Un reportage da Potenza del 23 ottobre 2007, esattamente dieci anni fa, in piena Woodcockmania (la città era in quel periodo ogni giorno sotto i riflettori di tutta la stampa e delle televisioni nazionali per l’inchiesta su Vallettopoli) portava l’inviato del quotidiano ‘La Repubblica’, Filippo Ceccarelli, a riesumare una vecchia e forse poco conosciuta leggenda negativa su Potenza. “Potentia Romanorum hic nos relegavit, pare fosse scritto su un’epigrafe alle porte dell’ antica Potenza, o Potentia che fosse. Il potere dei romani ci ha confinati in questa landa. Sottinteso, per nostra colpa e sventura: vicende legate alle guerre italiche e conseguenti deportazioni. Va da sé che i fieri abitanti del capoluogo della Basilicata non accettano di collegare l’origine della loro città a un luogo di pena. Ma ecco che a sancire una bimillenaria rivincita quella leggendaria fondazione torna d’attualità”. Potentia Romanorum a volte è stata intesa anche in un altro senso, che non cambiava però granché il succo della tramandata leggenda negativa; Potenza dei Romani qui ci relegò, ci confinò, dove ‘potenza dei romani’ non sta come sostantivo, ma come nome proprio per indicare la città. Potenza dei Romani poteva anche indicare che la città era di fondazione romana (in realtà, non è neanche così) e che era una città romana. Comunque, cambierebbe poco. Il fatto è entrato di diritto nella costruzione dell’immaginario antipotentino, costruzione coltivata ed amplificata in particolar modo da molti basilicatesi, i veri e soli detrattori di Potenza. Questa storia della origine di Potenza come landa desolata adatta unicamente come colonia penale ha trovato molti ed interessati cultori e propagandisti. I basilischi, materani e non, ci hanno sguazzato sopra a lungo per colpire l’odiata città di Potenza ed esaltare le ‘nobili’ origini della propria. Ma a parte le intenzioni, come è accaduto per tanti altri luoghi comuni antipotentini, il fatto che conta davvero è che tali luoghi comuni o tali rappresentazioni sono passati senza colpo ferire nell’immaginario della gente, che ha sempre preso per buona la storia del ‘Potentia Romanorum huc (o hic) nos relegavit”. Ebbene, che dire? Come abbiamo già fatto con tante altre storie e con tanti altri luoghi comuni antipotentini spacciati per verità rivelate ed indiscutibili anche questa volta vi diciamo che si tratta di una ‘bufala’; è un falso storico. Già nell’ormai lontano 1907, Giacomo Racioppi, il più grande storico lucano, si incaricava con una lettera aperta inviata al direttore del periodico ‘Il Lucano’, Francesco Corbi, e pubblicata sullo stesso periodico, di demolire la falsa e denigratoria leggenda:
“Pregiatissimo sig. Direttore, fare proprio a Lei bisogno di sfatare, oggi ancora, la vecchia leggenda del – Potentia Romanorum huc nos relegavit -, una goffa leggenda di una erudizione barbogia se fu pronunziata in buona fede, e se non fu che un epigramma, leggenda dal dardo maligno. Un alto magistrato del vecchio Governo, venuto di mala voglia dai soli di Posillipo alle raffiche della valle basentina, sfogò il malumore delle aspre giornate, trascorse male accoccolato sul braciere asfissiante, nell’epigramma archeologico in quistione. Egli era un uomo dotto perché leggeva ordinariamente il suo Tacito, e si diceva a tempo perso, discepolo di Mazzocchi. E l’epigramma, passato sì o no, in titolo di storia … clandestina, restò fioretto archeologico alle schermaglie delle bizze municipali. Tale l’origine della leggenda”.
P.A.Q.
Nella foto; una epigrafe romana a Potenza. In realtà, l’epigrafe di cui parla la leggenda e che viene ancora riportata anche da quelli che dovrebbero essere seri organi di stampa non è mai esistita.