IL BEATO BONAVENTURA DA POTENZA

Non c’è nessuna eccezionalità, nessun fatto strano ad avere concittadini famosi per la letteratura, le scienze, le arti, la poesia, la pittura, la medicina, la storia, la filosofia, il cinema, la tecnologia o qualsiasi altra cosa. Ma … .quando si parla di santità … beh, lì le cose un cambiano un pochino. Ebbene sì, questa volta voglio parlare di un illustre concittadino, che, però, nonostante lo sforzo attuato dai fedeli, soprattutto negli anni addietro, di divulgare il suo culto e la sua venerazione, resta per molti un illustre sconosciuto, o poco conosciuto. Sto parlando del Beato Bonaventura da Potenza, al secolo Carlo Antonio Gerardo Lavanga, nato a Potenza il 4 gennaio 1651 da Lello Lavanga e Caterina Pica in quel vicoletto del centro storico a lui intitolato dove oggi si conserva ancora una bellissima cappella,  e che a 15 anni, il 4 ottobre del 1666 entra fra i Minori Conventuali di Nocera Inferiore, sede del Noviziato francescano, vestendo l’abito religioso. La sua fervente vocazione sulle orme del Poverello d’Assisi nasce e si forma frequentando il Convento di S. Francesco a Potenza dei Frati Minori Conventuali. Quando nel 1666 il Ministro Provinciale P. Antonio da Pescopagano fa visita al Convento, Carlo esprime il desiderio di entrare a far parte della grande famiglia francescana. La sua domanda è entusiasticamente accettata e nell’ottobre dello stesso anno entra nel Convento di S. Antonio a Nocera Inferiore per iniziare il periodo di noviziato. “C’era da restare attoniti a vedere questo giovane pregare, sacrificarsi, donarsi, puntuale e ordinato, generoso e dolce, umile, tanto umile e mite come un Agnello” (P. Stefano Manelli – Beato Bonaventura da Potenza, p 24). La sua formazione religiosa si completa ad Amalfi nelle mani del P. Maestro Ven. Domenico Girardelli da Muro Lucano. A 21 anni, nel 1676, viene ordinato sacerdote. Grande figura francescana, definito “il Martire dell’obbedienza” per eccellenza, negli anni successivi, la sua grande fama di santità, di obbedienza incondizionata e di carità verso il prossimo, fa sì che il suo peregrinare da un convento all’altro, lo porti ad essere conosciuto in tutta la zona dell’agro nocerino e, in particolare, sulla costiera amalfitana, lasciando i segni di una presenza di grande carisma e spiritualità e di redenzione del popolo di Dio. Il suo peregrinare per conventi è infatti dettato dal fatto che tutti i Guardiani lo vogliono come esempio da imitare. E’ per questo che il suo Maestro lo definisce “Il religioso conteso”. Perché tanto peregrinare? Tutti vogliono la sua presenza. L’aneddoto racconta che nel convento di Capri rimase tre giorni immobile nell’oratorio. Il Padre guardiano gli aveva detto: “Aspettami qui”, ma poi dimenticò quell’ordine dato, s’imbarcò e tornò dopo tre giorni. Divenuto famoso anche a Napoli, Ischia e Capri per la sua santità di vita e capacità di testimonianza, per la sua diligenza, prudenza, umiltà e dolcezza, nel 1703 viene nominato Maestro dei Novizi e ritorna al Convento di Nocera con l’incarico più importante della sua vita. Dal 1703 al 1707 Padre Bonaventura forma una vera e propria scuola di santità, dentro e fuori dal Convento. “I poveri – diceva – vogliono soccorso, gli afflitti consolazione, gli animi e i corpi infermi spirituale e temporale medicina”. Bonaventura è un uomo preciso. Sa essere soavemente rigido nella sua guida. Non usa mai violenza, ma la sua forza è la convinzione, facendo comprendere che tutto va fatto nella prospettiva dell’eternità. Pur non essendo dotto, colpisce per la profondità teologica della sua predicazione. Nel 1710 viene mandato a Ravello con altri frati, per la riapertura del Convento di S. Francesco soppresso nel 1653. Nel cuore dell’inverno ogni cosa nel Convento si presenta nella fatiscenza dell’abbandono: mura cadenti, poche suppellettili per l’altare ed altre carenze che non rendono la vita per nulla facile. Scoraggiati da ciò, gli altri frati abbandonano il luogo. Vi rimane solo lui. I motivi sono sempre quelli che hanno contrassegnato la sua vita: obbedienza al mandato del Superiore, carità verso le anime bisognose, amore per la povertà. Quotidianamente percorre a piedi la strada da Ravello ad Amalfi, facendo visita ai poveri e soprattutto ai carcerati. La sua assistenza spirituale ai carcerati è esemplare. Quando, ad esempio, sapeva che c’era qualche  condannato che rifiutava i sacramenti o si rifiutava di pentirsi, restava in cella con lui anche per giorni fino a raggiungere il suo scopo: la conversione e la remissione dei peccati. Muore nel convento di Ravello il 26 ottobre del 1711 e viene sepolto sotto l’Altare maggiore.

