno molte zone rimanevano ancora o sotto il controllo delle bande oppure a forte rischio a causa delle stesse. L’operazione calabrese non aveva risolto il problema di tutto il Sud. Il governo francese, che aveva appena nominato Potenza come nuova capitale regionale, a quel punto decise di investire ancora su Manhes e su Potenza. Manhes fu nominato generale di brigata e Potenza fu scelta come il quartiere generale del vittorioso militare di Aurillac, nella regione francese dell’Alvernia-Rodano-Alpi. A Potenza vennero così a concentrarsi ufficiali napoleonidi francesi ed italiani, che, dal capoluogo lucano, sarebbero partiti per agire in vaste zone dell’intero Mezzogiorno. Il profilo di Potenza come quello di una città del Sud-roccaforte militare cominciò proprio con Manhes e proseguì lungo i successivi due secoli fino alla cancellazione della Caserma Lucania di pochi anni fa. In pochi mesi Manhes compì nuovamente il miracolo che aveva fatto in Calabria e il brigantaggio cessò di essere un problema. L’ennesimo successo contro le bande fruttò a Manhes la nomina a generale e conte. In pochi mesi Manhes aveva ucciso o neutralizzato ben 4.000 briganti di tutte le regioni meridionali. Un cronista dell’epoca riferisce:

“Il famigerato capo-banda Taccone, che aveva osato con incredibile baldanza, misurare in molte occasioni le sue forze con quelle delle agguerrite truppe francesi, mettendo a sangue e fuoco quelle desolate province, si presentava nel capoluogo Potenza e costringeva le intimorite autorità a venirgli incontro, processionalmente, oltre le porte della città e ad accompagnarlo facendogli corteo, nella Cattedrale, ad intuonare l’Inno Ambrosiano in rendimento di grazie all’Altissimo, pe’ vantaggi accordati alle sue armi; e che la sera di quel giorno in cui la Religione, orrendo sacrilegio, era stata profanata al punto di santificar coi suoi sacri riti azioni cotanto nefande prima di riprendere il corso di sue depredazioni e dei suoi enormi misfatti, imponeva ad una delle principali famiglie del paese di consegnargli una sua figliuola affin di condurla seco lui per essere oggetto di sue brutali tenerezze”.

In sintesi, il brigante Taccone riesce a penetrare a Potenza ed a terrorizzare tutta la popolazione cittadina. I potentini impauriti sottostanno a tutte le richieste del brigante di Laurenzana. Festeggia nella cattedrale le sue criminose imprese ed alla fine pretende il regalo di una fanciulla potentina. Di lei non si saprà mai più nulla. E’ facile ipotizzare che dopo essere stata stuprata chissà quante volte dal brigante, sia stata poi uccisa col cadavere fatto sparire in chissà quali orrendi modi. Non contento della scorribanda a Potenza il brigante e la sua banda convergono ad Abriola e si portano nei pressi del castello del barone Federici. Anche in questo caso la cronaca del cronista del tempo è straziante:

“Abbandonando quella città (Potenza n.n.), immersa nella desolazione, e seguitato da numerosa orda, che in pravità non gli era inferiore, si recava ad assediare il barone di Abriola, Federici, nel suo castello. Ove, dopo il blocco di più giorni, lo forzava di arrendersi a discrezione, con tutta la sua famiglia, composta, nel più gran numero di ragazze e fanciulli, promettendo che non avrebbe loro arrecato alcun male sulle persone. Il troppo confidente barone non appena però aveva fatto sbarrare le porte del castello a quell’accanita marmaglia, che vedeva la baronessa e le sue figliuole preda della libidinosa ferocia degli assassini; ed un suo ragazzo di pochissimi anni, quasi strappato dalle poppe materne, gettato nel fuoco e salvato per miracolo, non riportando nella caduta null’altro che una lussazione al piede destro. Esso vive ancora (scriveva così al tempo il testimone di quelle vicende n.n.) e noi non lo rileggiamo senza una emozione positiva. Tutto il resto della famiglia perì in un rogo acceso nella casa del barone in cui tutti i membri della famiglia furono costretti a gettarsi”.

Il brigante Quagliarella non era da meno rispetto a Taccone per barbarie e crudeltà. Avendo il brigante Quagliarella saputo che l’ufficiale francese De Gambs, da Vietri si stava recando a Potenza in compagnia di una dama napoletana che aveva voluto seguirlo a tutti i costi, lo sorprendeva nel bosco del Marmo e lo uccideva conducendo portandosi via la bella gentildonna che subì uno stupro di gruppo in un bosco. Taccone e Quagliarella avevano alle proprie dipendenze altre bande meno famose. Il re napoleonide Gioacchino Murat molto colpito dalla triste fine di De Gambs e della dama napoletana, per far cessare anche in Basilicata questo stillicidio di feroci ammazzamenti e di infiniti atti di barbarie, incaricò il generale Charles Antoine Manhes di debellare i briganti della Basilicata affidandogli il comando della 2° divisione ma anche della  4a e della 5a. Manhes pretese poteri assoluti, quasi da dittatore, e li ottenne. Il generale francese elesse Potenza quale quartier generale delle sue vaste operazioni al Sud e vi si stabilì prestissimo. Dal suo quartier generale di Potenza coordinava e dirigeva le operazioni su un vasto teatro militare, che comprendeva la Basilicata, i Principati, la Terra d’Otranto, la Terra di Bari, la Capitanata e la Calabria; nove province, quasi i tre quinti del Regno. Un vasto territorio per il quale Manhes aveva avuto la consegna di non dare scampo alle bande.

