La rituale passeggiata lungo via Pretoria può trasformarsi in un viaggio nel passato romano di Potenza. Alzando lo sguardo e osservando con attenzione, infatti, è possibile scorgere messaggi di pietra tramandati dagli antichi abitanti della città, piccoli ma significativi frammenti di storia e di vita quotidiana. La mancanza di scavi regolari nel centro storico, unita alla dispersione dei numerosi rinvenimenti casuali effettuati nei secoli scorsi, ci impediscono di avere un quadro preciso sulle origini e sulla topografia di Potentia. Molte, invece, sono le informazioni che possiamo attingere dalle iscrizioni, poste in origine sulle sepolture e nei luoghi pubblici della città e oggi murate in edifici privati e chiese, conservate nei musei archeologici oppure disperse ma fedelmente trascritte. Fondamentale e imprescindibile è lo studio sistematico che di esse fece il grande studioso e premio Nobel tedesco Theodor Mommsen; nel 1845 durante il suo viaggio di studio in Italia si fermò anche a Potenza dove, squisitamente accolto e assistito dalla famiglia D’Errico come egli stesso non manca di ricordare, ebbe l’occasione di esaminare e trascrivere molti testi che andarono poi perduti nel rovinoso sisma del 1857.
Iniziando questa nostra ipotetica passeggiata dall’inizio di via Pretoria possiamo scorgere, sul sito della scomparsa Portasalza, la prima epigrafe databile al II secolo d.C., un’iscrizione funeraria posta in memoria di C(neus) Papirius Claudianus. Il defunto fu scriba della res publica dei Potentini, cioè un impiegato pubblico al servizio dell’amministrazione locale. I municipi romani erano diretti, in età imperiale, da un collegio di quattro magistrati (quattuorviri) in carica per un anno; ognuno di essi aveva alle sue dipendenze numerosi schiavi pubblici e attendenti dalle svariate specializzazioni (apparitores). Gli scribi si trovavano al vertice di questo nutrito gruppo di subalterni e dovevano godere di un certo prestigio nell’ambito della comunità cittadina. Il delicato compito a cui erano preposti, cioè la redazione e l’aggiornamento degli archivi delle leggi municipali e dei conti pubblici, implicava all’inizio del loro incarico un giuramento solenne a non commettere il falso. La funzione di scriba, inoltre, rappresentava una promozione sociale per chi la ricopriva, sebbene sempre un gradino al di sotto della classe dirigente municipale. Possiamo solo ipotizzare, vista la mancanza dell’età del defunto, che questa brillante carriera sia stata interrotta dalla prematura morte di Claudiano poiché fu la madre a porre la dedica al figlio infelicissimo.
Ancora un’iscrizione funeraria è quella che scorgiamo, continuando il nostro cammino, in corrispondenza dell’ingresso laterale della chiesa di San Michele. Questa volta è un uomo, L(ucius) Afarius Memor, a porre una dedica alla sua compagna Mummia Iconio. Nel testo si fa espressamente menzione del fatto che i due non avessero contratto matrimonio, la donna è infatti definita contubernalis, un termine mutuato dal linguaggio militare (letteralmente compagno di tenda nell’accampamento) che fu utilizzato per definire un’unione di fatto tra due individui di cui almeno uno di condizione servile. Al momento della redazione dell’iscrizione (I secolo d.C.) entrambi i personaggi erano di condizione libera, tuttavia l’onomastica della donna ci fa sospettare che almeno lei in passato fosse stata una schiava.
Nei pressi della chiesa della Trinità, all’angolo tra via Pretoria e vico Bandiera, troviamo le poche righe superstiti di una stele funeraria dedicata a C(aius) Brittius Primigenius, morto a soli tre anni, dal padre omonimo. Due persone comuni ma con un gentilizio (cioè il nome di famiglia) altisonante. Si tratta forse di liberti o di discendenti di liberti di una delle più importanti e potenti famiglie senatorie della Lucania romana: i Bruttii Praesentes. Originari probabilmente di Grumentum, si trasferirono in seguito a Volcei (Buccino) giungendo a imparentarsi con la famiglia imperiale grazie allo sfortunato matrimonio tra Commodo e Bruttia Crispina.
Proseguendo il nostro cammino non possiamo fare a meno di fermarci in Piazza Matteotti, ipoteticamente identificata con l’antica area del Foro. Nel museo archeologico provinciale è conservata un’iscrizione proveniente dalla scomparsa cappella di Santo Stefano che qui sorgeva. L’epigrafe è dedicata a T(itus) Mettius Potitus, membro della corporazione dei mulattieri e degli asinai che sappiamo mettevano i propri animali al servizio dei viaggiatori e stazionavano solitamente davanti alle porte delle città. Emanuele Viggiano nella sua opera ‘Memorie della città di Potenza’ del 1805 ricorda l’antica consuetudine dei mulattieri locali di compiere, nel giorno della festività del santo, numerosi giri attorno alla cappella con i propri animali con la speranza di preservarli dalla malattie. L’ipotesi dello stesso Viggiano che la cappella sorgesse sul luogo della sede della corporazione è priva di fondamento, si può tuttavia ipotizzare un consapevole riutilizzo dell’epigrafe, in un’epoca sconosciuta, per collegare il collegium romano con questa tradizione locale.
