Nel 1936 la Cooperativa Muratori e Cementisti di Ravenna risultò vincitrice dell’appalto concorso bandito dall’Amministrazione provinciale di Potenza con il progetto dell’architetto Ernesto Puppo per la costruzione della Biblioteca Provinciale di Potenza. L’edificio, appaltato nel 1936, cominciato nel 1937 e terminato nel 1939, costituisce una delle più pregevoli testimonianze dell’architettura del Novecento a Potenza nonché l’opera più importante di colui che è stato una archistar dell’epoca; Ernesto Puppo, appunto. Con questo articolo comincia la collaborazione a ‘Potentia Review’ di Roberto Pontolillo, architetto e membro del Consiglio Provinciale di Potenza dell’Ordine degli Architetti.
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L’edificio della Biblioteca Provinciale di Potenza da anni in corso di ristrutturazione fu costruito nel 1937 ed è firmato Ernesto Puppo (Genova 1904 – Barcellona 1987), uno dei fondatori del Movimento di Architettura Razionale-Gruppo Roma, grafico di rilievo, designer, scenografo, urbanista ma soprattutto architetto. Puppo è stato celebrato con una poliedrica mostra all’Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires. Egli è stato uno dei pochi architetti a fungere da nesso tra il Futurismo, in cui è nato, e il Movimento Razionale (il razionalismo). E finché rimase in Italia, futurista lo restò, seppure in parte. Già nel P.R.G. del 1928 di Potenza si ravvisava la necessità “di una degna sede centrale e costituita con moderni criteri” per una struttura pubblica di notevole importanza come la Biblioteca Provinciale di Potenza, fino a quel momento relegata in “due piccole sale umide (…) e poco luminose”. E perciò proprio il suddetto piano prevedeva la costituzione ex novo di un “edificio pel Museo e Biblioteca, da edificarsi a Piazza Mario Pagano secondo il tipo di massima allegato”. Queste buone promesse furono disattese, ma non completamente poiché si decise di collocare l’importante edificio a sud di Piazza XVIII Agosto e precisamente lungo i margini della scarpata che si affaccia a valle dell’attuale Corso Garibaldi. L’architetto genovese Ernesto Puppo, incaricato del progetto, interpretò coraggiosamente le richieste della committenza. Non è sicuramente un compito agevole quello di progettare una odierna struttura immediatamente al di fuori della città storica benché priva di un tracciato geometrico regolare; l’edificio della Biblioteca Provinciale ci appare come un organismo straordinariamente unitario. Proprio a questa compattezza si riferisce il progettista realizzando un edificio marcatamente asimmetrico e composto dal raggruppamento di tre volumi che si intersecano tra di loro nella ricerca di una continuità con le cortine murarie retrostanti e, nello stesso tempo, di una moderna differenziazione simulando palesemente un fascio littorio schematizzato.
Paradossalmente, l’imponente intervento ci appare come il frammento di un’antica cortina muraria, avamposto della città medievale alla cui guardia è posto uno dei tre volumi, molto più alto degli altri due, trasfigurazione, vuoi per l’altezza, vuoi per l’assenza di bucature, di un’antica torre. Anche la differenziazione delle aperture è tutta volta a creare una sorta di mimetismo con l’irregolarità dei prospetti nei confronti della città preesistente: i modernissimi finestroni, in parte incassati, a volte formano dei ritmi ternari, poi si raddoppiano, fino a diventare un’unica fila verticale. Si trasformano, quindi, in eleganti aperture a filo di parete, antesignane di un moderno grattacielo, e sono inquadrate da una sottile cornice di marmo nel fronte principale, diventando alte e strette oppure basse e larghe, alla continua ricerca di un equilibrio compositivo che utilizza paradossalmente i canoni della geometria classica per aderire ad un ambiente che, al contrario, sembra non avere alcuna regola. A tutte queste varietà, di forme e di volumi, che condizionano il suo aspetto esteriore, si contrappone un’organizzazione distributiva interna molto rigorosa.
L’ingresso, posto su Corso Garibaldi, serve direttamente una scala monumentale che dà l’accesso a ogni piano, diviso in “Uffici” e attualissime “Sezioni” tematiche. Degna di menzione è sicuramente la sala dell’”Auditorium”, all’ultimo piano del più basso dei tre corpi di fabbrica, illuminata da una sottile apertura a nastro e dai tre finestroni che guardano a valle verso il Basento. Le superfici esterne della struttura furono trattate principalmente con intonaco, ma prevedevano anche l’utilizzo, per uno dei blocchi, di lastre di marmo. Sono ancora presenti, a coronamento della torre, le sette aquile imperiali in bassorilievo, simbolo del potere politico, mentre non più presenti (ovviamente) i tre fasci littori sul lato corto della ”Torre” lungo Corso Garibaldi.
ROBERTO PONTOLILLO