“Il generale Manhes lasciò dunque le Calabrie (…) e fissò il suo quartiere generale a Potenza, punto centrale del suo vasto comando, per essere più a portata di vigilar e seguir da presso tutte le operazioni che disponeva e trar vantaggio dalla esecuzione dei suoi ordini”.

E Potenza, che era stata vittima di Taccone, come accolse Manhes e come si dispose al nuovo ruolo di quartier generale della guerra ai briganti meridionali del tempo?

“Appena giunse nel capoluogo della Lucania, Manhes provò vera consolazione di veder tutto cangiare di aspetto e come per incantesimo. Tutte le autorità ecclesiastiche, civili, amministrative, militari, le intere popolazioni furon animate dallo stesso spirito…”.

Non c’è affatto da meravigliarsi dello spontaneo e convinto sostegno della popolazione di Potenza al generale Manhes. Esattamente cinquant’anni dopo, con De Rolland e Chabet, ufficiali sabaudi dal cognome francese, accadde la stessa cosa. Soprattutto, in quella famosa notte del 16 novembre 1861, menzionata in apertura, una notte considerata cruciale da molti studiosi e narratori del periodo post-risorgimentale (Molfese, Alianelli ecc.) e del brigantaggio nel Mezzogiorno; la notte del mancato assalto e, quindi, della mancata conquista di Potenza da parte delle truppe brigantesche. Tornando a cinquant’anni prima, fu grazie a Manhes che i potentini si vendicarono del feroce brigante di Laurenzana. Taccone fu braccato dagli uomini di Manhes al punto tale che i suoi uomini cominciarono ad abbandonarlo perché capirono di non aver più scampo. Alla fine, Taccone fu catturato e portato a sfilare per le vie di Potenza. Fece quella volta un ingresso nella città capoluogo molto diverso da quello che aveva avuto solo due mesi prima. E già; erano passati soli due mesi da quando il brigante aveva condotto il suo oltraggio alla città. Taccone fece il giro della città trascinato su un asino la cui coda gli serviva come briglia. Il suo capo era coperto da una mitera, un copricapo con due corna sulle quali si leggeva a caratteri cubitali: “Questo è l’infame e crudele assassino Taccone”. E così Taccone venne condotto al patibolo. Intanto dopo aver mandato al patibolo Taccone. Manhes si portava avanti col suo piano ed il 9 aprile del 1811 emanò, sempre dal suo quartier generale di Potenza, un ordine che sparse il terrore e lo sgomento; non solo in Basilicata, ma in tutte le province meridionali sottoposte al suo comando. L’ordine seminò così tanta paura che le stesse autorità militari dovettero affrettarsi a rassicurare gli onesti regnicoli. Quell’ordine però fu anche il segnale definitivo inviato a chi lavorava nelle campagne. Furono proprio dei contadini, sia atterriti dalla minaccia di punizioni di Manhes (minaccia inesorabile), sia dalle promesse di guadagno (sulla testa di Quagliarella c’erano mille ducati di taglia voluta da Manhes, che facevano tanta gola e che Manhes, uomo incorruttibile e disinteressato al denaro, pagava regolarmente a chi eliminava i briganti), a determinare la fine di Quagliarella. Alcuni contadini del paesino di Ricigliano, in provincia di Salerno, lo presero e lo ammazzarono e dunque portarono il cadavere del brigante Quagliarella al suo quartier generale, a Potenza. Quagliarella fu trovato che aveva addosso l’uniforme che aveva strappato al De Gambs. Manhes la recuperò e la consegnò al padre del militare ucciso dal brigante e nel riconsegnare alla famiglia l’uniforme aggiunse che l’assassino aveva pagato con la vita l’orrore dell’umanità oltraggiata. La scena della riconsegna della uniforme fu molto straziante. In ben poco tempo il generale fece terra bruciata intorno ai briganti, che venivano abbandonati dai loro stessi accoliti, dai protettori che avevano nei paesi e dai contadini.

“Da Potenza il generale Manhes vegliava sulla esatta esecuzione dei suoi ordini nelle altre province”.

Il re Gioacchino Murat teneva Manhes nella più grande considerazione e gliene dette prova il 28 febbraio del 1812 nominandolo primo ispettore della Gerdarmeria. In quella occasione, il generale Exclemans. suo grande amico, sotto l’impulso di Murat, scrisse a Manhes mentre quest’ultimo si trovava ancora a Potenza. Nella lettera, il generale Exclemans gli riferiva che il re considerava la carica di primo ispettore di Gendarmeria come una delle prime e delle più interessanti del Regno. Manhes restò a Potenza fino alla fine del mese di febbraio del 1812. Poi, avendo sostanzialmente adempiuto totalmente al suo compito, si recò a Napoli per assolvere alle sue nuove funzioni. Egli riteneva che dopo l’eliminazione di Quagliarella non solo la Basilicata ma tutto il Regno di Napoli potesse considerarsi ormai al sicuro. Il quartier generale di Potenza, dopo che il generale aveva esaurito e compiuto brillantemente la sua missione, venne chiuso. Per finire una curiosità; solo a Potenza esiste una via dedicata al generale Manhes. Non ve ne sono altre; né nel resto del Sud, né nella sua città natale di Aurillac, in Francia.

PINO A. QUARTANA

 

Nella foto; ritratto del generale Charles Antoine Manhes ad opera del pittore milanese Andrea Appiani, uno dei più grandi pittori italiani del 1800.

 

 

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