In questo numero di Potentia Review pubblichiamo una ricerca di un gruppo di studentesse universitarie della Unibas coordinate dal Prof. Ing. Antonello Pagliuca all’interno del corso di “Progettazione Tecnologica dell’Architettura”. Il gruppo, composto da studentesse Lucane e Pugliesi, si è inoltre avvalso della consulenza dell’Architetto Roberto Pontolillo, consigliere dell’ordine degli Architetti della Provincia di Potenza […] Le studentesse sono: Vittoria Ditaranto, Rossana Latorrata, Martina Morelli, Fabiana Piccininni e Gabriella Pietrafesa.
L’Ex Biblioteca Provinciale di Potenza si colloca a sud di Piazza XVIII Agosto e precisamente lungo i margini della scarpata che si affaccia a valle dell’attuale Corso Garibaldi. L’architetto genovese Ernesto Puppo, incaricato del progetto, interpretò coraggiosamente le richieste della committenza. Non è sicuramente un compito agevole quello di progettare una odierna struttura immediatamente al di fuori della città storica benché priva di un tracciato geometrico regolare; l’edificio della Biblioteca Provinciale ci appare come un organismo straordinariamente unitario. E’ situato in luogo strategico in quanto in prossimità del centro storico (Via Pretoria) e quindi nelle immediate vicinanze del centro amministrativo dell’epoca. Con il decentramento del polo amministrativo verso la periferia, la città di Potenza ha risposto alla necessità di offrire nuove infrastrutture che collegassero i nuovi centri con la vecchia città.
Il nostro architetto, seduto difronte al tavolo, il foglio in bianco e la matita alla mano, pensa. Appena comincia ad abbozzare una pianta, una moltitudine di omini si arrampicano per i bordi del tavolo. Si avvicinano formando un cerchio attorno al disegno; si siedono sopra la gomma, sopra il righello, sopra il compasso. Guardano attentamente come la pianta va prendendo forma. Uno di loro si alza e rivolgendosi all’architetto, dice: scusa, l’ufficio del bibliotecario dov’è? L’architetto la indica. L’omino, dall’ingresso attraversa la pianta fino al suo ufficio, entra. Si guarda intorno e non sembra esser soddisfatto; desiderava il suo ufficio un poco più ampio. Un colpo di gomma e una traccia di matita lo soddisfano. Vorrei anche un’altra finestra. E l’architetto dice: ‘Non posso’ e nel margine del foglio disegna una rapida prospettiva mentre l’omino osserva con attenzione. Nel frattempo, un altro avanza, anche lui tiene una richiesta. Avanza un altro ancora che tiene il suo. E un altro. E un altro. Tutti assaltano il tavolo vociferando. Un paio prova, caricando la gomma, ad aprir una nuova finestra … alla fine l’architetto, visibilmente infastidito, spazza via tutti in un angolo del tavolo come briciole di pane. Li rimprovera.: tutti voi avete ragioni valide che ascolterò di buon voglia, però uno alla volta per carità!.Scena veloce di lavoro in uno studio: disegnatori, strutturista, prospettivista, modellista… il Progetto è pronto.
Scena reale, con alcuni degli omini della scena precedente, ora in scala naturale, ai quali l’architetto spiega il progetto nei disegni e nei modelli. Cantiere in azione, l’architetto discute i dettagli, gli operai, i tecnici e pittori lavorano. Edificio terminato. L’architetto accompagna gli uomini, ora per davvero, nella visita. Tutti sono soddisfatti, specialmente il bibliotecario che ha ottenuto due finestre! Questo frammento è parte di un manoscritto di Puppo, che può collocarsi tra il 1942 o il 1943 approssimativamente. È la prima bozza di un film intitolato “La función del arquitecto en la sociedad moderna”. Ci sono tre versioni, tutte diverse, di film, che sono molto utili per capire il pensiero dell’architetto. Però questa, che è la meno cinematografica, è anche la più fresca, la più divertente. Per quanto insolita sembri è piena di riferimenti ad un’opera, la principale che Ernesto costruì in Italia: la Biblioteca e l’Archivio di Potenza, del 1937.
