TOMMASO PEDIO, UNO STORICO ANTICONFORMISTA

Ripubblichiamo nella sezione ‘Reprint’ un articolo di Lucio Tufano pubblicato sul periodico ‘Lucania Finanza’ (di cui ‘Potentia Review’ detiene i diritti di ripubblicazione) nel numero di dicembre 2001. Lo facciamo in esatta coincidenza con l’anniversario della morte di Pedio. Nacque a Potenza il 17 novembre del 1917 e morì, sempre a Potenza,il 30 gennaio del 2000. Quindi, pubblichiamo questa ricostruzione della figura di Pedio fatta da Tufano proprio nel giorno del 17° anniversario della sua scomparsa. è stato uno storico potentino ma anche un saggista, un docente universitario ed un avvocato. Era nipote di un grande potentino come Ettore Ciccotti. E’ stato autore di una bibliografia sterminata ma quasi tutta dedicata a Potenza, al tema del brigantaggio ed alla questione meridionale.

Non era nato per fare lo storico – annota uno dei suoi migliori biografi – ma gli eventi che si susseguirono a partire dal 25 luglio 1943 e gli insegnamenti del suo prozio Ettore Ciccotti gli fecero capire come il trasformismo politico si verificava in una serrata logica vichiana, con la medesima veemenza di come si era anche verificato nei giorni dell’Unità d’Italia: il disinvolto passaggio della classe dirigente dai posti di comando del Fascismo in quelli della nascente democrazia. Fu per questo motivo che osservare il passato gli avrebbe consentito di individuare le cause dei vizi e dei mali cronici del Mezzogiorno. Fu così che dalle carte accatastate in armadi polverosi, negli oscuri meandri degli archivi della Prefettura, iniziò la sua alacre attività di ricercatore, di storico delle classi e dei ceti del passato. Figlio di Edoardo Pedio, professore del Liceo Classico di Potenza, trasferito per ordine del Regie fascista a Gela in Sicilia per aver partecipato al funerale di Ettore Ciccotti nel maggio 1939, è stato un emerito ed importante esponente di una famiglia notoriamente antifascista. Riformista, anarchico, socialista critico e polemico, Tommaso Pedio non tollerò mai compromessi ed opportunismi dei quali si andava man mano avvelenando la vita politica. Ecco perché egli volle capire le ragioni della lunga vicenda meridionale, spinto dalla curiosità per il passato e dal desiderio di conoscere i fatti accaduti al fine di trarne efficaci indicazioni affinché il Mezzogiorno potesse segnare la sua rinascita. Fu Ettore Ciccotti che spiegò a suo tempo come la storia moderna del Meridione fosse dominata dal ‘parassitismo elevato a sistema, tale da accomunare una aristocratica plebe gallonata ed una massa cenciosa e parassitaria”. Dagli insegnamenti dell’illustre zio, comprese il nesso tra storia e politica, i conflitti di classe, il concetto della borghesia sfruttatrice, di una ‘aristocrazia emula del potere regio, ma cortigiana e bramosa di dominare servendo; non borghesia industriale, bensì legulei, rigattieri, mezzani di ogni grave misura, non popolo ma plebe … non resistenza aperta, ma adattamento divergente … Siffatto ambiente non poteva essere considerato democratico: ”Il Mezzogiorno aveva conosciuto le oscillazioni delle masse contadine (…) per converso gli isolati intellettuali d’avanguardia (…) terra di solitari con manifestazioni intellettuali personali e prive di continuità”. Di qui la sua sdegnosa tensione nel racconto, ricco di particolari, di nomi, di vicende, di date, di epopee; di qui la verve dei suoi saggi ristampati col titolo, “La Storia bandita”. Ma in tutta la produzione storiografica di Pedio vi è un modo di fare storia non ipocrita, né conformista come quella sempre insegnata nelle scuole. La sua è una storia che rivela verità ai diseredati per convincerli ad unirsi contro i padroni, i quali hanno sempre ignorato i patimenti della popolazione contadina. Il suo metodo, che pur risente della lezione marxiana e del movimento operaio socialista, non coincide con il gramscismo, del quale pur recepisce il messaggio contadino, né, tantomeno, con il leninismo. La sua estraneità ad un indirizzo ortodossamente marxista e ad un preciso tipo di scuola e la sua posizione anticrociana non gli sono stati di impedimento affinché egli conquistasse una cattedra universitaria (insegnava Storia all’Università di Bari, infatti), una dignità professionale ed un ruolo di alto livello nel campo degli studi storici meridionali e lucani. Nonostante tutto ciò, egli veniva percepito dalle correnti dominanti della storiografia come un elemento sostanzialmente estraneo. La salveminiana curiosità di indagare su tutto ciò che è accaduto nei diversi tempi e nei diversi luoghi del Sud specialmente della sua regione, lo ha retto fino all’ultimo. Ma la sua casa di Via Due Torri a Potenza, con le stanze intasate di libri, di carte, di bibliografie, documenti, note, schede, con volumi raccolti a fascicoli adagiati sul pavimento, col computer appoggiato ad un tavolino accanto ad uno scrittoio invaso da carte ed appunti, con i cassetti pieni di pezzi scritti su fogli sparsi, con gli scaffali stracarichi di libri e di cartelle, la cui collocazione era sempre ben viva nella sua mente perché se ne potesse servire al momento opportuno, è lì che aspetta un suo definitivo riassetto. Il suo lavoro quotidiano era intercalato dalle tazzine di caffè che di tanto in tanto si approntava e che di rado, dopo una fumatina, abbandonava per uscire in Via Pretoria ad incontrare gli amici. La sua immensa produzione non ha mai rinunciato a corroborare la pura e, a volte, arida ricerca dei fatti e degli eventi con le sue peculiari riflessioni sul Mezzogiorno e sulla Basilicata. Quando eravamo ragazzi lo accostavamo all’Aretino per la sua mordace ironia, che non lo ha mai abbandonato. Ora, da amico, mi riappare spesso nel ricorso mentre mi sollecita a fare due passi con lui. Lo vedo ancora aggirarsi tra pilastri di scartoffie, libri e manoscritti, lo vedo ancora soffermarsi, avido di conoscenza, su fondi d’archivio, cinque centine, su vecchi e logori testi. Tommaso Pedio ha sondato le profondità della storia, anzi, della microstoria lucana rischiarando le foschie del passato. Egli ha sorvolato i crepuscoli delle ere, delle battaglie, delle cupe tirannidi, dei regni angioino e svevo, con le ali del suo mantello aperte sui briganti, sui condottieri, sui soldati e sulle rivolte. Era impossibile sfuggirgli quando, rapito dalle immagini storiche che aveva riesumato dall’oblio perenne, parlava di remoti e sconosciuti eventi della storia lucana che egli aveva la capacità di rendere fascinosa con quella sua voce perennemente marcata dalla raucedine. Quel particolarissimo timbro vocale arrivava al massimo della sua intensità acustica quando manifestava la sua teatrale irritazione e la sua verve polemica all’indirizzo dei politici, dei partiti e dei notabili. Tommaso era anticlericale o anche ateo? Qualche mese prima di andarsene mi svelò un suo concetto di Dio; un Dio cattivo che non discute, dogmatico e terribile, un Dio genocida capace di lasciar trucidare interi popoli per mezzi di cataclismi e guerre, un Dio che non si cura di prevenire o di frenare i malvagi, un Dio che, “nella sua immensa bontà”, è responsabile di tutti gli incidenti che Egli non si cura di evitare.

LUCIO TUFANO

(Nella foto; Tommaso Pedio nel 1987)

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