Si distingue particolarmente per l’obbedienza incondizionata, tanto da essere definito come “il Santo dell’obbedienza”. L’obbedienza di padre Bonaventura è sempre stata eroica. Anche dopo morto fu obbediente. Un altro aneddoto racconta che “il corpo non entrava nella bara per errore del falegname. Al comando del superiore si restrinse e vi entrò. Emanava sudore come corpo vivo, era flessibile ed emanava profumo. Mentre la sua bara attraversava l’altare, egli aprì gli occhi e si inchinò davanti al SS.mo Sacramento”. Nel 1740, alla ricognizione canonica, dopo 29 anni, il suo corpo era intatto e flessibile. A lui sono attribuiti numerosi prodigi. Vide l’anima della sorella salire in cielo e guarì un lebbroso. A Napoli, nel convento di Sant’Antonio a Porta Medina, il suo misticismo si manifestò con numerose elevazioni da terra. Si prodigò anche per gli appestati. È Beato dal 1775. Da quando abbandonò Potenza, il Beato Bonaventura vi ha fatto ritorno in due occasioni soltanto; precisamente durante la peregrinatio dell’urna contenente le sue venerate spoglie mortali  nel 1962 con il vescovo Bertazzoni, in preparazione all’imminente Concilio Vaticano II, e nel 2006 in occasione del Bicentenario della elevazione di Potenza a capoluogo regionale con il Vescovo Superbo che fece sì che fosse ospitato nella chiesa a lui dedicata nel rione Malvaccaro. Entrambi i Vescovi vollero che la presenza del sacro corpo in città durasse per diversi giorni e fosse di singolare richiamo e stimolo per la Chiamata alla santità che il Signore, nella Sua infinita misericordia, rivolge a tutti. Il Cardinale Michele Giordano, Arcivescovo di Napoli, nella prefazione di un libro sulla vita del Beato lo definisce così: “gigante umile e spoglio di fragore, come le montagne della sua terra, si staglia appena in un silenzio mistico, carico di profezia, dispiegato in una itineranza e fedeltà alla Chiesa e al suo Ordine, che lo venera come il martire dell’ObbedienzaPresso la tomba vengono numerosi pellegrini, dall’Italia e dall’estero. Significativo e toccante il grande pellegrinaggio annuale (l’ultima domenica di giugno) da Potenza, con la partecipazione delle Autorità civili e religiose di Potenza e di Ravello. In questa circostanza viene offerto dai potentini l’olio per la lampada votiva che arde accanto alla tomba del Beato. Vescovi e Cardinali hanno onorato il Beato nel giorno della sua festa (26 ottobre) nel corso degli anni. Nel 2000, a Potenza, in un quartiere periferico sorto a seguito del terremoto del 1980, viene inaugurata la prima Chiesa a lui dedicata in tutto il mondo, la Parrocchia Beato Bonaventura, dove è attualmente possibile venerare le sue reliquie. In un giro turistico nel centro storico di Potenza, invece, degna di una visita è la Cappella dedicata al Beato Bonaventura, in origine la sua casa natia. La facciata si presenta con un disegno semplice; si accede attraverso uno stupendo portale in pietra calcarea settecentesco proveniente dalla chiesa del soppresso monastero delle clarisse di San Luca, con al centro due teste di cherubini alati al di sopra dei quali due elementi a volta racchiudono uno stemma francescano. All’interno, la cappella è costituita da un unico locale suddiviso in due ambienti da un arcone trasversale; anche l’altare in pietra rossa con disegno barocco e l’acquasantiera provengono dal monastero di San Luca. Sull’altare, di marmo rosso di Avigliano, una grande tela del pittore Vincenzo Busciolano, datata 1907, che raffigura l’Estasi del Beato Bonaventura, mentre sulle pareti sono raffigurati un’Ultima Cena, un trittico della Passione di Cristo, opere del pittore Mario Prayer datate intorno al 1950. Inoltre, alcune reliquie del Beato sono custodite  in un’urna lignea collocata in un’edicola su parete e in due piccoli reliquiari in legno e metallo.

KATIA LACERRA

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