Il grazioso omino che tira per la manica l’architetto, non è altro che Sergio De Pilato “illustre cultore della storia locale”, direttore della biblioteca che, da sempre, lotta per locali illuminati, senza umidità, custode di una ricca eredità di libri antichi e documenti che le famiglie patrizie della regione hanno ceduto o donato alla biblioteca. Nel 1936, per una somma ridicola la provincia comprò da un privato un terreno ubicato sulla cima di un margine, sopra Corso Garibaldi per posizionare la nuova Biblioteca. L’opera tecnicamente complicata per una topografia particolarmente esigente, fu diretta dall’ingegnere Mario Andreoli. Il cantiere ebbe problemi per la mancanza di materiali per costruire le parti di cemento armato molto presente nell’insieme. Per questo, si utilizzò ferro liscio e cemento di produzione locale, di scarsa qualità e perfino pietra agganciata con speciale perizia tecnica. Il progetto non fu facile da risolvere e lo provano le distinte varianti che si vedono nei disegni. Alla modernità dei primi schizzi, seguirono i successivi adeguamenti dovuti a problemi tecnici, dalle necessità che incontravano dopo che i primi venivano risolti, per questo sono tanto presenti nella pianta originale. Il progetto finalmente si cristallizza nell’idea di un deposito centrale con accesso a differenti livelli. Il gran salto di quota del terreno, permette di distribuire i due fronti in modo completamente distinto e l’architetto sfrutta la differenza di luce per organizzare le sale di lettura con illuminazioni selettivamente condizionate; un fronte al nord, l’altro al sud. Le relazioni con gli edifici esistenti al momento della costruzione, oggi si sono perse, dovute ad una gran cambiamento dell’intorno. Le fotografia che vanno dal 1938 alla fine del ventesimo secolo sono eloquenti.
Le difficoltà per ottenere i materiali proposti nel disegno originale, attestano e spiegano la gran quantità di varianti presenti nell’archivio di Puppo, nella quale sono mostrate le numerose soluzioni. Per esempio, il fronte ad ovest ha avuto una proposta di un’assoluta modernità: un reticolo quadrato, realizzato con pilastri e travi di cemento. Si vede appena un ombra che marca la profondità del reticolato. È un’apologia del cemento armato e un’apoteosi della maglia strutturale che si converte in forma. Era necessario molto coraggio! È l’estetica degli edifici industriali, applicata ad un edificio rappresentativo. Fu in verità un peccato che tanta onestà non potesse giungere ad alcun accordo con l’abituale, sobriamente falsa, retorica fascista.
Il Progetto definitivo
In coerenza con lo stile Razionalista, l’architetto gioca con le forme e la modularità che non denuncia la reale struttura interna e mostra un’apparente configurazione semplice quando in realtà è più complessa. Confrontando le facciate est e quella ovest, la seconda è aperta a gran vista, mentre la prima offre solo tre eleganti aperture orizzontali di scarsa altezza. Quest’ultima scelta è scaturita dall’ importanza dello studio sulla luce fatto dall’architetto che afferma: “La luce deve arrivare dalla sinistra ed è buono evitare che arrivi molta luce dalla destra, o una luce forte che produce ombre molto dense, così che deve preferirsi una luce zenitale”. Questa è la ragione per la quale l’architetto abbassa la striscia inferiore delle finestre del secondo piano al fine cioè di far cadere la luce dall’alto. In questo settore, la sala di lettura si completa con la luce artificiale dal tetto, pitturato nero, opportunamente abbassato così che la fonte si avvicini al tavolo di lettura. Però, nel lato opposto a Corso Garibaldi, nella grande sala di lettura del secondo piano, la luce artificiale non era necessaria. L’architetto disegnò finestre tanto grandi come poterono prodursi, dal bordo dei pilastri portanti, e la luce “dovrà solo esser portata idealmente per mezzo dell’elegante soffitto curvo bianco che si incrociava con quello inferiore nero che integra con la luce artificiale.”