Un’analoga volontà di conservare le testimonianze di epoca romana animò il vescovo Andrea Serrao quando, alla fine del XVIII secolo, riedificò la cattedrale riutilizzando molte epigrafi latine, solo in parte oggi conservate. All’interno della chiesa, murata nel pilastro sinistro d’ingresso della cappella dell’Immacolata, si può ancora vedere un’epigrafe in granito rosa, probabile base di una statua eretta in onore del senatore venosino Satrius Seppius Rufus. L’illustre personaggio fu scelto dagli abitanti di Potentia come proprio patronus, in modo che potesse operare in loro favore presso la corte imperiale. L’epigrafe ci riporta l’intera carriera del senatore che giunse fino alla carica di pretore; durante il tradizionale servizio militare come tribuno di legione, nei ranghi della Legio secunda Adiutrix, il giovane rampollo partecipò a una campagna contro i popoli germanici e rivestendo un comando di un distaccamento di truppe si distinse tanto da essere decorato dall’imperatore che guidava la spedizione. L’epigrafe non menziona il principe in questione, si tratta forse dell’imperatore Domiziano, colpito dopo la morte dalla damnatio memoriae per effetto della quale ogni ricordo veniva cancellato, oppure dell’imperatore Traiano anche se in questo caso l’omissione del nome sembrerebbe una circostanza strana sebbene documentata. Un’altra epigrafe è murata sulla parete esterna del transetto destro, il commovente epitaffio di una madre alla figlia, Vitalia, morta a sedici anni.
Giungendo in Largo Pignatari, all’angolo con Via Serrao, si può scorgere sulla facciata di palazzo Loffredo, un’iscrizione sacra alla dea Mefite Utiana commissionata a sue spese da M(arcus) Helvius Clarus Verulanus Priscus. Il testo è di particolare interesse per diversi aspetti. In primo luogo, ci restituisce una delle più complete carriere di un magistrato potentino ed inoltre testimonia come ancora agli inizi del III sec. d.C. fosse vivo in città il culto di Mefite. La dea aveva, a partire dal IV sec. a.C., il suo importante santuario a Rossano di Vaglio, il complesso fu abbandonato nella metà del I sec. d.C., in seguito probabilmente ad un evento franoso, ed il culto trasferito a Potentia. L’epigrafe, però, non manca di informarci di un dissesto finanziario molto antico e di un alto funzionario nominato dall’imperatore, chiamato a porvi rimedio. A partire dal II sec. d.C. gli imperatori, preoccupati di evitare il fallimento dei municipi, cominciarono ad inviare nelle città italiche e provinciali afflitte da gravi problemi finanziari dei curatores. Tale carica poteva essere ricoperta da qualsiasi buon cittadino, per cui abbiamo esempi di senatori, cavalieri e membri delle classi dirigenti municipali. La regola, per una questione di neutralità visto che il curatore doveva controllare gli appalti, le alienazioni dei terreni e degli immobili pubblici, i resoconti dei magistrati in carica, era che il funzionario appartenesse alla classe dirigente di un altro municipio. Il nostro caso, però, rappresenta un vera eccezione (insieme a soli altri cinque in tutto l’Impero, relativi ovviamente alla sola documentazione conservata). Marco Elvio Claro fu, infatti, nominato curator della res publica Potentinorum, nonostante fosse nativo della città, e benché avesse qui rivestito tutte le cariche previste dal cursus honorum municipale. Tra queste, spicca quella di questore cioè proprio di quel magistrato che aveva “il diritto e il potere di fare recuperare i fondi comuni, di utilizzarli, di custodirli, di amministrarli e di distribuirli ad arbitrio dei magistrati superiori”: in pratica il nostro Marco Elvio andava a verificare i suoi stessi conti.
Concludiamo il nostro itinerario varcando l’arco di porta san Luca. Numerose sono le epigrafi funerarie provenienti da quest’area dove sorgeva una delle necropoli, poste all’esterno dell’abitato. Una di queste iscrizioni è ancora murata al di fuori della porta cittadina, una dedica posta a una defunta il cui nome è andato irrimediabilmente perduto. Un congiunto della donna era membro di un’associazione religiosa (i sodales Fortunenses) che si fece carico delle esequie. Nel mondo romano erano diffuse queste confraternite che riunivano per lo più gente di modeste condizioni, tra cui anche schiavi, con il duplice scopo di venerare una comune divinità protettrice e di provvedere a un’onorevole sepoltura per i propri associati e per le loro famiglie. A tale scopo i membri di questi collegi erano tenuti a versare una quota associativa mensile, rischiando di essere radiati se inadempienti. A partire dalla terza riga il testo dell’iscrizione diventa un vero e proprio componimento poetico in esametri di ispirazione originale se si esclude il primo emistichio che è invece ripreso dal poeta Ovidio. Dopo quasi due millenni, sembra ancora possibile vedere questa giovane donna potentina che in un sol giorno fu privata dell’anima e del corpo, quello stesso corpo che fu arso sulla pira funeraria e che giacque tra le ceneri ancora calde. Basta solo fermarsi un momento e avere la pazienza di leggere il suo epitaffio.
DOMENICO COLUCCI
(Foto) – Potentini di 2000 anni fa in epoca romana; la commovente epigrafe posta da una madre in ricordo della figlia, Vitalia, morta a sedici anni .