Nelle facciate nord e sud invece la principale differenza è data dalla presenza del bugnato nella prima. Questa scelta è giustificata dalla ricerca di coerenza con il Palazzo Mattia situato nelle vicinanze. Il risultato è che questa facciata adotta una forma svasata aprendosi alla base. Osservando le diverse piante e le variazioni subite nell’evoluzione del progetto, l’architetto ha dovuto rinunciare ai pilotis dell’ultimo piano, all’ascensore e ad altre aperture vetrate in seguito ad una maggiore conoscenza del contesto ambientale (elevato rischio sismico) e climatico dell’Appennino Lucano. La Biblioteca di Puppo è un architettura logica, chiara, semplice. È singolare che ogni misura sia un multiplo della distanza tra gli assi degli scaffali. Nel deposito di libri dove si elevano otto piani, la fiancata delle sale di lettura e consultazione; il comune denominatore è di 1,52 m. e nel fronte si leggono i pilastri collocati con questa breve distanza.
Nell’ala degli uffici tra gli assi la misura si raddoppia a 3,04 m. e si triplica nella sala di lettura a 4,56 m. L’altezza si mantiene a 2,66 m. per il primo piano e di 2,27 m. per i piani dal 2° al 7°, ampliandosi a 2,85 m. all’ottavo. Tre piani di depositi di libri equivalgono a due di quelli degli uffici. Nell’archivio, Puppo si trova il piano del livello più basso della biblioteca, dove i pilastri sono collocati esattamente negli assi degli scaffali. Dai primi bozzetti del progetto sembra che l’architetto si sia lasciato influenzare dal progetto per la Biblioteca Nazionale Svizzera a Berna degli architetti Alfred Oeschger, Emil Hostettler e Josef Kaufmann del 1931. L’ingresso è situato nel corpo mediano dell’edificio suddiviso in tre parti distinte: il primo ospita i servizi amministrativi, il secondo un lungo corridoio trasversale e il terzo le sale destinate al pubblico. Per quanto riguarda la parte amministrativa abbiamo una costruzione a tetto piano con due livelli e un seminterrato. La costruzione poggia su una cornice i cui pilastri, integrati nella facciata, non sporgono come nelle opere di Le Corbusier. Gli architravi delle finestre e le pareti in origine erano in pietra arenaria di Bulle e le finestre a tre battenti in legno. Il corridoio che collega i diversi corpi edilizi è stato creato abbastanza ampio in modo da ospitare mostre temporanee. Le stanze destinate al pubblico sono caratterizzate dalla loro totale trasparenza: l’ideale di “habitat liberato” di Giedon trova qui la sua piena espressione. La luce del giorno, diffusa dal soffitto, rafforza ancora di più l’impressione di spazio e chiarezza. Inoltre, una delle sale di lettura si apre su una terrazza illuminando con luce naturale la sala. L’architetto decide così di progettare delle sale di lettura spaziose e illuminate dalla luce naturale così da poter evitare l’uso delle luci artificiali.
Confronto tipologico
La ex Biblioteca Provinciale di Potenza può essere messa a confronto con il processo progettuale dell’edificio della Banca di Lavoro italo-latinoamericana di Montevideo (Uruguay), un’altra grande opera di Puppo, processo che copre diversi anni, durante i quali Puppo ha fatto varie proposte, fino a raggiungere ciò che è stato finalmente costruito. La proprietà che occupa questo edificio, era precedentemente costituita da due lotti, in cui erano costruite due costruzioni di dimensioni diverse. L’edificio principale, situato a sud, a due piani progettato nel 1898 dall’architetto inglese John Adams presentava una tipologia tradizionale della città vecchia della fine del XIX secolo: un piano terra libero, con locali commerciali e residenze nobili all’ultimo piano. Le piante appartengono al tipo di patio con cortile centrale (sia quello principale che quello di servizio).
L’organizzazione simmetrica dell’edificio mostra una modulazione delle colonne in ghisa del piano terra, che consente di garantire che Puppo non sostituisca completamente l’edificio progettato da J. Adams, poiché la modulazione delle colonne del piano terra dell’edificio attuale corrisponde esattamente con quelli dell’edificio originale. Ma oltre a questa coincidenza, Puppo ha lasciato in vista una delle colonne originali in ghisa – non rivestite -, forse come testimonianza, dal momento che ha progettato gli accessi a diversi uffici successivi, attorno a questa colonna. L’intenzione di preservare l’originale è confermata dall’osservazione di uno dei primi schizzi di facciata, in cui Puppo conserva la facciata completa dell’edificio Wilson, che è avvolta dai nuovi settori dell’opera da costruire. Questa posizione potrebbe essere interpretata come un modo molto moderno di risolvere una nuova costruzione, partendo da un edificio che ha un particolare valore architettonico, inserito in un contesto di costruzioni simili in termini di qualità e costruzione. Le altezze interne del piano terra e del primo piano sono state mantenute nel nuovo edificio, al quale è stato aggiunto un altro piano nella sua area frontale. In questo modo l’edificio che ne risulta viene trasformato all’esterno in un’opera moderna in cui predominano le linee orizzontali della composizione, in una grande tenuta le cui proporzioni non sono quelle tradizionali nella città vecchia di Montevideo. Entrando al piano terra dell’edificio, il contatto è fatto con un grande spazio, in cui i principali protagonisti sono le potenti colonne scure, il rivestimento laterale con rivestimento in pietra scura a destra, e una scala circolare unica che sembra essere “appesa” dal recinto superiore.
In breve, Puppo ha concepito un edificio da un ritegno esistente alcune delle sue caratteristiche originali, ma ottenendo una concrezione in cui le ricerche vanno al di là delle solite proposte moderne negli anni ‘60, l’integrazione di materiali, ornamenti e linee guida di progettazione apprezzano il fatto che sono un contributo prezioso nel contesto dell’architettura della città vecchia di Montevideo.
Tecnologia costruttiva
L’edificio a pianta regolare si sviluppa su otto livelli, più uno interrato dato dal il salto di quota. Il fabbricato ha una intelaiatura in c.a. con solaio a nervature incrociate, tipo Diagonal-Cavallazzi. Il solaio presenta delle nervature incrociate con una variante data dall’inclinazione a 90°. E’ costituito da pignatte di spessori variabili da 16 a 40 cm, combinati per formare degli elementi regolari tra i quali si interpongono le armature che costituiscono le nervature. Il diametro dell’armatura dei travetti è di Ø 16 mm, la soletta di 5 cm. Le strutture di fondazione sono collegate da travi di fondazione tali da assicurare un collegamento tra tutti i pilastri. Sono composte da plint i 2 . 2 0 m x 2 . 2 0 m . Le chiusure orizzontali, costituite da una muratura a cassetta con camera d’aria variabile, sono composte da mattoni pieni nel paramento esterno e mattoni forati nel paramento interno. L’esterno invece ha un rivestimento in travertino. I collegamenti verticali sono costituiti da scale con travi a ginocchio in calcestruzzo, rivestite da piastrelle in gres con parapetto in legno e vetro. A quota -13.79 si trova il rifugio antiaereo interrato di forma rettangolare, che riceve aria esterna da una serie di aperture a “bocca di lupo” poste sul lato lungo. Al secondo livello, quota -9.60, i locali hanno affaccio diretto sull’area di pertinenza del fabbricato su tre lati, il quarto invece risulta totalmente interrato. Il pavimento è in marmette pressate di cemento. Gli infissi hanno profili in ferro finestra tipo “ILVA” con un’apertura tipo “vasistas” appositamente progettate dall’Architetto Puppo.
Il piano terra, quota 0.00, ha accesso diretto sul fronte stradale (via Garibaldi), ed è il piano di ingresso della Biblioteca. Presenta una lieve gradinata ed un ampio portone in legno, che immette in un androne caratterizzato da una scala monumentale. La prima rampa di quest’ultima è nobilitata dalla presenza di un mosaico raffigurante simboli tipici dell’epoca fascista. Sempre a livello strada un leggero salto di quota delimita una terrazza con vista sulla vallata. Il piano primo, a quota +4.50, è organizzato in una serie di ambienti, un tempo destinati probabilmente agli uffici. A quota +9.00 troviamo un’ampia sala per riunioni e convegni, affiancata da una serie di ambienti di rappresentanza. A quota +13.50 si interrompe il corpo del fabbricato con la scala, che raggiunge la grande terrazza di copertura dove sono localizzati una serie di locali di sgombero. Da qui la torre si libera dal fabbricato, sviluppandosi per circa dieci metri. Gli ultimi livelli della torre si sviluppano in modo omogeneo, probabilmente in virtù della loro funzione di deposito.
Fondazioni a plinti isolati e c.o.b.
I plinti realizzano il trasferimento al terreno di fondazione dei carichi provenienti dalle strutture in elevazione. Le loro dimensioni vengono ottenute in modo da ridurre le tensioni presenti alla base delle strutture in elevazione (pilastri e pareti) ai valori consentiti sul terreno. Fondazioni a plinti isolati sono in genere adottate quando:
- il terreno di fondazione presenta discrete caratteristiche meccaniche e pertanto non sono da attendersi apprezzabili cedimenti;
- l’entità dei carichi provenienti dalle strutture in elevazione non danno luogo a strutture di fondazione eccessivamente grandi.
“I solai a nervature incrociate sono una variante degli orizzontamenti in conglomerato cementizio che si diffondono in Italia a partire dagli anni ‘30, nei quali la parte superiore è collaborante. I travetti sono posti in modo ortogonale a formare una vera e propria maglia. Questa tipologia di solaio, a parità di luce e di altezza, ha una resistenza superiore agli altri e garantisce un appoggio su tutti i muri perimetrali contribuendo in modo significativo alla solidarizzazione dell’intera apparecchiatura strutturale. Il Diagonal-Cavallazzi era usato per piante rettangolari per cui le nervature assumevano un andamento diagonale a 45 gradi”.
Elaborato tecnico
muratura in laterizio a cassetta
Il sistema della muratura a cassetta, è costituito da due pareti separate da una camera d’aria al cui interno può essere inserito uno strato isolante. La parete più esterna è più pesante ed ha una dimensione maggiore, mentre la parete interna, più leggera, ha uno spessore minore. La parete esterna è realizzata con mattoni o blocchi pieni o forati, disposti ad una o a due teste. La superficie esterna può essere intonacata o lasciata a vista, oppure finita con vari rivestimenti. La parete interna è di solito di mattoni forati posti in foglio. Le ferrofinestre di tipo “Ilva” presentano più sezioni per ogni nodo, dovute al diverso impiego dei profilati, alla grandezza del serramento ed al criterio costruttivo. I nodi perimetrali portano la distanza fra il bordo del vetro e l’esterno del profilato, dove è riferita la maggiore misura dell’infisso, mentre i nodi intermedi portano la distanza fra i bordi di due lastre contigue. Le distanze variano con la grandezza del profilo. Le misure delle lastre di vetro danno la distanza tra i diversi nodi; in conseguenza la misura totale di un infisso è data dalla somma delle grandezze delle lastre (variabili) e delle grandezze (fisse) dei nodi. I profili utilizzati per la tipologia di finestra vasistas sono SV2, SV1, SV5 ed SV6.
Bibliografia
LIBRI DI TESTO
1. Direzione editoriale: Viñuales Graciela María; Coordinazione: Gutiérrez Ramón;
ARQUITECTO ERNESTO PUPPO (1904-1987) SU OBRA EN ITALIA, ARGENTINA Y URUGUAY
Facultad de Arquitectura Urbanismo y Diseño – Universidad Nacional de San Juan, CEDODAL, 2014.
2. Giambersio Valerio, Guida all’architettura del Novecento a Potenza, Potenza, Libria, 1995, p.72-75
3. Antonello Pagliuca, “L’architettura del grano a Matera: il mulino Alvino.
Frammenti di tecnologie costruttive del ‘900”, Giangemini editore, 2016, pagina 232
ARTICOLI/INTERNET
1.Roberto Pontolillo, L’AVANGUARDIA ARCHITETTONICA A POTENZA: ERNESTO PUPPO, 2017, http://www.potentiareview.it/2017/06/15/lavanguardia-architettonica-potenza-ernesto-puppo/
DOCUMENTAZIONI
1. Archivio Storico del Comune di Potenza, cartella 1392, fasc. 9b
2.Archivio della Provincia di Potenza, busta 105,106,107,108,110, anno 1993
3.Archivio di Stato, Potenza, CAT 24, sezione 1, n. 125,857, anni 1950/1952, p. 75-84;